2.3 Le ragioni di un primato

2.3 Le ragioni di un primato

Il mercato e gli investimenti
L’Inghilterra presentava una quantità significativa di condizioni utili alla messa in opera di questo cambiamento radicale. L’agricoltura si era infatti sviluppata al punto tale da poter superare i recinti dell’autoconsumo, rendendo disponibili prodotti da commerciare. La presenza sulle tratte mercantili continentali e intercontinentali era assicurata da una rete mercantile attivissima, sostenuta anche dal potere monarchico. I ceti abbienti del paese potevano esercitare un’influenza significativa sulla vita politica e imporre una disciplina ai lavoratori, spingendo allo stesso tempo per l’impiego di risorse nella costruzione e nel consolidamento delle infrastrutture.

C’era la disponibilità di ricchezze (“capitali) da investire nell’acquisto di macchine e nello sfruttamento delle risorse minerarie. C’era infine una consolidata predisposizione alla protezione della proprietà privata, codificata alla fine del Seicento da pensatori come John Locke [▶ cap. 1.1], utile non solo a garantire il possesso di beni immobili, ma anche quello dei prodotti dell’ingegno umano, come testi, progetti, invenzioni. All’inizio del XVIII secolo si consolidò la protezione legale delle invenzioni, che dovevano essere depositate presso le autorità con una descrizione dettagliata e diventavano prerogativa esclusiva del creatore (brevetto).

Un sistema di fabbrica?
Di un vero sistema della fabbrica si cominciò a parlare solo nel primo Ottocento e solo per alcune zone dell’Inghilterra. Ciò nonostante, già nei decenni precedenti si mostrarono agli occhi del potere politico i problemi derivanti dalle nuove funzioni del sistema produttivo più specializzate rispetto al passato: quella bancaria o di intermediazione finanziaria, quella commerciale, quella informativa o pubblicitaria. La stessa forza lavoro non era di certo omogenea, visto che diversi compiti venivano assegnati a gruppi di persone all’interno di unità aggregate, che tendevano a rompere la dimensione familiare della manifattura di antico regime.
La divisione dei compiti fu oggetto di elaborazioni teoriche come quelle dell’economista e filosofo scozzese Adam Smith (1723-90) [ 4]. Il valore della merce, secondo lui, era dato dal tempo impiegato a produrla, misurabile sulla base di raffronti con i processi propri del mondo agricolo: bisognava comprendere, per esempio, quanti giorni, settimane o mesi di lavoro erano necessari per confezionare una camicia o un paio di scarpe e compararli con quelli necessari a ottenere determinate quantità di grano o patate. In altre parole, il valore della merce si misurava in sacchi di grano o patate.

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Nell’economia fondata sull’uso del capitale, invece, la produzione delle merci non dipendeva più soltanto dalla quantità di lavoro, ma anche dai mezzi di produzione: questi ultimi non appartenevano più al lavoratore, ma ad altri soggetti come il proprietario terriero, il titolare di una fabbrica o di macchine.

In questo contesto caratterizzato da nuove dinamiche, diventava cruciale la divisione dei compiti: ciascun lavoratore si concentrava su un compito circoscritto per velocizzare l’intero processo produttivo, non avendo tempi morti (come per esempio quelli richiesti per spostarsi da un luogo all’altro), ripetendo pochi gesti semplici e commettendo meno errori possibile. Questi cambiamenti non riguardarono solo la vita della fabbrica, ma investirono anche le campagne. I nuovi sistemi fecero in modo che non fosse più la stessa persona a occuparsi di molteplici mansioni (aratura, semina, mietitura), incrementando in maniera consistente la produttività [▶ fenomeni].

  fenomeni

La fabbrica di spilli

Per spiegare la sua teoria sulla divisione del lavoro, Smith raccolse informazioni visitando alcuni luoghi di produzione. Fu colpito da una piccola fabbrica con 10 dipendenti che riuscivano a produrre ben 48 000 spilli in un solo giorno. Le loro operazioni – circa 18 – erano ben definite: un operaio trafilava – ovvero riduceva in fili – il metallo, un altro raddrizzava i fili, un altro li tagliava, un altro pensava a dotarli di punte, un altro ancora li schiacciava alle estremità, fino ad arrivare a quelli che li lucidavano e li avvolgevano nella carta. Ciascun componente della catena sviluppava attitudini notevoli nel compiere un singolo gesto e nel ripeterlo più velocemente possibile, senza spendere energie eccessive. Una sola persona impegnata su tutto il processo produttivo avrebbe ottenuto non più di 20 spilli in un giorno.

La concorrenza
La riflessione di Adam Smith si concentrò anche sui fattori che determinavano l’accrescimento e la diminuzione della ricchezza complessiva di un paese guardando alla produzione, alla distribuzione, al consumo delle merci nonché alle norme che governavano queste diverse fasi. Nel 1776 pubblicò la sua Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni mettendo a frutto anche i confronti avuti con pensatori ed economisti francesi, in particolar modo con i fisiocratici [▶ cap. 1.3]. Secondo Smith, gli individui agivano seguendo razionalmente i propri interessi personali e il desiderio di ricchezza finendo per produrre vantaggi per l’intera comunità. Erano infatti le leggi del mercato – la cosiddetta “mano invisibile” del mercato, fondata sul dominio della concorrenza – a stabilire gli equilibri e a fare in modo che produttori e commercianti offrissero merci di qualità a prezzi bassi per non essere sorpassati da altri operatori nella corsa verso il profitto. Secondo il liberismo di Smith, non era quindi necessario alcun intervento forte dello Stato nell’economia: l’unico compito del potere politico era quello di garantire i servizi pubblici grazie alle risorse provenienti dal prelievo fiscale.

