15.3 La potenza ottomana e i conflitti nel Mediterraneo

15.3 La potenza ottomana e i conflitti nel Mediterraneo

Il mondo ottomano

Dopo la morte di Solimano il Magnifico [▶ cap. 12.5], il nuovo sultano Selim II (1566-74) si trovò alla guida di un organismo politico dinamico ma fortemente eterogeneo, che comprendeva popolazioni turche, arabe, greche, albanesi, bulgare, serbe, magiare e transilvane. Le posizioni dominanti erano nelle mani dei sudditi di religione musulmana, ma la presenza di altri culti veniva tollerata ed era sufficiente convertirsi all’islam per godere di un maggiore prestigio sociale e aspirare addirittura a essere accolti a corte. Non stupisce quindi che molti abitanti della penisola italiana decidessero di attraversare il mare alla ricerca di condizioni di vita migliori, liberi dall’oppressione fiscale spagnola e dalle prepotenze della nobiltà feudale.

Sul fronte spagnolo, la presenza di un concorrente tanto forte e prestigioso provocava molte paure. Se l’egemonia sulla penisola italiana garantiva a Filippo II una posizione favorevole nel Mediterraneo, infatti, lo esponeva anche al pericolo delle incursioni di pirati e corsari e alle minacce di un attacco militare [▶luoghi]. Nel 1570, dopo aver tentato di impossessarsi di Malta, la flotta del sultano sferrò un attacco contro l’isola di Cipro, che aveva un importante ruolo strategico per l’intero Occidente cristiano, essendo l’avamposto orientale della Repubblica di Venezia. Nello stesso periodo Tunisi, conquistata dall’Impero asburgico nel 1535, finì sotto il controllo del ▶ bey di Algeri, alleato del sultano.

  luoghi

La Puglia, frontiera contro “il Turco”

Tra i luoghi della penisola italiana esposti agli attacchi ottomani c’era sicuramente la costa pugliese. Fin dall’assedio di Otranto del 1480 si erano create molte occasioni per costruire una capillare propaganda (voluta da poteri secolari ed ecclesiastici) finalizzata a fare in modo che le popolazioni percepissero una forte sensazione di accerchiamento. 

Già intorno al 1528, prima di diventare inquisitore di Bologna, il domenicano Leandro Alberti (1479-1552) aveva messo mano a una corposa opera intitolata Descrittione di tutta l’Italia, destinata a essere ristampata per ben 12 volte fra Italia e Germania fino al 1596. L’opera contribuì a costruire l’immagine dell’Italia in Europa, anche negli anni che seguirono la battaglia di Lepanto, affidando alla Puglia il ruolo di frontiera locale nell’ambito di uno scontro fra grandi potenze. 

Di fatto l’islam ottomano si espan­deva dal­l’Africa set­tentrionale fino a lambire la Sicilia e le coste dell’Adriatico: mentre una formazione politica ancora prestigiosa come Venezia riusciva a trovare metodi di difesa, i litorali come quello pugliese rimanevano esposti alla pirateria e alla guerra di corsa. 

Come ha sottolineato lo storico Giovanni Ricci, Alberti lavorò sul campo raccogliendo testimonianze dirette di incontri con “il Turco”. In mancanza di superstiti, si rivolse a figli, nipoti e parenti, costruendo delle vere e proprie inchieste incentrate sulla memoria orale, lasciando vedere come alcuni sentimenti di paura e ostilità si fossero sedimentati nel patrimonio culturale del­la collettività.

La battaglia di Lepanto

La reazione cristiana fu affidata all’iniziativa di papa Pio V (1566-72) che cercò di costituire una Lega Santa in difesa della fede affiancando alla Spagna e alla Serenissima l’aiuto militare di Genova, del Granducato di Toscana, dei ducati di Urbino, Parma, Mantova, Ferrara e Savoia. Il comando della flotta, che recava il vessillo crociato, fu affidato a Giovanni d’Austria, condottiero e diplomatico spagnolo (nato da una relazione clandestina di Carlo V, era fratellastro di Filippo II). Lo scontro con le ▶ galere ottomane avvenne nei pressi di Lepanto, all’ingresso del Golfo di Corinto, nell’ottobre del1571. Lo schieramento cristiano, pur potendo contare su un numero inferiore di imbarcazioni, aveva a disposizione una maggiore potenza di fuoco e riuscì a prevalere. Stando ai numerosi resoconti manoscritti e a stampa pubblicati nei paesi delle forze vincitrici, la battaglia fu decisa da sanguinosi scontri corpo a corpo sui ponti delle navi [ 4].

