6.7 Le spinte indipendentiste dell’India

6.7 Le spinte indipendentiste dell’India

Il dopoguerra indiano e la figura di Gandhi
La colonia indiana del Regno Unito partecipò con circa 1 300 000 soldati allo sforzo bellico britannico nella Grande guerra. In cambio di questa lealtà, le élite indiane si attendevano il riconoscimento di una maggiore autonomia dal centro dell’Impero, che i britannici stentarono invece a concedere. Così già nel 1919 la principale formazione politica del paese, il Partito del congresso (National Congress), promosse una serie di manifestazioni di protesta di stampo nazionalista, incontrando talvolta la dura repressione delle autorità ma ottenendo anche una serie di riforme costituzionali, che consentirono di ampliare la partecipazione degli indiani al governo del paese.

Fu in questo complesso contesto che emerse la figura di Mohandas Karamchand Gandhi (1869-1948), soprannominato il Mahatma (“Grande anima”), un giovane avvocato che aveva vissuto per lo più in Sudafrica, dove si era posto alla testa della locale comunità indiana perseguitata dai bianchi sudafricani. Già durante i primi anni di lotta politica, Gandhi mise a punto una tecnica di lotta non violenta, da lui battezzata satyagraha (“fermezza nella verità”), la cui eco giunse fino alla penisola indiana.

Rientrato in India nel 1915, Gandhi si impegnò nella costituzione di un movimento di non cooperazione non violenta, che prevedeva il boicottaggio sistematico dello Stato coloniale attraverso le dimissioni dagli incarichi pubblici e amministrativi, la rinuncia ai ruoli nell’esercito e nella polizia e il non pagamento delle imposte. Egli viaggiò per il paese, ottenendo un vasto consenso tra la popolazione, fino a imporsi nel 1921 come leader in seno allo stesso National Congress e al movimento nazionalista. Per perseguire l’obiettivo finale dell’indipendenza riuscì a costruire un’alleanza anche con la principale organizzazione politica della componente islamica della popolazione, la Lega musulmana.

La reazione britannica
La risposta britannica, negli anni seguenti, si caratterizzò per l’accentuazione della repressione, mentre in seno al movimento indipendentista l’unità era minata dalle crescenti tensioni religiose tra indù e musulmani e dalla comparsa di gruppi che praticavano azioni terroristiche.

Alla fine degli anni Venti, inoltre, la crisi economica mondiale originatasi negli Usa (che vedremo nel prossimo capitolo) fece sentire i suoi effetti anche in India, determinando un ulteriore peggioramento delle condizioni di vita della popolazione a causa del crollo del prezzo del grano. Nel marzo 1930 Gandhi compì la famosa Marcia del sale [ 15] da Ahmedabad a Dandi, un atto simbolico di violazione della legge sul monopolio della produzione e della vendita del sale che riattivò in tutto il paese il movimento di disobbedienza civile. Intanto, mentre un accordo tra il viceré e Gandhi tentava di contenere gli effetti della crisi economica, assumeva un ruolo preminente nel National Congress Jawaharlal Nehru, favorevole a un più attivo intervento statale per contrastare la diseguaglianza sociale.

Nel 1935 il varo del Government of India Act consentì di devolvere nuovi poteri agli indiani, di delegare l’amministrazione provinciale a organi elettivi e di creare una nuova assemblea legislativa centrale a Nuova Delhi. Tuttavia le successive elezioni, nel 1937, ebbero un risultato ambiguo, che preparava la strada a futuri conflitti: segnarono infatti una grande vittoria del Partito del congresso, ma al tempo stesso la rottura dell’alleanza con la Lega musulmana.

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6.8 Il militarismo giapponese e le guerre in Estremo Oriente

Il Giappone durante e dopo la Grande guerra
Anche il Giappone aveva partecipato a fianco dell’Intesa alla Grande guerra, al termine della quale ottenne la regione dello Shandong e alcune importanti isole nel Pacifico oltre ad affermare il proprio prestigio internazionale. Negli anni del conflitto, l’economia del paese aveva proseguito quella fase di sviluppo e modernizzazione avviata a cavallo tra Otto e Novecento, accompagnata da una forte crescita demografica e da un timido rinnovamento anche in ambito politico e istituzionale, che vide la concessione, nel 1928, del suffragio universale maschile e la crescita di formazioni politiche e sindacali progressiste.
Nel dopoguerra, però, l’economia giapponese cominciò a risentire della concorrenza delle potenze occidentali in ripresa, e la Grande crisi del 1929, con la contrazione del commercio internazionale che penalizzava le esportazioni da cui essa dipendeva, provocò una grave recessione.
L’ascesa del nazionalismo
In questa situazione, appoggiati dai grandi gruppi industriali, presero forza i circoli nazionalisti e militaristi, che si proponevano come interpreti dell’anima reazionaria e antimoderna della società giapponese. Dalla combinazione di queste forze, prese forma nel paese un regime autoritario di stampo fascista, fautore, in politica estera, di un aggressivo progetto di espansionismo imperiale in tutta l’Asia orientale: da una parte teso a garantire la disponibilità di risorse naturali attraverso la conquista di nuovi territori e dall’altra ad assegnare al paese un ruolo di grande potenza regionale in grado di debellare la nascente minaccia cinese e di contrastare gli interessi degli Stati Uniti e della Gran Bretagna nel continente asiatico.

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L’invasione della Manciuria
Tale disegno trovò una prima applicazione in Manciuria, dove dall’inizio del secolo, dopo aver conquistato la Corea, il Giappone aveva preso il controllo della ferrovia che si trovava nella parte meridionale della regione [▶ cap. 1.2]. Nel 1931, sfruttando un pretesto da essi stessi creato (il danneggiamento della ferrovia presso Mukden, di cui furono accusati terroristi cinesi), i giapponesi schierarono l’esercito sul continente, per poi dare avvio, nell’ottobre dello stesso anno, all’invasione della regione e alla sua annessione al Giappone [ 16]. Le proteste della Società delle Nazioni indussero il governo giapponese a ritirarsi dall’organismo internazionale, esasperando le sue relazioni con le potenze occidentali

La guerra vera e propria con la Cina scoppiò nel 1937, quando il Giappone occupò Pechino, per poi proseguire verso sud, dilagando fino a Shangai e oltre. Durante l’occupazione di Nanchino, allora capitale della Cina di Chiang Kai-shek, le truppe giapponesi furono tra l’altro autrici di un massacro della popolazione civile, che costò la vita a centinaia di migliaia di cinesi (circa 200 000). Mentre le forze di Tokyo consolidavano il controllo della fascia costiera, nell’interno della Cina continuò a lungo la resistenza, divisa tra la guerriglia comunista a nord e gli eserciti nazionalisti a sud.

Intanto, la politica espansionistica del Giappone in Manciuria e Mongolia generò tensioni crescenti con l’Unione Sovietica. Proprio in Mongolia, nell’agosto del 1939, alla vigilia dello scoppio della Seconda guerra mondiale, le forze sovietiche e quelle nipponiche, come vedremo, si sarebbero scontrate apertamente.

Storie. Il passato nel presente - volume 3
Storie. Il passato nel presente - volume 3
Dal 1900 a oggi