4.5 L’Impero, tra Europa e Mediterraneo

Il controllo dei matrimoni tra nobili e l’esercizio dell’alta giustizia furono i mezzi più efficaci a disposizione del potere regio per risolvere a proprio vantaggio la competizione con le aristocrazie, insieme con la progressiva emanazione di leggi che avrebbero poi avuto una sistemazione organica soltanto nel Duecento. Di questa competizione si avvantaggiarono soprattutto le comunità ruraliche godettero di condizioni assai favorevoli in merito al prelievo signorile sulla produzione agricola, generalmente basso, e che difesero efficacemente le quote di terra e risorse in gestione comunitaria.

Disomogeneità interna e ingerenza esterna

Le tensioni tra sovrano e aristocrazia, la molteplicità dei centri di potere signorile nel Mezzogiorno continentale, la pluralità di componenti culturali e religiose, che non sempre convissero pacificamente, costituirono elementi costanti della vita del regno normanno. Inoltre, l’incertezza relativa al fatto che la trasmissione ereditaria non fosse ancora determinata in via di diritto consentì a un forte gruppo di laici ed ecclesiastici di schierarsi a favore di un coinvolgimento diretto dell’Impero nelle vicende del regno, come vedremo tra poco.

4.5 L’Impero, tra Europa e Mediterraneo

Frammentazione e debolezza dell’istituzione monarchica

 A differenza che in Francia e in Inghilterra, nelle terre dell’Impero non si verificò un processo di accentramento delle competenze e dei poteri del sovrano. Regni e principati scaturiti dalla crisi dell’ordinamento pubblico carolingio [ 10] mantenevano ampi margini di autonomia nei confronti di una figura regia cui erano demandati solo i compiti di giudice supremo e comandante degli eserciti reclutati dai principi vassalli. Questa debolezza si tradusse, in primo luogo, nella mancata affermazione di un principio dinastico di successione al trono di Germania (che infatti era ancora decisa per elezione dall’assemblea dei principi tedeschi) e inoltre nell’instabilità del patrimonio regio, che cambiava di volta in volta a seconda della casata ducale del re. Si ricorderà come già dai tempi di Ottone I il titolo di re di Germania era collegato a quelli di re d’Italia e di imperatore.


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A questa frammentazione politica e territoriale si aggiunsero le tensioni derivate dal complesso processo di riforma della Chiesa in atto tra l’XI e il XII secolo, che contribuirono a polarizzare gli schieramenti aristocratici in due fazioni: una egemonizzata dagli Hohenstaufen, duchi di Svevia, più tardi detta “ghibellina” (da Waibling, un castello nella Svevia), l’altra dai duchi di Baviera, chiamata in seguito “guelfi” (da Welf, capostipite della casata).

Federico I Barbarossa

Alla morte di Enrico V di Franconia, nel 1125, la scelta dei principi tedeschi cadde dapprima su Lotario, duca di Sassonia, e alla morte di questi, nel 1137, su Corrado III di Svevia. Per succedere a quest’ultimo, nel 1152, fu scelto un altro duca svevo, Federico Hohenstaufen detto “Barbarossa” (1152-90), che però discendeva per parte materna dalla casa guelfa; la sua elezione rappresentava dunque un tentativo di ricomporre gli aspri dissidi tra i gruppi aristocratici tedeschi.

Attraverso il rafforzamento dei vincoli feudali, il ricorso ad argomentazioni tratte dal diritto romano – secondo cui ogni autorità territoriale discendeva da quella dell’imperatore – e l’impiego di fedeli funzionari (ministeriales) nei domini della propria casata, Federico cercò risolutamente di ristabilire l’autorità imperiale tanto in Germania quanto nel Regno d’Italia, dove – come approfondiremo nel prossimo capitolo – l’affermazione dei comuni aveva limitato il controllo diretto del sovrano tedesco a poche aree. Nella Dieta di Roncaglia (1158) Barbarossa rivendicò appunto il principio di supremazia del potere regio-imperiale sulla pluralità di giurisdizioni e poteri esistenti nelle terre dell’Impero, legittimando il proprio tentativo di subordinare questi ultimi attraverso vincoli di natura feudale [▶ idee].

