2.1 I fattori caratterizzanti del mutamento

Per riprendere il filo…

La disgregazione o la crisi dei complessi organismi politici sui quali si basavano gli imperi asiatici (Cina, India, Persia) offrì ai paesi europei la possibilità di affermare nuove forme di influenza e di stabilire un controllo più deciso sulle tratte commerciali. Anche l’Africa e le Americhe erano diventate parte integrante di un sistema complesso di scambi e di sfruttamento della forza lavoro, nel quale gli Stati del Vecchio continente riuscirono a svolgere un ruolo centrale, pur rimanendo al loro interno incentrati sull’agricoltura e sull’artigianato. Il rapporto fra la popolazione e le risorse rimaneva centrale, anche per gli andamenti demografici: le fasi di crescita erano intervallate da altrettante fasi di contrazione, a cadenza pressoché regolare. Uno degli stimoli più forti all’interruzione di questo meccanismo era proprio la formazione di un’economia planetaria, che incentivava la competitività e imponeva la necessità di velocizzare i processi produttivi.

2.1 I fattori caratterizzanti del mutamento

Crescita e decrescita demografica
Tra la fine del XVII e la prima metà del XVIII secolo, l’Europa fu interessata da un’espansione che si manifestò in diverse direzioni: l’agricoltura aumentò la produttività, l’attività manifatturiera si intensificò in maniera significativa, il commercio trovò un nuovo slancio sul panorama continentale e intercontinentale e la popolazione aumentò. I calcoli degli studiosi, per quanto approssimativi, portano a ipotizzare un passaggio da 120 a quasi 150 milioni di abitanti, che incontrò tendenze simili in altre aree del pianeta come l’Asia – decisamente quella più popolata, con circa mezzo miliardo di persone e una tendenza alla crescita vicina al 50% – e le Americhe, che invece si avvicinarono al raddoppio, passando da 12 a oltre 20 milioni di individui).
La crescita della popolazione in età moderna (milioni di abitanti)
Anno Europa
(compreso Impero russo)
Asia Africa America Oceania Mondo
1400 65 201 68 39 2 375
1500 84 245 87 42 3 461
1600 111 338 113 13 3 578
1700 125 433 107 12 3 680
1750 146 500 104 18 3 771
1800 195 631 102 24 2 954

Fonte: M. Livi Bacci, Storia minima della popolazione del mondo, il Mulino, Bologna 1998

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Risorse e popolazione

Nel corso dell’età moderna, l’incremento della popolazione europea era stato costante e continuo, ma lento. Nel Seicento si erano registrate infatti forti frenate, derivanti anche dal ristagno o dall’indebolimento della penisola italiana e di quella iberica, in parte compensate dalla crescita demografica dell’area settentrionale e orientale del continente. Sicuramente i fattori in gioco furono molteplici: il clima, le guerre, le epidemie e la scarsità di beni primari acceleravano una mortalità che, in condizioni ordinarie, era già parecchio elevata. Al termine delle crisi, seguivano cicli di sviluppo demografico, a loro volta chiusi da periodi di declino.

L’economista inglese Thomas Robert Malthus (1766-1834) elaborò alla fine del XVIII secolo una teoria sul rapporto fra risorse e popolazione: mentre le prime aumentavano in progressione aritmetica, la seconda conosceva un più veloce incremento geometrico. Questa dinamica poteva essere tuttavia frenata con azioni di prevenzione: i governi erano chiamati a fare in modo che i giovani ritardassero l’età del matrimonio nella consapevolezza che un numero elevato di figli poteva diventare un danno per la famiglia e per l’intera comunità. D’altro canto era inevitabile che un’eccessiva crescita di popolazione portasse a carestie, epidemie e conflitti che alzavano il numero dei decessi e consentivano all’intero corpo sociale di ristabilire un equilibrio con le risorse disponibili [ 1].

Una crescita a diverse velocità, ma comunque irreversibile

Fino al Seicento, questi processi alternati di espansione e contrazione demografica si traducevano in un tasso d’incremento annuo attorno allo 0,5%. La situazione cambiò solo nel Settecento: nonostante l’assenza di censimenti, gli studiosi concordano infatti nell’osservare che la riduzione della  mortalità compensò abbondantemente quella della  natalità, producendo un irreversibile saldo positivo destinato a caratterizzare i secoli successivi (transizione demografica) [▶ fenomeni].