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2.4 I consumi

Beni disponibili e dinamiche del mercato
L’osservazione dei diversi sistemi produttivi non può prescindere da una valutazione dei mutamenti nel consumo. Secondo gli studi recenti, in antico regime il rapporto fra i beni disponibili sul mercato e la domanda non era affatto diretto. Poter comprare un oggetto non equivaleva al diffondersi del desiderio dell’oggetto stesso: una comunità di contadini abituata all’uso degli zoccoli non desiderava scarpe a basso costo; una famiglia che mangiava con le mani o con il cucchiaio non cercava le forchette. Perché si manifestassero nuovi bisogni era necessario che cambiasse il contesto socioculturale di riferimento: proprio le calzature o le stoviglie potevano, per esempio, diventare segni di una condizione agiata e marcare la distinzione fra gruppi sociali.

La società settecentesca, in ampie zone d’Europa e del pianeta (soprattutto nel continente americano), tese a superare queste barriere: l’acquisto esclusivo di merci utili a marcare distinzioni sociali e di ceto fece spazio alla diffusione di prodotti di minore qualità e basso prezzo, ma destinati a una distribuzione più larga e socialmente trasversale.

Le abitazioni: arredamento, riscaldamento, illuminazione
Le abitazioni – in particolar modo quelle urbane – cominciarono a subire delle importanti trasformazioni, presentando i corridoi e una più netta separazione fra le stanze, utili a ospitare solo alcuni componenti del nucleo familiare o a svolgere determinate funzioni: il pranzo, la cena, il lavoro, il riposo notturno. Furono ricavate aree destinate alla conversazione, con poltrone e divani che sostituivano le seggiole e le panche. Strutture verticali come gli armadi e le credenze andarono a sostituire progressivamente strutture orizzontali come i bauli e le casse. Le case dei ceti più agiati cominciarono a dedicare spazi anche alle scrivanie e agli scaffali per libri e documenti, al fine di permettere la lettura, la scrittura, la riflessione, l’esercizio delle attività contabili.
Cambiò anche il sistema di illuminazione dell’ambiente domestico: i vetri trasparenti e le tende chiudevano le finestre sostituendo i pannelli opachi o di legno. L’introduzione di lumi nelle strade – non sempre ben accetta da poveri e marginali come vagabondi, malati di mente, donne vedove o ripudiate, che si sentivano sorvegliati e limitati nel loro spazio di azione, al riparo dall’occhio delle autorità – fu accompagnata da un più intenso uso privato delle lampade, che consentivano di destinare al lavoro o ad attività ricreative anche le ore successive al tramonto.

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I focolari e i caminetti cominciarono a cedere il passo a stufe di ghisa o ceramica che consentivano di propagare il calore in maniera più uniforme o di cucinare senza stare chini verso il suolo, ma richiedevano anche fonti di energia come la legna e il carbone, soggetti a notevoli oscillazioni di prezzo.

Acqua, igiene personale, abbigliamento
L’uso dell’acqua cambiò radicalmente, soprattutto nei contesti urbani: da risorsa naturale disponibile per tutti gli usi agricoli e industriali, si trasformò lentamente in una fonte energetica per azionare macchine a vapore, pompe idrauliche e impianti industriali. Nella sfera personale divenne una componente essenziale per l’igiene. Se sovrani e nobili di antico regime avevano l’abitudine di fare il bagno una o due volte l’anno, nel Settecento tale pratica acquisì una cadenza settimanale per larga parte della popolazione.
Anche le trasformazioni dell’abbigliamento interessarono principalmente le aree cittadine. Si diffuse l’uso di capi di biancheria in cotone che sostituirono la seta e la lana, avvantaggiandosi del fatto che erano più facilmente lavabili. Le camicie si diffusero su larga scala. La deperibilità dei tessuti non garantiva che durassero molti anni, ma in una sola settimana potevano essere cambiate e smacchiate più di una volta. Essendo fabbricate in serie, inoltre, non erano più facilmente distinguibili fra loro: potevano essere indossate da borghesi e da popolani, che ridimensionavano (ma di certo non eliminavano) i tratti distintivi del loro modo di vestire anche in nome di un gusto comune, o di una “moda[ 5].

Nella Parigi del Settecento, per esempio, erano i giornali, i fogli volanti, gli avvisi pubblicitari e persino le bambole a far circolare immagini di abiti. Ne traevano beneficio le attività di sarti, negozianti, rigattieri, ambulanti e lavandaie, che incrementavano la loro attività e il loro volume d’affari. Comprando o scambiandosi i nuovi oggetti in circolazione, persone di diversa condizione sociale (dai più poveri ai più ricchi) potevano cercare di immaginarsi con una libertà maggiore rispetto al passato ed eventualmente autorappresentarsi cercando di costruirsi identità diverse e più flessibili, fuori dalle gerarchie tradizionali.

Storie. Il passato nel presente - volume 2
Storie. Il passato nel presente - volume 2
Dal 1715 al 1900