3.2 I poteri assoluti e le riforme ispirate dall’Illuminismo

3.2 I poteri assoluti e le riforme ispirate dall’Illuminismo

Federico II di Prussia
Nei decenni centrali del Settecento, diversi monarchi europei stabilirono un legame di reciproca fiducia con i pensatori illuministi, cercando di tracciare un percorso comune per mettere in atto alcune riforme, rinnovando la vita culturale, economica, politica e religiosa degli Stati e provando a superare particolarismi territoriali o privilegi legati al ceto. Uno di questi fu certamente Federico II di Prussia detto il Grande (1740-86), che ospitò nella sua corte artisti, musicisti e scrittori molto in vista come Voltaire. Un simbolo della vivacità culturale del suo regno fu l’Accademia delle scienze di Berlino, dove trovarono accoglienza diversi enciclopedisti francesi e altri esponenti del pensiero illuminista provenienti da tutta Europa. All’Università di Königsberg insegnò il grande filosofo Immanuel Kant (1724-1804), che mostrò in diverse occasioni apprezzamento per l’operato del suo sovrano.

Federico aveva ereditato uno Stato in ascesa, che dal primo Seicento alla metà del Settecento era passato da circa 900 000 a 2 400 000 abitanti. I suoi predecessori Federico I (1688-1713) e Federico Guglielmo I (1713-40, detto il “re sergente”) avevano incentrato la loro azione di governo sugli eserciti e sulla guerra, guadagnando il rispetto degli altri sovrani. Proseguire su quella linea fu pertanto una scelta naturale. La Guerra di successione austriaca e la Guerra dei Sette anni tra Francia e Inghilterra (1756-63) offrirono al sovrano l’opportunità di far valere il peso della Prussia sullo scacchiere politico internazionale: la macchina militare prussiana assunse proporzioni impressionanti, arrivando a 200 000 effettivi. Così Federico poté completare un’espansione territoriale ramificata: verso occidente nel cuore dell’Impero asburgico; verso oriente in territorio polacco, approfittando della disgregazione della monarchia, di cui parleremo a breve. Alla fine di questa lunga fase di crescita, la Prussia arrivò a comprendere circa 6 milioni di sudditi [ 4].

Tuttavia, la trasformazione del tessuto sociale del paese non fu altrettanto veloce. La borghesia mercantile era ancora minoritaria e circa la metà delle terre coltivabili rimaneva nelle mani degli Junker, aristocratici che sfruttavano i contadini mantenendoli in uno stato di servitù, poco interessati ad aumentare la produttività agricola con investimenti e innovazioni tecnologiche. Federico cercò di accaparrarsi la fedeltà di questi nobili affidando loro incarichi nell’apparato amministrativo. Ma non si trattò di una concessione gratuita: l’ingresso nei quadri burocratici doveva essere infatti subordinato al possesso di un titolo di studio e al superamento di severi esami. L’obiettivo era quello di costruire un ceto dirigente preparato, efficiente e corretto sul piano morale, capace di sostenere tanto il sistema economico quanto la macchina bellica.

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Il sovrano estese inoltre la libertà di stampa e lavorò all’allargamento dell’istruzione elementare, in modo da poter coinvolgere gran parte della popolazione. Si preoccupò della giustizia, tentando di superare le norme territoriali e l’arbitrio dei giudici, limitando fra le altre cose il ricorso alla tortura e alla pena di morte, ma non abolendo del tutto i privilegi legali connessi al ceto davanti alla legge. Favorì la nascita di industrie, costruì canali e strade, bonificò territori paludosi. Si mostrò inoltre incline ad accogliere gruppi di persone perseguitate nelle loro terre d’origine per motivazioni religiose: ad approfittarne furono calvinisti, ebrei e gesuiti (espulsi da molti Stati europei negli anni Sessanta del Settecento) che contribuirono in maniera consistente alla crescita culturale ed economica della Prussia.

L’ispirazione di Federico derivò anche dal fatto che era incluso in una rete europea di fratellanze massoniche, mentre l’affiliazione alle logge garantiva vantaggi nelle carriere accademiche, burocratiche e militari, in quanto garanzia del rispetto di una comune disciplina e di fedeltà al sovrano Gran Maestro [▶ cap. 1.2].