Questo fenomeno ebbe una distribuzione geografica disomogenea. Tante variabili agivano in questa interazione: la minore incidenza delle malattie, l’alimentazione, l’igiene, i radicali cambiamenti degli stili di vita, la maggiore sopravvivenza dei neonati e i minori decessi per le partorienti. In alcuni casi, poi, un ruolo decisivo lo giocarono gli ampi territori inabitati da utilizzare per nuove forme di sfruttamento, come in Russia e Ungheria (passate in un secolo rispettivamente da 13 a 30 e da 2 a 4 milioni di abitanti).

Le epidemie mortali calarono in tutto il continente: la rarità della peste, tuttavia, fu compensata dalla persistenza di infezioni polmonari, tifo, vaiolo. Le guerre furono frequenti, ma ebbero un carattere meno esteso sul piano territoriale, limitando il loro raggio d’azione poco oltre i campi di battaglia e mietendo un numero limitato di vittime al di fuori degli eserciti. Un peso importante lo ebbe certamente l’incremento del numero assoluto dei nati, che in alcuni casi fu legato al tramonto di rapporti di dipendenza economica che frenavano l’accesso alle nozze e alla diffusione del lavoro salariato, ma in altri casi coincise con il cambiamento delle abitudini alimentari e alla diffusione di cibi a base di latte, patate, mais, grano saraceno, capaci di nutrire meglio l’organismo umano e proteggerlo dalle malattie.

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  fenomeni

I censimenti di antico regime

Il censimento era sconosciuto in antico regime: operazioni finalizzate ad avere un quadro completo della popolazione lontanamente simili a quelle odierne cominciarono ad aver luogo solo nel XIX secolo. Esistevano tuttavia indagini per la numerazione dei fuochi o per il conteggio degli abitanti di alcune aree. Erano condotte per perfezionare i meccanismi di prelievo fiscale, per poter fronteggiare eventuali crisi di approvvigionamento e quantificare il cibo da distribuire e per reclutare soldati da portare in guerra. È facile, quindi, immaginare come le ricerche sulla storia demografica siano estremamente complesse e le cifre disponibili siano forzatamente approssimative.

Restano fondamentali per gli studiosi le fonti ecclesiastiche, soprattutto quelle prodotte dai parroci delle aree cattoliche che cominciarono a compilare regolarmente libri per registrare battesimi, matrimoni, morti, “stati delle anime” (elenchi di coloro che dovevano avere accesso alla confessione e all’eucarestia per l’adempimento del precetto pasquale), seguendo le imposizioni del Concilio di Trento.

Anche nelle aree di confessione protestante, le chiese si posero il problema del controllo della vita dei fedeli e ricorsero a strumenti simili, che consentono oggi di avere informazioni importanti anche sulla composizione delle famiglie, sulla tendenza alla mobilità, sulla capacità riproduttiva delle coppie ecc. Avendo a disposizione serie documentarie ampie e prive di lacune, gli studiosi possono cercare di formulare ipotesi attendibili sulla natalità, la nuzialità (ovvero la frequenza dei matrimoni), la mortalità.

Le metamorfosi del mondo agricolo

I rendimenti dell’agricoltura restavano modesti. Il raccolto moltiplicava non più di sei volte i semi, i concimi a disposizione erano pochi e si ricorreva spesso a soluzioni di fortuna: la scarsità di escrementi animali spingeva alcuni, per esempio, a fare ricorso anche ai rifiuti urbani. Le rotazioni triennali rimanevano prevalenti, destinando i terreni alla coltivazione di alcuni prodotti (prevalentemente cerealicoli) per due anni e lasciandoli a riposare nel terzo per permettere al suolo di recuperare la sua fertilità. Al pascolo si riservavano ancora i campi aperti, con risorse naturali comuni per alimentare gli animali, per la caccia, la pesca, la raccolta della legna e dell’acqua.

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Nel corso del Settecento, divennero gradualmente più diffusi i metodi intensivi, capaci di aumentare la redditività degli appezzamenti. Ciò avvenne soprattutto in aree – come il settentrione della penisola italiana – che potevano contare su una grande abbondanza d’acqua grazie a un fitta rete di fiumi e a frequenti piogge. Ciò nonostante, la svolta si ebbe solo nei paesi che videro un intervento diretto di proprietari disposti ad adottare comportamenti imprenditoriali e a investire grosse somme per assumere lavoratori, comprare bestiame, fertilizzanti, attrezzi per l’aratura. In tal modo, si giunse nel giro di qualche decennio anche al raffinamento delle tecniche di coltivazione con rotazioni molto più complesse (anche decennali e oltre), fino ad aumentare in maniera sensibile la quantità di prodotti da immettere sul mercato.

