4.1 La costruzione delle nuove monarchie: rapporti feudali e burocrazia

Per riprendere il filo…

La crisi dell’ordinamento pubblico di matrice carolingia e la reazione alle attività militari di vichinghi, ungari e saraceni nel X secolo avevano prodotto un’ampia militarizzazione del territorio europeo, accentuando autonomi sviluppi di potere ad opera di aristocrazie locali. La congiuntura economica e demografica positiva aveva ulteriormente rafforzato questi poteri signorili, concretamente rappresentati dai castelli, tanto nelle campagne quanto nelle città. Un quadro frammentato dunque, sia sul piano territoriale sia, soprattutto, su quello dell’esercizio del potere, domina l’Europa occidentale fino alle soglie del XII secolo.

4.1 La costruzione delle nuove monarchie: rapporti feudali e burocrazia

L’Europa feudale

I rapporti vassallatico-beneficiari avevano costituito un elemento di forza dell’ordinamento carolingio; gli ufficiali pubblici del regno venivano talvolta scelti tra i vassalli del sovrano proprio perché uomini di sua assoluta fiducia. Durante la fase di disgregazione dell’impero, tuttavia, le grandi famiglie aristocratiche, che avevano a disposizione patrimoni fondiari e nuclei armati, iniziarono un processo di appropriazione dei benefici (sostanzialmente ricchezze e beni fondiari) che ebbe un primo riconoscimento nell’877, con il capitolare di Quierzy. Questo processo andò di pari passo con la formazione di nuclei signorili che, grazie al controllo di castelli, si appropriarono di quote di giurisdizione pubblica senza averne delega dal sovrano: una presa di possesso del potere, per così dire, “dal basso”. In questa pluralità di poteri, le famiglie che disponevano di maggiori ricchezze e che dimostrarono migliori capacità di coordinamento militare, e che magari avevano conservato antichi titoli comitali o ducali di tradizione carolingia, riuscirono a porsi come elemento di raccordo politico tra i sovrani, i potenti di rango inferiore e il resto della società.

Nel corso dei secoli X e XI, progressivamente, si affermò poi l’inalienabilità dei benefici (cioè la loro non cedibilità) a ogni grado della condizione vassallatica. In Italia tale processo fu sancito nel 1037 dall’Edictum de beneficiis (o Constitutio de feudis), emanato dall’imperatore Corrado II per risolvere la complessa situazione politica di Milano, dove gli strati inferiori dell’aristocrazia si erano schierati contro i loro signori e contro l’arcivescovo Ariberto. Sulla base di questa legge, che mirava innanzitutto a definire i procedimenti giudiziari in caso di controversia tra signore e vassallo, si stabilì infatti che la successione nel beneficio dovesse essere ereditaria e che il beneficio non poteva essere alienato dal signore senza il consenso del vassallo.

In questa situazione, i signori dotati di patrimoni meno consistenti trovarono conveniente subordinarsi ai maggiori signori territoriali attraverso il legame vassallatico, che consentiva loro di conservare margini di autonomia e di esercitare in forme legittime quei poteri di natura pubblica che già di fatto esercitavano, inquadrandoli all’interno di una più stabile gerarchia politica e sociale, benedetta anche dalla Chiesa. Il feudo (dal francone fehu-ôd, “possesso temporaneo”), ossia un beneficio di cui era formalmente titolare il sovrano, ma che di fatto veniva ora incorporato nei patrimoni familiari aristocratici, divenne lo strumento principale con il quale il sovrano stesso o i principi concedevano ai vassalli la giurisdizione sulle terre. Ecco dunque la differenza fondamentale tra beneficio di età carolingia e feudo: mentre il primo era quasi sempre un bene fondiario precario che ricompensava un servizio personale di tipo militare ed era revocabile ad alcune condizioni, il secondo diventava parte del patrimonio familiare, era un bene ereditario che aggiungeva all’aspetto fondiario anche quelli legati all’esercizio di poteri di natura pubblica (e dunque comprendeva anche i mezzi per esercitarli), come il prelievo fiscale e l’amministrazione della giustizia [▶ idee].