Tuttavia, la vicenda del processo intentato nel 1180 contro Enrico XII il Leone, duca di Sassonia e Baviera, rifiutatosi di sostenere la spedizione imperiale contro i comuni lombardi, chiarì i limiti dell’azione imperiale, che per essere efficace aveva bisogno del costante consenso dei grandi principati. Inoltre, la confisca dei domini ducali da parte di Barbarossa, avvenuta in base a norme del diritto feudale, non rafforzò il patrimonio regio, così come accadde in Francia o in Inghilterra: i ricchi territori furono infatti redistribuiti e il sovrano riuscì a mantenere solo un ruolo di coordinamento tra poteri che, riconoscendo formalmente la dipendenza dal re-imperatore, operavano in modo sostanzialmente autonomo.

Pochi anni dopo la risoluzione della crisi in Germania, nel 1186, Federico riuscì a stabilire un controllo imperiale sulle vicende della corona di Sicilia. Morto senza eredi il sovrano normanno, Guglielmo II, il trono doveva passare a Costanza d’Altavilla, figlia di Ruggero II e moglie di Enrico VI, figlio del Barbarossa. Enrico, scomparso il padre durante la terza crociata (1190), si trovò ad assommare il titolo di re di Germania, re d’Italia e imperatore; al trono di Sicilia invece gli si oppose Tancredi d’Altavilla, nipote illegittimo di Ruggero II, che godeva del sostegno di alcuni ambienti di corte ma soprattutto della Chiesa di Roma, timorosa di un accerchiamento da parte dell’Impero. Quando Tancredi morì, nel 1194, Enrico ottenne finalmente la corona e procedette con estrema durezza contro il ceto dirigente normanno che gli si era opposto. Da questo momento le vicende dell’Impero e del Regno di Sicilia furono strettamente connesse.

Nel 1197, con la prematura morte di Enrico, iniziarono anni di instabilità politica: il titolo imperiale fu a lungo conteso tra Filippo di Svevia, fratello di Enrico, e Ottone di Brunswick; poi Costanza, come reggente in nome del figlio avuto da Enrico, Federico II, prese la guida del regno, rinnovando il vassallaggio nei confronti del papa e accettando la rinuncia a ogni aspirazione al titolo imperiale. Come vedremo, le cose cambiarono nuovamente quando Federico, forte della sconfitta di Ottone di Brunswick a Bouvines (1214), divenne maggiorenne.

  idee

Il Sacro Romano Impero

“Sacro Romano Impero” è una formula che la cancelleria di Federico I iniziò a impiegare a fini di legittimazione e di polemica nei confronti della curia pontificia, traendo ispirazione anche dalla contemporanea riscoperta del diritto romano codificato in epoca giustinianea. Questa denominazione, con la quale generalmente si indica impropriamente l’Impero medievale fin dall’età di Carlo Magno, è dunque una novità del XII secolo (la prima attestazione è del 1180) e ha evidenti fini propagandistici.

Il titolo formalmente detenuto dagli imperatori è sempre e solo quello di Romanorum imperator, “imperatore dei Romani”; l’aggiunta dell’aggettivo “sacro” è sempre stata molto sporadica e solo dal 1474 sarà impiegato per definire formalmente l’Impero romano “di nazione germanica”.

Federico II 

In Germania le fazioni aristocratiche, che puntavano a erodere patrimoni e diritti regi, elessero contemporaneamente due re: Filippo di Svevia, fratello di Enrico, e Ottone IV di Brunswick (1209-15), duca di Baviera. A quest’ultimo diede il suo appoggio papa Innocenzo III, incoronandolo imperatore nel 1209. L’intervento di Ottone in Italia meridionale per ripristinare il controllo imperiale sul Regno di Sicilia rese tuttavia di nuovo plausibile il timore del pontefice di un’unione del regno all’Impero, timore che era sembrato svanire con la morte di Enrico VI; per questo Innocenzo scomunicò l’imperatore (1210) e si schierò con il figlio di Enrico, Federico II, che nel 1212 fu eletto “re dei Romani”. L’esito della battaglia di Bouvines, sfavorevole a Giovanni Senzaterra e a Ottone, decise anche le sorti di questo conflitto; la morte di Ottone, nel 1218, lasciò infine campo libero a Federico II, incoronato imperatore nel 1220.