Caterina II di Russia
Dopo la nascita dell’impero e la morte di Pietro il Grande, avvenuta nel 1725, la Russia andò incontro a un periodo di instabilità, con il veloce avvicendarsi di ben quattro zar, fino alla presa del potere della figlia Elisabetta nel 1741. Il rafforzamento culturale (nel 1755 fu fondata l’Università di Mosca) si accompagnò a quello militare: come la Prussia, il paese affermò la sua presenza nelle lotte egemoniche continentali con la partecipazione alla Guerra di successione austriaca e alla Guerra dei Sette anni. I risultati tuttavia non furono paragonabili a quelli ottenuti da Federico II e nel 1762 molte tensioni riemersero, denunciando i limiti di un potere fragile: il successore designato Pietro III incontrò un’ostinata opposizione dei nobili e dei letterati, che non esitarono ad accusarlo per il suo carattere violento e la sua volubilità.
Ad approfittarne fu la moglie Caterina, di origine tedesca, che invece si era ingraziata i nemici del marito e si era messa in luce facendo sfoggio di cultura e mostrando di conoscere il pensiero di Montesquieu, Voltaire e Diderot. Con un colpo di Stato, la donna riuscì a prendere il potere facendosi proclamare sovranadi tutte le Russie” con il nome di Caterina II. In politica interna le innovazioni furono notevoli: molti vincoli nella diffusione di libri e informazioni caddero, permettendo un’intensa circolazione delle idee che mise in crisi alcuni valori dominanti, primi fra tutti quelli religiosi che predicavano fedeltà alle gerarchie ecclesiastiche e alla nobiltà. Le immense estensioni di terra sottoposte al controllo della Chiesa ortodossa furono ridotte e acquisite dal potere secolare, che le concesse ai coltivatori permettendo loro di affrancarsi dal regime di sfruttamento a cui erano sottoposti da nobili e clero.

Proprio nelle campagne, tuttavia, nacquero le più gravi tensioni. Fra il 1771 e il 1772 una grave carestia e un’ondata di malattie infettive travolse la parte meridionale del pae­se. Emel’jan Ivanovič Pugačëv [▶ altri LINGUAGGI], il figlio di un piccolo proprietario terriero, riuscì ad alimentare una rivolta sfruttando la rabbia di numerosi  cosacchi stanziati lungo il fiume Ural. Denunciò lo stato di servitù a cui i nobili sottoponevano i contadini e le pressioni fiscali, facendo credere ai suoi seguaci di essere il redivivo Pietro III e accampando pretese sul trono. L’insurrezione si allargò rapidamente fino al bacino del Volga, arrivando a coinvolgere anche operai delle industrie manifatturiere e capi religiosi locali. La repressione fu durissima e terminò solo nell’estate del 1774. La parabola di Pugačëv si concluse nei primi giorni del 1775, con una condanna a morte eseguita il 10 gennaio.

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Caterina II non si fermò davanti alle tensioni interne del paese e cercò di attuare riforme ispirate al pensiero illuminista. Agli scritti di Montesquieu e di Cesare Beccaria [▶ cap. 1.3] si ispirò l’Istruzioneun nuovo codice di leggi finalizzato a rendere più eque le procedure giudiziarie, ad affermare principi di tolleranza e a garantire la “pubblica felicità”. Molte di queste idee rimasero comunque inattuate: i contrasti interni generati da ceti aggrappati ai loro privilegi, le tensioni nelle campagne e le pressioni delle altre grandi potenze militari euroasiatiche imposero altre priorità per il paese, che si mostrò non ancora pronto ad accogliere trasformazioni radicali. Più efficaci furono i riordinamenti dei corpi amministrativi locali: nel controllo del territorio la nobiltà fu affiancata da funzionari nominati dal potere centrale, che andarono a sanare squilibri e abusi. Molti sforzi furono dedicati all’istruzione, sia a livello superiore sia a livello elementare, al pari di quanto succedeva negli stessi anni in Prussia.

In politica estera, il maggiore impegno di Caterina fu la guerra contro l’Impero ottomano (Guerra russo-turca) iniziata nel 1768 e finita 6 anni dopo con una vittoria gravida di conseguenze: la Russia guadagnò infatti un ampio sbocco sul Mar Nero e il diritto di transitare liberamente nel canale del Bosforo, affacciandosi quindi sul Mediterraneo. Negli stessi anni la disgregazione della Polonia permise alla zarina di incorporare la Bielorussia. Nel 1783 fu proclamata invece l’annessione della Crimea, ma l’iniziativa presa unilateralmente poté essere considerata definitiva solo dopo un nuovo scontro con i turchi (1787-92) [ 5]. Alla morte di Caterina nel 1796, la popolazione dell’impero era quasi raddoppiata, passando da 23 a quasi 38 milioni, diventando ormai multietnica. Anche nei gradini più alti della gerarchia sociale le trasformazioni furono rilevanti: per esempio, una sostanziosa componente polacca, baltica e tedesca andò a mutare l’identità dell’aristocrazia.