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La propaganda messa in campo dai poteri secolari e religiosi trasformò i guerrieri in martiri che davano la vita per difendere le loro terre dagli infedeli; molti scrittori e artisti esaltarono la vittoria interpretandola come il trionfo dei valori della Chiesa del Concilio di Trento. Tuttavia, l’impatto culturale dell’evento non fu seguito da importanti riscontri sul piano politico: ben presto infatti riemersero le divisioni tra le forze alleate della Lega Santa. Genova tornò a competere con l’odiata Venezia, che dal canto suo stipulò una pace separata con Istanbul e facendo prevalere le ragioni commerciali su quelle territoriali rinunciò a Cipro; pur registrando un arretramento rispetto al vecchio splendore, la Serenissima continuò a far sentire la sua presenza sul mare, conservando avamposti importanti per le attività mercantili. La Spagna invece, come si è visto, rivolse la sua attenzione al fronte settentrionale. Lo stesso Impero ottomano si trovò costretto ad allontanare le sue forze militari dal Mediterraneo per fronteggiare nuovamente la potenza persiana.

Il Mediterraneo dopo Lepanto

Nonostante la contrapposizione politico-religiosa fra la sponda cristiana e quella islamica, il Mediterraneo rimase un crocevia di merci e di culture. Le spezie e le sete orientali continuarono ad arrivare nei porti europei, insieme a grano, sale e altri beni di prima necessità. L’abbondanza dei carichi, come si è detto, stimolava gli appetiti dei pirati e nel periodo che seguì lo scontro di Lepanto la navigazione divenne più insicura [ 5]. Gli Stati barbareschi dell’Africa settentrionale – vale a dire quelli formati intorno a centri come Tripoli, Tunisi, Algeri, sulla costa berbera – approfittarono dei rapporti poco definiti con l’Impero ottomano per intraprendere azioni autonome sul mare e intensificarono la guerra di corsa  [▶ cap. 12.5]. Come i pirati, anche i corsari anteponevano la conquista del bottino a qualsiasi considerazione morale o religiosa ma, a differenza della semplice pirateria, la guerra di corsa era autorizzata dai governi.

Anche formazioni politiche dell’Europa cristiana se ne servirono: gli olandesi e gli inglesi, per esempio, cominciarono a far sentire la loro presenza sui mari. I loro velieri veloci e ben equipaggiati erano presto destinati a mettere in discussione i primati tradizionali, primo fra tutti quello veneziano [▶ cap. 10.2]. Il giro di affari dei corsari coinvolse inoltre alcuni porti della penisola italiana, come quelli della Repubblica di Genova e del Granducato di Toscana, intorno ai quali fiorirono organizzazioni militari e religiose che approfittavano delle razzie di merci e del lucroso sistema dei riscatti degli schiavi catturati in mare.

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15.4 L’Inghilterra nell’età elisabettiana

Fra cattolicesimo e protestantesimo

Nel suo breve regno, Edoardo VI (1547-53) non solo proseguì l’impegno di Enrico VIII nell’opera di sradicamento dell’influenza della Chiesa cattolica romana, ma si impegnò anche nello sforzo di adattare la Chiesa anglicana al costume calvinista [▶ cap. 13.5]. Il sovrano morì però giovanissimo e senza eredi, lasciando sul trono la sorella Maria Tudor (1553-58) [ 6], figlia di Enrico VIII e Caterina d’Aragona e moglie di Filippo II (la seconda di quattro per il re spagnolo). La regina iniziò un’opera di restaurazione del cattolicesimo usando metodi tanto violenti da meritarsi l’appellativo di “Maria la sanguinaria” (Bloody Mary). La sua opera si rivelò comunque effimera, dal momento che la popolazione rimaneva ostile al cattolicesimo e il potere della corona, nelle sue declinazioni politiche e religiose, era percepito come espressione di una potenza straniera (la Spagna).