L’elezione di Federico II si accompagnò però a una forte limitazione del suo potere. I testi giuridici tedeschi rappresentano infatti una catena di dipendenze feudali tra il re e i principi e tra questi e i signori minori, senza che tra le due sfere vi fosse alcun collegamento, ponendo dunque i principi in una posizione di vantaggio e di autonomia nei propri territori. Federico stesso emanò poi una serie di provvedimenti attraverso i quali legittimava la giurisdizione dei principi nei loro domini, attribuendo loro diritti di natura pubblica (battere moneta, imporre dazi e pedaggi, apprestare fortificazioni) e autolimitando l’iniziativa regia alla fondazione di città e alla concessione di statuti.

Alcuni tentativi di ristabilire il ruolo di garante della pace e di rafforzare la giurisdizione regia non sortirono grandi effetti: ferma restando la formale e ideale rappresentanza dell’Impero da parte del sovrano, la vera titolarità dei poteri pubblici era in mano ai grandi principi territoriali.

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Fu in questo periodo che sette dei maggiori principi tedeschi – i vescovi di Treviri, Magonza e Colonia, il re di Boemia e i principi di Palatinato, Sassonia e Brandeburgo – si riservarono la prerogativa di designare il re, mentre la partecipazione di altre potenze territoriali al quadro politico dell’area imperiale, attraverso la frequente convocazione di assemblee (Diete), consolidò un sistema di rapporti che si sarebbe protratto per tutta l’età moderna.

L’Europa orientale

Le vicende politiche dell’Impero e la concorrenza tra le Chiese di Roma e Costantinopoli [▶ cap. 2.3] ebbero profonda influenza anche nell’Europa orientale, dove la forza militare e politico-sociale dei regni e dei principati cristiani e l’attitudine missionaria delle organizzazioni ecclesiastiche e monastiche caratterizzarono la struttura delle nuove compagini politiche [ 11].

Già Ottone I aveva portato la frontiera dell’Impero al fiume Oder e nel corso del X secolo la fondazione dei vescovadi di Amburgo e Praga aveva contribuito a stabilire un’egemonia tedesca sulla regione, ma le successive rivolte degli slavi orientali avevano ricondotto i confini lungo l’Elba. Alla metà del XII secolo questa frontiera – una terra di nessuno in cui il vescovato di Magdeburgo costituiva un polo isolato – era stata nuovamente superata lungo la costa baltica, spesso per iniziativa militare dei duchi di Sassonia e Baviera. Questo movimento di espansione verso est (Drang nach Osten), che assumeva connotati religiosi poiché molte delle popolazioni slave orientali e baltiche erano ancora pagane, si accentuò con la fondazione di due ordini religioso-cavallereschi, i Teutonici e i Portaspada, il primo dei quali trasportò nel Nord Europa lo spirito della crociata oltremare. L’area di influenza tedesca si estese così alla Prussia e ai paesi baltici (gli attuali Lettonia, Estonia, Lituania), anche attraverso una massiccia colonizzazione contadina e la fondazione di numerosi insediamenti di diritto tedesco.

La Polonia e l’Ungheria

Nella seconda metà del X secolo si era intanto sviluppato, fra l’Oder e la Vistola, il Ducato di Polonia, originariamente tributario dell’Impero ottoniano  [ 12] poi regno autonomo (dal 1025) con Boleslao I, della dinastia dei Piasti, che contribuì fortemente alla cristianizzazione in senso romano di questi territori, in competizione con la Chiesa di Costantinopoli.

I suoi successori tuttavia non riuscirono a mantenere l’unità territoriale del regno. Si crearono così alcuni principati autonomi (la Piccola Polonia, con Cracovia; la Grande Polonia, con Gniezno e Poznan´; la Pomerania), tra i quali emerse soprattutto il Ducato di Boemia, elevato a regno da Federico Barbarossa, i cui titolari, come si è visto, divennero principi elettori dell’Impero a partire dal XIII secolo.