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La rivolta di Pugačëv e La figlia del capitano

La rivolta guidata da Pugačëv fu al centro del romanzo storico La figlia del capitano, pubblicato nel 1836. Lo scrittore Aleksandr Sergeevič Puškin (1799-1837), uno dei massimi esponenti della letteratura europea del suo tempo, ricostruisce gli eventi accaduti circa sessant’anni prima facendo ricorso all’espediente letterario delle memorie: immagina quindi che a scriverle sia il personaggio di Pëtr Andréevič Grinëv, che si innamora di Maša nella Belogórskaja, una fortezza della steppa non distante da Orenburg. In tal modo, Puškin riesce a offrire ai lettori un complesso affresco in cui confluiscono i drammi della vita contadina e le stravaganze del capo dell’insurrezione, oscillante fra la ferocia e l’eroismo.

La narrazione ispirò un’opera in quattro atti del compositore Cezar’ Antonovič Kjui, rappresentata per la prima volta a San Pietroburgo nel 1911. Numerosi sono stati i riadattamenti cinematografici e televisivi del romanzo. Risale, per esempio, al 1958 il film La tempesta di Alberto Lattuada, interpretato da Van Helfin e Silvana Mangano. Nel 1965 la Rai trasmise uno sceneggiato in sei puntate diretto da Leonardo Cortese, con Amedeo Nazzari nei panni di Pugačëv. Nel 2012, la stessa Rai ha prodotto e mandato in onda un nuovo prodotto in due puntate diretto da Giacomo Campiotti, uno specialista della serialità televisiva: in questo caso la trama si è concentrata su Pëtr e sul suo tormentato amore per Maša.

L’Austria imperiale da Maria Teresa a Giuseppe II
A metà Settecento i possedimenti del casato asburgico si caratterizzavano ormai sempre più come austriaci e sempre meno come germanici o imperiali. Le popolazioni poste sotto la corona di Maria Teresa dopo la Pace di Aquisgrana (1748) erano tuttavia ancora difficili da unificare, comprendendo diverse culture, lingue, confessioni religiose. Italiani, magiari, slavi, tedeschi, fiamminghi e rumeni convivevano infatti in questo complesso apparato e se molti erano cattolici, non mancavano ortodossi, protestanti ed ebrei: questi ultimi furono bersaglio anche di gravi episodi di persecuzione fra 1744 e il 1745 con l’espulsione da Vienna, proprio mentre alcuni sudditi di fede luterana venivano portati forzatamente in Transilvania. Difficile era anche la gestione di riti e credenze, soprattutto fra le popolazioni rurali che cedevano a eccessi di ogni genere, talvolta aizzate da predicatori privi di scrupoli che usavano metodi non graditi alla sovrana [▶ protagonisti].

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La forza espansiva di Federico II di Prussia fu un’autentica spina nel fianco per gli Asburgo-Lorena, i quali cercarono di reagire stipulando alleanze con altre dinastie: basti pensare al fatto che fra gli anni Sessanta e Settanta del secolo le figlie di Maria Teresa, Maria Antonietta e Maria Carolina, sposarono rispettivamente il re di Francia Luigi XVI di Borbone e il re di Napoli Ferdinando IV di Borbone (figlio di Carlo).

Rimaneva comunque cruciale il ruolo dell’esercito. Le risorse necessarie per rafforzarlo arrivarono da una riorganizzazione del sistema del prelievo fiscale: le rappresentanze nobiliari, ecclesiastiche e cittadine furono chiamate a far approvare imposte su base decennale affidando ad agenti regi la ripartizione e la riscossione. L’educazione per coloro che dovevano coprire cariche civili e militari fu affidata al collegio teresiano e all’Accademia di Wiener Neustadt (fondati nei primi anni Cinquanta): a frequentarle furono soprattutto i nobili che avevano perduto privilegi fiscali, ma in compenso erano responsabilizzati con nuovi ruoli nella macchina amministrativa dello Stato.

Una prima svolta importante ci fu nel 1753, quando fu nominato cancelliere Wenzel Anton von Kaunitz-Rittberg (1711-94). Fu lui a istituire il Consiglio di Stato, che riuniva sotto un’unica competenza diverse questioni di politica interna. Insieme all’erede al trono imperiale Giuseppe II e a Maria Teresa, Kaunitz resse le sorti di un apparato politico complesso cercando con determinazione di rafforzare il potere centrale.