Diverse zone furono interessate da queste trasformazioni – dalla Spagna ai Paesi Bassi, dalla Danimarca all’area tedesca – ma il fenomeno assunse dimensioni macroscopiche in Inghilterra, dove si ridussero drasticamente i campi aperti e si intensificò la pratica delle recinzioni (enclosures [▶ FONTI]). A differenza di quanto era accaduto nei secoli precedenti, queste ultime persero il loro carattere occasionale e divennero sistematiche, andando a favorire un regime produttivo più efficiente, fondato sull’adozione di nuove tecniche e sul definitivo superamento del sistema dell’autoconsumo: i proprietari chiedevano l’intervento diretto del parlamento che, attraverso appositi Enclosure Acts, provvedeva a ridisegnare e razionalizzare il suolo coltivabile. Siepi e palizzate venivano alzate per impedire il libero transito da un terreno all’altro, completando un complesso e pluridecennale processo di accorpamento delle terre. In assenza di risorse necessarie per affrontare le spese di gestione, i possessori di piccoli appezzamenti si trovarono sempre più nella condizione di dover cedere la loro attività: ne conseguì un aumento delle grandi aziende agricole.

Nelle nuove tenute si sperimentavano metodi di lavoro di maggiore complessità con macchinari più efficienti e costosi: in tal modo si creavano le condizioni necessarie per massimizzare i profitti e per portare una grande quantità di prodotti sui mercati continentali e intercontinentali.

Urbanizzazione, inflazione, trasporti
Quella che avvenne nel Settecento fu quindi una vera e propria “rivoluzione agricola”. Le campagne riuscirono a offrire una quantità crescente di prodotti, impiegando sempre meno forza lavoro. Le mutate dinamiche della vita rurale contribuirono a mettere in circolazione beni alimentari sufficienti per mantenere una popolazione che, per più della metà, non si occupava più di coltivazione o di allevamento. Sempre più persone poterono contribuire al fenomeno dell’urbanizzazione spostandosi verso le città, dedicandosi alla manifattura, al commercio e ad altre attività.

La crescita demografica portò a un aumento della domanda, che influenzò a sua volta un rialzo dei prezzi dei prodotti agricoli, stimolando la produzione e lo scambio. Le grandi città europee come Londra, Parigi, Berlino, Vienna, Mosca o Napoli manifestarono – in seguito all’aumento della popolazione – il bisogno di un approvvigionamento più consistente. La scarsa disponibilità di beni alimentari, soprattutto in ambito cittadino, si tradusse in un aumento dei prezzi. I metalli preziosi provenienti dalle miniere dell’America meridionale furono a loro volta un fattore di stimolo per l’inflazione. Gli investimenti dei poteri politici su strade e canali furono consistenti, ma altrettanto lo furono quelli dei privati, intenzionati a migliorare le vie di comunicazione (strade, canali, rotaie) per velocizzare il trasporto delle merci. Secondo i calcoli più attendibili tentati dagli studiosi negli ultimi anni, i tempi richiesti per gli spostamenti via terra si ridussero di circa due terzi fra XVIII e XIX secolo. All’interno di singoli Stati che si distinguevano per la loro tendenza all’innovazione come l’Inghilterra, la riduzione arrivò addirittura all’80%.

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FONTI

Arthur Young: le tecniche agricole e l’importanza delle recinzioni

Il proprietario terriero Arthur Young (1741-1820) fu tra i più convinti sostenitori delle nuove tecniche agricole e dell’importanza delle enclosures. Le sue idee divennero oggetto di dibattito dopo la pubblicazione di libri e articoli su fogli periodici. Nel 1771 diede alle stampe il testo intitolato The Farmer’s Tour through the East of England (“Viaggio nelle fattorie dell’Inghilterra orientale”), dal quale sono tratti i seguenti passi riguardanti l’agricoltura del Norfolk.


Si sono ottenuti grandi miglioramenti con i seguenti mezzi:

1 – Con le recinzioni

2 – Con l’uso di marna (roccia ridotta in polvere e calce) e argilla

3 – Con una migliore rotazione dei raccolti […]

6 – Con la concessione di lunghi contratti d’affitto da parte dei proprietari

7 – Con la divisione della contea in grandi fattorie […]

La recinzione del terreno, l’uso della marna, il mantenimento di un gregge grande a sufficienza per stabbiare,1 sono in modo assoluto ed esclusivo attività che possono permettersi soltanto i grandi agricoltori. Dividete le grandi proprietà in poderi da cento sterline l’anno e non troverete nient’altro che mendicanti ed erbacce nell’intera contea.


Guido Dall’Olio, Storia moderna. I temi e le fonti, Carocci, Roma 2004

Storie. Il passato nel presente - volume 2
Storie. Il passato nel presente - volume 2
Dal 1715 al 1900