Anche nel caso dell’Ungheria il ruolo dell’Impero fu decisivo. Agli inizi dell’XI secolo, con Stefano I, la dinastia ungara degli Árpád assunse la dignità regia grazie al sostegno dell’imperatore Ottone III (996-1002) e del pontefice Silvestro II. La concorrenza tra Roma e Costantinopoli determinò tuttavia violente prese di posizione del regno in favore ora dell’Impero tedesco, ora di quello bizantino. Il matrimonio di re Colomanno I (1095-1116) con una principessa normanna riavvicinò il regno ungherese a Roma e questo legame con la Chiesa consentì di prendere il controllo sulla Croazia meridionale e sulla Dalmazia, provocando la reazione dell’imperatore bizantino Manuele Comneno (1143-80), che non voleva veder ridurre la propria influenza sui Balcani.

Pur dovendo destreggiarsi tra due imperi di teoriche aspirazioni universali, il regno ungherese costituì un grande tentativo di organizzare sul piano sociale e religioso popolazioni di varia cultura e provenienza stanziate nella grande pianura danubiana. Nel XIII secolo il regno visse una fase di forti difficoltà, tra i tentativi dell’aristocrazia di appropriarsi dei patrimoni regi e di esercitare giurisdizione in modo autonomo, l’influenza del vicino Impero tedesco e il sopraggiungere dei mongoli. All’estinzione della dinastia degli Árpád, ai primi del XIV secolo, seguì, come si vedrà, l’assunzione del regno da parte di un ramo degli Angioini, potente casata francese.

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L’Europa del Nord 

Vicende diverse connotarono la cristianizzazione delle genti scandinave. Così come le missioni verso il territorio compreso tra l’Elba e l’Oder, anche le missioni verso nord avevano come centro di irradiamento il vescovato di Amburgo. Qui tuttavia le scorrerie vichinghe avevano annullato gli scarsi successi ottenuti in Danimarca e in Svezia e la sede episcopale era stata distrutta e accorpata a quella di Brema. A partire dalla metà del X secolo, l’energica ripresa dell’Impero sotto gli Ottoni ridiede vigore all’attività missionaria, con la fondazione di alcuni episcopati dipendenti da Brema-Amburgo in Danimarca, mentre in Norvegia e Islanda operarono prevalentemente missionari anglosassoni.

L’estensione dell’influenza politica e religiosa dell’Impero fu tuttavia molto lenta e contrastata, tanto che la tradizione culturale germanica e vichinga non solo si conservò assai viva, ma trovò anche feconde espressioni nelle rielaborazioni letterarie di saghe eroiche e miti, innervate dal culto della forza virile e dominate da un senso tragico del destino umano. Solo nel secolo seguente la costituzione delle diocesi si completò in tutta la Scandinavia in concomitanza con l’affermazione di poteri regi in Norvegia, in Svezia e in Danimarca.

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4.6 I regni iberici

La penisola iberica cristiana 

Nella prima metà dell’XI secolo il quadro politico della regione iberica si era stabilizzato intorno a due nuclei di potere:

  • il Regno di León e Navarra, egemonizzato ora dalla Contea di Castiglia, che con Ferdinando I assurse anch’essa a dignità di regno (1032);
  • il Regno d’Aragona.

Oltre a questi due Stati si era sviluppata, sulla base territoriale di una marca carolingia, la Contea di Barcellona, che giocò un ruolo fondamentale sia nelle vicende politiche della Francia meridionale, sia nella nascita e nel consolidamento di un’identità catalana  [ 13].

I regni di Castiglia e Aragona furono anche i poli della conquista dei territori musulmani, che il primo attuò in nome di un concetto di regalità “imperiale”, cercando di unificare le altre realtà politiche cristiane, e il secondo perseguì invece lungo una propria traiettoria di espansione, orientata verso la costa mediterranea e il Mediterraneo orientale. I continui rimescolamenti politici, dinastici e territoriali avvenuti sia in campo cristiano, sia nei cosiddetti regni musulmani delle taifas – i piccoli potentati locali – con l’affermazione di Almoravidi e Almohadi, ebbero però come effetto la stagnazione del processo di espansione militare, che divenne una guerra di logoramento lungo una sempre mutevole frontiera.