Maria morì nel 1558 senza aver avuto figli; a succederle fu la venticinquenne Elisabetta (1558-1603), la seconda figlia di Enrico VIII, nata dal matrimonio con Anna Bolena [▶ altri LINGUAGGI, p. 472] . La nuova regina si mostrò ostinata nel non accettare i suoi numerosi pretendenti, perché pensava che nessuno di loro avrebbe potuto realmente rafforzare il suo paese [ 7]. Fra essi c’era lo stesso Filippo II, che vedeva nel matrimonio con Elisabetta una possibile risposta all’alleanza venutasi nel frattempo a creare tra la Francia di Francesco II e la Scozia di Maria Stuart, sposi nel 1558: un’alleanza tanto più temuta in quanto Maria Stuart era anche la prima erede al trono d’Inghilterra, dopo Elisabetta.

Alle alleanze dinastiche Elisabetta prepose altre priorità, a partire da una politica religiosa improntata al ripristino della confessione anglicana e all’eliminazione di ogni residua influenza della Chiesa cattolica nel paese. Affermò la sua supremazia in materia religiosa con la Legge di supremazia (1563), che stabiliva il controllo della corona sul clero, ma non poté sfuggire a forme di compromesso liturgico con cattolici e protestanti: il Book of Common Prayer imposto con l’Atto di Uniformità del 1559 rispettava ancora la liturgia tradizionale, conservando punti di contatto con il cattolicesimo, mentre i Trentanove articoli di fede promulgati nel 1571 erano di chiara ispirazione calvinista.

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Le tensioni religiose si accompagnavano, come in altre realtà europee, a tensioni politiche. I contrasti fra il potere centrale e il parlamento furono frequenti, ma una vasta schiera di fedelissimi continuò a sostenere la sovrana. Nondimeno, il tentativo di accontentare tutte le fazioni risultò problematico; a manifestare malcontento furono soprattutto i calvinisti più intransigenti, detti puritani, che chiesero in diverse occasioni l’abolizione dei vescovadi e la cancellazione di ogni residuo cattolico dalla pratica del culto.

Il commercio marittimo

Consapevole di non poter competere sul piano militare con lo Stato più potente del tempo, la Spagna, Elisabetta rivolse i suoi sforzi al tentativo di stimolare lo sviluppo economico interno, stabilendo rapporti commerciali nel Mar Baltico e nel Mare del Nord e rafforzando persino i contatti con l’Estremo Oriente. Alle vecchie corporazioni di mercanti si sostituirono società legate alle corona, dotate di ▶ privilegi ufficiali per gestire il commercio in aree specifiche: fra queste la Compagnia di Moscovia (per le regioni baltica e russa), la Compagnia del Levante (per l’Impero ottomano) e la celebre Compagnia delle Indie Orientali, creata nel 1600.

Una buona fetta degli affari marittimi fu affidata anche ai corsari: con il tacito appoggio della corona, che cercava in tutti i modi di non farsi coinvolgere direttamente nelle loro azioni, essi percorrevano le tratte atlantiche scambiando merci e schiavi con le colonie spagnole del Nuovo Mondo e attaccavano le imbarcazioni cariche di metalli preziosi nel Mediterraneo. Alcuni di loro conquistarono una notevole fama: fra il 1577 e il 1580 Francis Drake riuscì a circumnavigare il globo, saccheggiando le coste dell’America meridionale. Poco dopo, nel 1585, una spedizione guidata da Walter Raleigh riuscì a impiantare una colonia inglese nella parte settentrionale del Nuovo Mondo, ribattezzandola “Virginia” in onore della “regina vergine” Elisabetta [▶ protagonisti].

  protagonisti

I corsari inglesi

Fin dal XII-XIII secolo abbiamo tracce di “lettere” o “patenti” di corsa rilasciate da sovrani o principi territoriali, ma non bisogna pensare che questo tipo di attività fosse sempre considerato legittimo. In realtà queste “lettere” consentivano, in molti casi, l’esercizio della violenza solo contro nemici considerati responsabili di misfatti o di condotte illecite. Per chi praticava la guerra di corsa, però, il profitto derivava solo dai bottini o dal rapimento di membri dell’equipaggio, venduti come schiavi o liberati dietro pagamento di un riscatto, perciò capitava spesso che venissero attaccati obiettivi al di fuori dei limiti imposti. Questi comportamenti, che potevano causare seri incidenti diplomatici, erano in genere tollerati in quanto servivano ad assicurarsi la fedeltà dei marinai. Solo agli inizi del Settecento alcuni trattati internazionali (come quello di Utrecht nel 1713) cominciarono a stabilire dei limiti agli Stati per la concessione di lettere o patenti di corsa.