Ai livelli più alti della società, il contenuto del beneficio/feudo fu solitamente l’esercizio della signoria e fu dunque questa istituzione a regolare progressivamente i rapporti tra centri di potere maggiori (principati, regni, città) e nobiltà signorili. Da un lato, infatti, essa conferiva legittimità al potere dei signori minori, mentre dall’altro venne utilizzata da quelli maggiori per coordinare e tendenzialmente ridurre a unità la molteplicità dei nuclei di potere signorile. Si tratta di un processo secolare destinato a durare per gran parte dell’età tardomedievale e moderna.

  idee

La trasformazione dei rapporti di potere tra il IX e il XIII secolo in Europa

I rapporti vassallatico-beneficiari ai tempi di Carlo Magno (IX secolo)

L’insieme dei vassalli di uno stesso senior costituisce la clientela vassallatica di quel seniorSenior può essere il re, ma anche qualsiasi altro uomo ricco e potente. Non è detto inoltre che il senior di una clientela vassallatica fosse vassallo del re, o di qualcun altro socialmente superiore: non esiste dunque alcun rapporto piramidale. Il beneficio che il senior concede al vassallo è generalmente una terra: si tratta di una concessione precaria e revocabile e non prevede l’esercizio di poteri pubblici, che compete al re o ai suoi ufficiali, oppure a vescovi e abati dotati del privilegio di immunità.


La signoria

Con il cedimento dell’ordinamento pubblico di matrice carolingia si sviluppano le signorie territoriali, sostanzialmente autonome rispetto al potere regio. Alla pre­minenza economica i signori sommano anche poteri di natura pubblica (giustizia, tasse, servizio militare), il cui esercizio viene garantito dal possedimento di uno o più castelli e dal mantenimento di milizie.

I rapporti feudali nell’XI-XIII secolo

Rispetto al passato, quando un vassallo decide di sottomettersi a un senior ora giura fedeltà dopo aver ricevuto il beneficio e compresi nel beneficio vi sono anche poteri di natura pubblica.

Con questi contenuti, il beneficio passa a essere più spesso definito “feudo” e diventa progressivamente ereditario. Molti sovrani, grandi principi e comunità urbane si servirono della definizione giuridica di tali rapporti per legare a sé i poteri signorili minori.



Auxilium: fedeltà militare; sussidi finanziari

Consilium: aiuto nell’amministrazione della giustizia o nelle decisioni politiche

La natura del potere regio

La vasta rete di raccordi feudali che si creò indusse il pensiero giuridico a elaborare, tra l’XI e il XIII secolo, una sistemazione generale delle molte configurazioni che il feudo poteva assumere. I giuristi si rifecero ai principi che nel diritto romano regolavano i rapporti di clientela (fedeltà del cliente, divieto di provocare danno al patrono, al suo onore e al suo patrimonio) e formularono lo schema ideologico di un potere che discende dal sovrano ai vari vassalli, dai maggiori ai minori. Da tale astrazione, che non rispecchia la complessa articolazione della realtà, deriva l’abusata immagine della “piramide feudale”, spesso indebitamente utilizzata per descrivere i rapporti sociali dell’intera epoca medievale.

Dal punto di vista patrimoniale o dell’esercizio di poteri pubblici, i re non si differenziavano sostanzialmente dai grandi principi territoriali. Le dinastie regie furono quelle che seppero gestire più efficacemente di altre famiglie principesche patrimoni fondiari (estesi anche su ampie regioni geografiche) e coordinare nuclei di uomini armati e che, sfruttando il bisogno di ridurre la violenza sociale avvertito dalla Chiesa nei pieno della sua riforma  [▶ cap. 2.7], riuscirono a proporsi come garanti della giustizia e della pace, a beneficio dei mercanti, e a rivendicare la natura sacrale del proprio potere [

 

1].