Tra la fine dell’XI e la metà del XII secolo si disegnarono contorni più netti per i territori settentrionali: nel 1095 dalla Castiglia-León si separò la Contea di Portogallo, che procedette in un proprio ampliamento nell’area occidentale della penisola sino alla presa di Lisbona, nel 1157. Castiglia e Aragona continuarono invece la loro espansione territoriale lungo due direttrici diverse: la conquista castigliana più importante fu infatti quella di Toledo, nel 1085, da parte di Alfonso VI (che vi spostò la capitale da León), mentre gli aragonesi espugnarono nell’arco di un quarantennio le importanti città di Saragozza, Tortosa e Lérida. Dopo il 1134 la Navarra rimase sostanzialmente fuori dall’area della reconquista, mentre nel 1137 vicende dinastiche condussero all’assunzione del titolo regio d’Aragona da parte del conte di Barcellona  [▶ idee].

  idee

L’invenzione della reconquista

Il termine reconquista, a indicare il processo di espansione colonizzatrice cristiana della penisola iberica in contrasto con la conquista araba, non è entrato nel vocabolario spagnolo prima della seconda metà dell’Ottocento. In quel periodo un forte sentimento nazionalista rilesse in termini di omogeneo sforzo militare, culturale e religioso le complesse vicende che avevano visto le realtà politiche iberiche confrontarsi con i domini musulmani. Ne è derivata l’idea di un’identità spagnola, centrata sul ruolo della Castiglia e sul cristianesimo, forgiatasi nel­l’opposizione armata all’islam.

A partire dal secondo Novecento questo concetto è stato ridiscusso e superato dalla storiografia spagnola che lo ha interpretato come fenomeno complesso ed eterogeneo, ricostruendone i reali presupposti presenti nella cultura medievale e primo-moderna.

Le conseguenze della conquista 

Il coordinamento tra gli eserciti dei due regni condusse alla grande battaglia di Las Navas de Tolosa (1212), in cui le forze cristiane ebbero ragione della riscossa musulmana almohade, aprendo una nuova fase della guerra e una nuova dinamica del popolamento del centro della penisola. Da un lato, infatti, si rese necessario potenziare la cavalleria leggera cristiana, buona per attività di scorreria ma poco efficace contro eserciti ben organizzati e città munite come quelle musulmane, e apprestare più moderne fortificazioni per insediamenti vecchi e nuovi. 

Dall’altro, la conquista di territori con popolazione a maggioranza musulmana poneva problemi di convivenza con nuclei di popolazione cristiana, indotta a trasferirsi nelle terre appena conquistate con vantaggi fiscali e giuridici.

Il maggior peso acquisito dai professionisti della guerra, che disponevano di ampie risorse terriere dalle quali attingere per procurarsi un equipaggiamento sempre più pesante, si rifletté anche nell’articolazione della società scaturita da quelle conquiste. I protagonisti delle azioni belliche venivano ricompensati dai sovrani con altre terre, spesso dotate di fortificazioni: si accentuava così la loro preminenza sociale, analoga a quella dei grandi signori territoriali del resto d’Europa. A un livello più basso, invece, era il ceto militare dei cavalieri, anch’essi comunque proprietari di terre, a svolgere un ruolo di primo piano nelle comunità rurali che si creavano nelle zone conquistate, organizzate in assemblee (concejos) dotate dal sovrano di statuti e consuetudini (fueros). La necessità di organizzare dal punto di vista militare, economico e religioso le recenti conquiste accentuò inoltre il ruolo di vescovatimonasteri e di alcuni grandi ordini religioso-cavallereschi (di Santiago, di Calatrava, di Alcantara), che consolidavano la propria potenza nel clima di crociata ormai stabilmente acquisito dal generale processo di conquista.