Drake e gli altri

A differenza dei pirati, che avevano i loro rifugi in isole lontane o in luoghi appartati, i corsari erano personaggi pubblici: Francis Drake, di ritorno dal suo viaggio intorno al mondo, fu nominato sir dalla regina. Durante il lungo regno di Elisabetta I, corsari come lo stesso Drake, Thomas Cavendish, John Hawkins e Walter Raleigh si resero protagonisti di clamorose imprese nell’Oceano Atlantico, colpendo navi e città spagnole, e il loro appoggio fu determinante per sconfiggere la minaccia di invasione durante la guerra mossa da Filippo II.

Le imprese di questi personaggi diedero anche un forte impulso alla colonizzazione britannica del Nuovo Mondo, finora praticamente lasciato in mano ai popoli iberici, e posero le basi per una politica espansiva che avrebbe condotto la Gran Bretagna alla formazione di un immenso impero.

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Un paese in trasformazione 

In ambito economico, la regina puntò alla stabilizzazione della moneta e all’alleggerimento del prelievo fiscale per favorire l’acquisizione di terre e immobili, anche cedendo beni della corona, e creare una nuova fascia sociale di possidenti, attivi e dinamici. Il suo scopo era diminuire il peso della vecchia nobiltà titolata nelle realtà locali, inducendola a rifugiarsi negli agi della corte.

L’ascesa dei proprietari terrieri causò però forti problemi: per massimizzare la produzione attraverso metodi più intensivi di coltivazione, essi protessero i loro ampi appezzamenti con recinzioni (enclosures) che impedivano i tradizionali usi comuni delle terre e dei boschi. I contadini, che contavano sull’uso collettivo del suolo pubblico per la loro sopravvivenza, si trovarono in grave difficoltà; molti si rifugiarono nel vagabondaggio, inducendo il potere centrale a emanare leggi specifiche per arginare la crescente povertà [▶ fenomeni].

Nonostante le difficoltà legate a queste grandi trasformazioni – che avrebbero consentito all’Inghilterra, di lì a poco, di giocare un ruolo di primo piano in ambito internazionale – l’età elisabettiana fu segnata anche dallo sviluppo di un notevole orgoglio patriottico. La popolazione si strinse letteralmente intorno alla sua sovrana e trovò dei punti di riferimento simbolici in grandi personalità che riuscirono a rappresentare la cultura e l’identità inglese nell’arte, nell’architettura, nella musica, nella filosofia e nella letteratura: basti ricordare che in questo periodo videro la luce i capolavori teatrali di Christopher Marlowe e William Shakespeare [ 8].

  fenomeni

La povertà

Poveri e povertà nel XVI secolo

Il pauperismo, cioè una rapida diffusione della povertà, fu un fenomeno economico, sociale e culturale caratteristico dell’Europa a partire dal XVI secolo. Le cause potevano essere di diversa natura: crisi economiche, guerre, carestie, catastrofi naturali potevano alterare equilibri consolidati, riducendo in povertà persone prima capaci di sostentarsi con le proprie forze. In alcuni casi, tuttavia, erano le scelte dei governi o i contrasti fra ceti dominanti ad alterare i rapporti di produzione, causando problemi di approvvigionamento e inducendo individui o gruppi a porsi ai margini della società, tra privazioni, stenti e malnutrizione.

La povertà come fenomeno collettivo non è di certo un tratto specifico dell’età moderna. A partire dal XVI secolo, tuttavia, questo problema si intrecciò con il rafforzamento delle strutture statali, sempre più coinvolte negli sviluppi economici del territorio e costrette, di conseguenza, a fronteggiare tendenze come l’abbandono dei campi da parte dei contadini sfruttati dai possidenti terrieri, il rifugio in massa nei centri urbani, il ricorso massiccio alla beneficenza di istituzioni religiose, il proliferare dell’accattonaggio.

