Il Manierismo a Venezia
Tintoretto e Veronese creano composizioni teatrali e scenografiche
Tintoretto e Veronese creano composizioni teatrali e scenografiche
Nella seconda metà del Cinquecento a Venezia le arti e la musica conoscono una stagione particolarmente felice, nonostante il progressivo declino politico ed economico della Repubblica.
Mentre Tiziano (vedi p. 285), è spesso richiesto fuori dai confini dello Stato, si affermano altri pittori con spiccate personalità, quali Tintoretto e Veronese. Entrambi questi artisti realizzano composizioni spettacolari, giocate sul colore, la luce e l’illusionismo prospettico, ma con accenti diversi: il linguaggio di Tintoretto appare inquieto e drammatico, mentre quello di Veronese è la gioiosa espressione dei fasti della Serenissima.
Jacopo Robusti (1519-1594), detto Tintoretto dal mestiere del padre che faceva il tintore di tessuti, è attivo a Venezia, dove lavora anche per le cosiddette scuole, confraternite laiche dedicate a un santo protettore. Per la Scuola grande di San Marco, fra il 1562 e il 1563 Tintoretto dipinge tre grandi tele (teleri) che raccontano una storia miracolosa: il recupero del corpo dell’evangelista Marco rinvenuto ad Alessandria d’Egitto e portato a Venezia, città di cui il santo è protettore.
Nel dipinto con il Ritrovamento (29), la scena è ambientata in una sala lunga e oscura, fortemente scorciata. All’interno del medesimo spazio, si susseguono cinque episodi:
La pittura stesa a tocchi rapidi, l’ambiente oscuro lacerato da una luce calda e violenta, i gesti appassionati dei personaggi, la tensione dei corpi, tutto ciò concorre a creare una scena teatrale e drammatica, molto emozionante.
Paolo Caliari (1528-1588) deve il soprannome di Veronese alla città dove è nato e dove si forma: Verona, allora parte dei possedimenti veneziani.
Giunto a Venezia nel 1553, diventa l’artista prediletto dall’aristocrazia, per la quale realizza dipinti grandiosi e trionfali su tela e ad affresco, inondati da una luce chiara, con atmosfere spensierate e mondane.
Uno dei soggetti preferiti sono le Cene descritte nei Vangeli, che l’artista ambienta nel suo tempo e che prendono quindi la forma di banchetti sontuosi. Per il monastero benedettino di San Giorgio Maggiore dipinge un’immensa tela, lunga quasi 10 metri, raffigurante le Nozze di Cana (30), l’episodio evangelico in cui Gesù compie il suo primo miracolo: a una festa di nozze, a cui partecipa con la Madonna, trasforma l’acqua in vino. A un primo sguardo la composizione colpisce per la scenografia festosa e imponente. Tra la folla di personaggi in abiti contemporanei, si individua a fatica la presenza di Gesù, seduto al centro, frontale, con Maria accanto; i due sposi invece sono all’estremità sinistra della tavola. I convitati hanno vesti sfarzose dai colori accesi; intorno si muovono i servi e gli animali; al centro i musici rallegrano il banchetto suonando; dietro, dalla balaustra e dagli edifici si affacciano i curiosi, stupefatti da tanto lusso. La scena si svolge all’aperto, fra architetture imponenti e classicheggianti, che richiamano lo stile dei progetti che Andrea Palladio stava realizzando in Veneto e con cui lo stesso Veronese collabora (vedi p. 299).
Le vie dell'arte - volume B
Dalla preistoria a oggi