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Il ruolo di coordinamento militare assunto dai re, l’ampia riserva demaniale regia costituitasi nel corso delle conquiste, il controllo della concessione dei ▶ diritti consuetudinari alle comunità urbane e rurali, il costante afflusso di denaro nelle casse della corona garantito dai tributi pagati dai regni delle taifas o dai bottini ricavati da saccheggi nelle terre di frontiera costituirono la base per un’ampia iniziativa politica accentratrice dei sovrani, che diedero vita a una burocrazia centralizzata (corti giudiziarie, apparato fiscale, cancelleria) e a una fitta rete di agenti e ufficiali. Inoltre, a partire dall’area catalana, la figura regia – secondo tradizionali modelli continentali – affermò la propria egemonia sugli altri signori territoriali grazie all’impegno nella garanzia delle paci giurate tra potenti, che periodicamente presero a riunirsi, insieme con rappresentanti delle comunità urbane e dei poteri ecclesiastici, in un organismo di tipo assembleare che prese il nome di Cortes.

4.7 Il Regno di Gerusalemme

Un regno fragile e diviso 

Poco dopo la conclusione vittoriosa della prima crociata [▶ cap. 3.4], Baldovino di Boulogne venne incoronato re di Gerusalemme nel Natale del 1100. Il nuovo regno mostrò tuttavia sempre una grande fragilità strategico-militare e politica: geograficamente poco esteso, stretto tra le potenze fatimide e selgiuchide, ebbe sempre disperatamente bisogno di aiuti militari dall’Europa  [ 14]. Tale condizione restrinse di molto l’iniziativa politica regia a vantaggio delle fazioni interne: numerose volte si giunse sull’orlo della guerra civile e non si affermò mai in modo incontrastato la successione dinastica. Pur con queste scarse basi materiali, Gerusalemme era tuttavia il cuore della Terrasanta e dell’immaginario occidentale, materia di storie epiche e di leggende già all’epoca, nonché della riflessione politica delle corti europee.

Le istituzioni monarchiche occidentali in Terrasanta ebbero sviluppi almeno in parte originali rispetto ai modelli continentali europei. Le ragioni di questa originalità sono dovute a molteplici fattori. La conquista, a seguito della prima crociata, era avvenuta con un coordinamento militare unitario molto debole; si erano infatti formati diversi principati (Edessa, Tripoli, Antiochia) che riconoscevano un’autorità poco più che simbolica al Regno di Gerusalemme, a sua volta formato da ampie signorie territoriali governate da capi militari, con largo margine di intervento degli ordini religioso-cavallereschi (Templari, Teutonici, Giovanniti) [ 15]. In secondo luogo, il continuo stato di guerra e la progressiva riduzione del territorio del regno, dopo il mancato successo della seconda crociata, che non era riuscita a recuperare Edessa (conquistata dai turchi nel 1144), ma soprattutto dopo la disfatta di Hittin nel 1187 contro Saladino [▶ protagonisti, p.154], sultano d’Egitto e di Siria [▶ cap. 3.1], non contribuirono allo sviluppo di solide istituzioni monarchiche.

La debolezza del potere monarchico

Un ruolo determinante nella società cristiana di Terrasanta era infatti svolto dai grandi signori territoriali: l’obbligo di prestare omaggio feudale al sovrano, inteso come primo signore del regno, era da loro interpretato come diritto a partecipare all’elezione del re e della sua Alta corte. D’altro canto, a differenza delle monarchie europee, il sovrano progressivamente vide ridursi le terre demaniali a sua diretta disposizione (erose dalle conquiste musulmane e da iniziative di capi militari cristiani) e dunque non poté contare su uno strumento decisivo di coordinamento delle varie signorie feudali. Inoltre, vari ordinamenti giuridici relativi alle comunità mercantili e alle popolazioni ebraiche e musulmane riducevano ulteriormente le possibilità di intervento regio nella società.

Questo insieme di consuetudini, obblighi feudali e privilegi, derivati dal mondo occidentale ma – come si è visto – sviluppati in modo eccezionale e isolato, furono poi codificati rigidamente nelle Assises de Jerusalem (Assise di Gerusalemme) quando la corte si trasferì a Cipro, all’indomani della caduta di Acri, ultima città cristiana in Terrasanta (1291).

Storie. Il passato nel presente - volume 1
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Dal 1000 al 1715