La poor law elisabettiana

Un po’ ovunque si verificarono episodi di rivolta, ma ci sono evidenti differenze fra i diversi contesti. Negli Stati della penisola italiana, per esempio, gli atteggiamenti dei poteri secolari nei confronti dei mendicanti erano esitanti e spesso era il clero a offrire loro forme di soccorso. Nei paesi protestanti, invece, l’azione repressiva fu certamente più determinata, ma anche accompagnata da opere di assistenza. In questo contesto va collocata la cosiddetta poor law, perfezionata in Inghilterra tra il 1597 e il 1601: il principio di base che ispirava i provvedimenti voluti dalla regina Elisabetta era il recupero sociale dei marginali attraverso il loro reinserimento nei circuiti del lavoro. I bambini poveri erano chiamati a sostenersi a vicenda e a sperimentare forme di solidarietà reciproca, oltre che a intraprendere percorsi di formazione e a imparare un mestiere, Allo stesso modo, gli adulti erano obbligati a frequentare dei luoghi definiti houses of industry: il governo metteva a loro disposizione i materiali e gli strumenti per rendersi produttivi e utili al corpo sociale.

Gli unici ad aver diritto comunque a un aiuto (cibo, denaro, abiti) erano gli inabili all’attività lavorativa. I mendicanti fisicamente in salute che si rifiutavano di lavorare erano considerati nemici pubblici ed erano destinati alla prigione. Lo scopo delle autorità era comunque rinchiudere la povertà e le altre forme di marginalità all’interno di recinti precisi, nella paura che il disagio potesse stimolare comportamenti devianti.

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Lo scontro con la Spagna e la successione

Sul fronte esterno, più di un fattore conduceva l’Inghilterra verso una posizione di rischioso isolamento. In primo luogo, come si è visto, la forza economica e militare della Spagna; in secondo luogo la posizione di papa Pio V, che nel 1570 dichiarò Elisabetta eretica e illegittima, invitando – senza però esito – i suoi sudditi a ribellarsi. Ulteriori problemi, infine, erano legati alla presenza sul suolo inglese dell’ex regina di Scozia, la cattolica Maria Stuart (1542-87), al centro di una serie di trame ordite dalla Spagna e dalla Santa Sede e simbolo delle speranze di una restaurazione cattolica [ 9]. Maria aveva abdicato al trono di Scozia nel 1567, dopo un’oscura vicenda che l’aveva vista accusata di aver organizzato l’omicidio del suo secondo marito, Lord Darnley (Francesco II di Valois, il primo marito, era morto dopo meno due anni di matrimonio). Cacciata dal suo paese, era stata accolta dalla stessa Elisabetta, che pure era la sua principale antagonista, ma nel 1587, divenuta ormai punto di riferimento per tutti gli avversari della corona, Maria fu accusata di tradimento e condannata a morte.

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Dal canto suo, Filippo II temeva la crescente potenza economica e militare dell’Inghilterra. Così, dopo l’uccisione di Maria Stuart colse l’occasione di far valere il suo ruolo di “difensore delle fede” mettendo in mare una grande flotta – la cosiddetta “Invincibile Armata” – per attaccare le coste inglesi e invadere il paese. Ma l’impresa non riuscì e le pesanti imbarcazioni spagnole furono messe in grave difficoltà da violente tempeste e dai continui attacchi delle più veloci navi nemiche, aiutate anche da corsari inglesi e olandesi.

L’episodio fu vissuto come una grande vittoria per la monarchia inglese, ma i problemi interni permanevano e non sembravano aperti a facili soluzioni, in particolare in vista della successione al lungo regno di Elisabetta. Poiché la sovrana non lasciava eredi diretti, il trono era destinato a Giacomo VI Stuart, figlio di Maria e nipote di una sorella di Enrico VIII. I dubbi su questa successione erano molto profondi, soprattutto in tema di politica religiosa, per il timore che potessero risorgere nel paese sentimenti filocattolici. Le minoranze cattoliche continuavano infatti a creare tensioni, soprattutto in Irlanda, dove la corona inglese, cui il paese era assoggettato, era vista come una forza colonizzatrice.

Storie. Il passato nel presente - volume 1
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Dal 1000 al 1715