Una seconda accelerazione riformista si ebbe a partire dal 1780, quando Maria Teresa morì e Giuseppe II rimase il solo detentore del potere monarchico, cominciando ad affermare la sua volontà con intransigenza e liberandosi dai consiglieri della madre. Fu allora che prese forma il cosiddetto “giuseppinismo”, una politica religiosa fondata sull’affermazione dell’autorità dello Stato sul ceto ecclesiastico. Gli istituti religiosi considerati privi di utilità sociale furono soppressi o subirono pesanti confische: i beni ricavati furono utilizzati per finanziare scuole o attività di assistenza per poveri e malati. Si trattò di grandi statalizzazioni che innescarono un processo di medio-lungo periodo, visto che nell’Ottocento si sarebbe affermato un modello di  nazionalizzazione fondato anche sulla confisca dei beni ecclesiastici. Mentre ai vescovi si chiese di giurare fedeltà all’imperatore, i seminari finirono sotto il controllo dello Stato, intenzionato a formare sacerdoti che potevano diventare veri e propri maestri per le comunità parrocchiali, garantendo l’alfabetizzazione, controllando la morale e il rispetto dei valori civici.

Furono combattute e represse le forme di religiosità considerate eccessive o superstiziose, seguendo le suggestioni elaborate da Ludovico Antonio Muratori nel suo celebre scritto sulla “regolata devozione dei cristiani” [▶ cap. 1.1]: le feste e le processioni furono ridotte, i cimiteri furono allontanati dai centri abitati, l’esposizione di immagini e reliquie fu fortemente limitata, si proibirono sfarzi e spese eccessive per battesimi, matrimoni e funerali. Giuseppe ruppe definitivamente con le politiche religiose di Maria Teresa fra il 1781 e il 1785, emanando tre editti (Patenti di tolleranza) per coloro che non praticavano la religione cattolica: protestanti, ortodossi ed ebrei poterono godere di diritti e opportunità (anche di carattere commerciale, oltre che politico) che fino ad allora erano state a loro negati.

Le riforme di Giuseppe II riguardarono anche:

  • il commercio, con la soppressione di dazi per il mercato interno e sovvenzioni alle attività manifatturiere più innovative;
  • l’agricoltura, con l’abolizione del lavoro servile;
  • la fiscalità, con un nuovo  catasto, finalizzato a distribuire più equamente le tasse;
  • la giustizia, con l’elaborazione di un codice penale che manteneva pene durissime ma spingeva verso il superamento del carattere arbitrario dei giudizi, affermando la parità dei sudditi davanti alla legge.

Molti di questi progetti rimasero inattuati o solo abbozzati [ 6]. L’immenso apparato territoriale in mano a Giuseppe non sopportò un accentramento così forte del potere: i Paesi Bassi dell’area belga si ribellarono nel 1787 e proclamarono l’indipendenza due anni più tardi; l’area ungherese fu attraversata da tensioni e rivolte. Pur avendo beneficiato di importanti trasformazioni, sotto Leopoldo II (1790-92) e Francesco II (1792-1836) il dominio asburgico scivolò verso una fase di chiusura e immobilismo che, come vedremo, si palesò nella ferma opposizione alla Francia rivoluzionaria.

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L’archiatra di Maria Teresa e i vampiri

L’olandese Gerard Van Swieten acquisì nel 1745 la carica di archiatra, ovvero medico personale di Maria Teresa d’Austria, giocando un ruolo importante anche nell’organizzazione delle riforme sanitarie della sovrana. Nel 1745 fu inviato in Moravia per indagare su leggende “vampiriche” che turbavano le popolazioni rurali. Attribuì tali superstizioni alla credulità e all’ignoranza, all’imprudenza dei sacerdoti, alle suggestioni che colpivano l’immaginazione degli umili: diede così inizio a una risoluta azione di repressione per tutti coloro che osavano diffondere false notizie creando problemi sanitari e di ordine pubblico. Talvolta, infatti, i cadaveri dei presunti vampiri venivano dissotterrati, favorendo la diffusione di germi e malattie: le mani e i piedi venivano amputati, per impedire loro di camminare; fra i denti venivano spesso posti dei sassi per fermare la masticazione.

In effetti, già da qualche decennio l’Europa era attraversata da flussi di notizie riguardanti intere comunità che credevano fermamente nell’esistenza dei mitologici succhiatori di sangue. Alla fine degli anni Trenta l’arcivescovo di Trani Giuseppe Davanzati aveva composto una fortunata Dissertazione sopra i vampiri, cercando di dare spiegazioni razionali ai bizzarri racconti che parlavano di defunti capaci di rimettersi in piedi, compiere scorribande notturne, abbeverarsi del sangue dei vivi, danneggiare il bestiame con morsi e violenze. Anche il benedettino francese Augustin Calmet produsse uno scritto sul tema affermando, fra le altre cose, che potevano essere i corpi degli scomunicati a compiere tali misfatti, costretti a vagare per scontare la punizione che avevano meritato con i loro peccati. Anche gli illuministi parteciparono al vivace dibattito sui vampiri, che catalizzò per qualche decennio l’attenzione dell’opinione pubblica. Fra di loro si distinse Voltaire che sostenne che i veri succhiatori di sangue non erano gli sventurati contadini delle aree rurali dell’Impero asburgico, bensì i nobili che abitavano in lussuosi palazzi e vivevano nel lusso sfruttando il lavoro nei campi della povera gente.

La disgregazione del Regno di Polonia
La fine della Guerra di successione polacca (1739), dopo notevoli sconvolgimenti nel quadro politico del continente, aveva comunque lasciato sul trono il candidato russo Federico Augusto di Sassonia, unico figlio legittimo di Augusto II, salito sul trono della Polonia con il nome di Augusto III. Il suo regno, iniziato formalmente già nel 1733 quando il conflitto era ancora in corso, durò trent’anni e fu attraversato da propositi di cambiamento. Il paese tuttavia conservava enormi problemi strutturali: le ricchezze erano concentrate nelle mani della grande aristocrazia che era irremovibile nella difesa dei propri privilegi e trattava direttamente con i mercanti stranieri, sfruttando i prodotti di latifondi in cui lavoravano i contadini, spesso in condizioni ai limiti della servitù.

La dipendenza dalle potenze straniere era quindi forte. Nel 1764 la Russia di Caterina II sostenne la candidatura al trono di Stanislao Poniatowski (1764-95), educato secondo principi illuministi e intenzionato a far partire un programma di riforme che puntavano ad arginare il potere dei nobili. Incontrò enormi resistenze, che finirono per lacerare totalmente l’apparato statale e per esporlo alle mire egemoniche delle potenze europee. Nel 1772 ci fu una prima spartizione del territorio (circa un terzo del totale) fra Austria, Russia e Prussia. Nel 1793 ci fu una seconda spartizione, di cui beneficiarono solo Russia e Prussia. Nel 1795 arrivò l’ultima spartizione dalla quale anche l’Austria guadagnò territori e che cancellò di fatto la Polonia dalla carta politica europea [ 7].

È significativo il fatto che questa opera di sopraffazione fu portata a termine proprio dalle tre monarchie che erano state protagoniste delle riforme e avevano cercato di instaurare un assolutismo illuminato: la vicenda polacca permette quindi di comprendere come le politiche di potenza delle dinastie e i messaggi dei Lumi (tolleranza, universalismo, diritti dell’uomo) potessero finire in rotta di collisione.

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La Svezia dall’“era delle libertà” a Gustavo III
La morte di Carlo XII e la fine della Grande guerra del Nord nel 1721 avevano propiziato per la Svezia l’apertura di una nuova fase denominata “era delle libertà”, durata fino agli anni Settanta del secolo. Il trono fu occupato dal cognato del defunto sovrano Federico d’Assia-Kassel (1720-51) e poi da Adolfo Federico di Holstein-Gottorp (1751-71), che si impegnarono a rispettare i poteri della Dieta, in cui erano rappresentati i nobili, il clero, la borghesia e i contadini. Dal punto di vista militare, il paese mise in atto diverse iniziative per riconquistare il primato sul Baltico (perso proprio con la Guerra del Nord), ma la Russia e la Prussia non cedettero il passo, lasciando la situazione invariata.

La crescita economica fu comunque notevole e si accompagnò a importanti conquiste sociali, prima fra tutte la quasi completa eliminazione dell’analfabetismo. Nel 1771 il potere finì nelle mani di Gustavo III (1771-92, figlio di Adolfo Federico e di Luisa Ulrica di Prussia, sorella di Federico II) che si ispirò apertamente all’Illuminismo – proclamava la sua ammirazione per Voltaire –, aggredì i privilegi aristocratici e riformò la giustizia abolendo la tortura. Ciò nonostante, la sua politica prese una piega fortemente autoritaria, sottraendo potere a tutti gli organi rappresentativi del paese: a lui si associò quindi il tramonto dell’“era delle libertà” [ 8].

Storie. Il passato nel presente - volume 2
Storie. Il passato nel presente - volume 2
Dal 1715 al 1900