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A seguito di queste trasformazioni, la cerimonia di incoronazione e il concetto stesso di “corona” accentuarono i loro connotati simbolici: la prima venne articolata in un’ampia serie di formule e gesti (ordines coronationis) volta a esprimere il complesso rapporto tra potere civile e spirituale; mentre la corona divenne, oltre che insegna regia per eccellenza, una nozione che indicava l’intero insieme di patrimoni e prerogative dell’autorità regia. È infatti in questo periodo che entrarono nell’uso i termini di fiscus e demanium a indicare il patrimonio del detentore dell’autorità pubblica in quanto tale, distinto quindi dal suo patrimonio privato.

Lo sviluppo di sistemi amministrativi di controllo fiscale e giuridico, seppure molto lento e complesso, costituisce l’altra grande novità delle monarchie europee a partire dall’XI secolo. Nascono infatti in questo periodo, per poi svilupparsi pienamente nei secoli seguenti, le prime forme di ▶ burocraziauffici dotati di personale specializzato e preparato sul piano giuridico che, oltre ad amministrare i patrimoni domestici del sovrano, si occupano anche di un controllo su aspetti finanziari e giudiziari esteso all’intero regno. 

4.2 La monarchia capetingia nella Francia dei principati territoriali

Il sistema dei principati franchi

La disgregazione dell’Impero carolingio e la stagione delle seconde invasioni avevano trasformato il Regno dei Franchi occidentali, situato tra il Reno e i Pirenei, in un insieme di principati retti da famiglie aristocratiche che esercitavano poteri pubblici in modo sostanzialmente autonomo rispetto ai sovrani, il cui dominio vero e proprio non andava al di là del ricco territorio compreso tra Parigi e Orléans. Il territorio controllato direttamente dal re era cioè solo uno dei grandi principati francesi che con la corona avevano solo un esile legame feudale e che si erano costituiti in vario modo:

  • sulla base della tradizione carolingia degli antichi comitati [▶ cap. 0];
  • su base vagamente etnica, come nel caso dell’Aquitania o della Bretagna;
  • per efficaci iniziative di dinastie principesche, come fu per l’Angiò, la Champagne e la Provenza;
  • sulla base delle relazioni che intrattenevano con territori al di fuori dei confini del regno, come per esempio Tolosa con l’area catalana (la contea di Barcellona, ex marca carolingia), la Normandia con il mondo anglosassone, le Fiandre con il vitale mondo commerciale del Mare del Nord, la Borgogna con le terre imperiali [ 2].

A questa frammentazione si sommavano anche differenze di natura linguistica e culturale tra il Mezzogiorno, caratterizzato dalla ▶ lingua d’oc e da una tradizione di diritto scritto, e il Nord, di ▶ lingua d’oïl e che presentava tradizioni giuridiche e articolazioni fondiarie molto variegate.

I Capetingi

Le vicende della dinastia capetingia sono esemplari di quello che lo storico francese Dominique Barthélemy ha definito il “sistema dei principati”: iniziata nel 987 con l’elezione di Ugo Capeto, conte di Parigi, a re dei Franchi occidentali, nell’XI secolo riuscì a rafforzare la propria posizione sia nei territori direttamente dominati dalla famiglia, tra la Loira e la Senna, sia nei confronti di signori locali che ne avevano usurpato l’esercizio dei diritti pubblici. Le strutture del regno capetingio si andarono consolidando in particolare con i re Luigi VI (1108-37) e Luigi VII (1137-80), che recuperarono il pieno controllo di terre e diritti sul demanio e diedero efficacia a organi amministrativi in campo giudiziario e fiscale (rispettivamente la curia e il consilium). Furono inoltre in grado di assumere il ruolo di garanti della sicurezza delle chiese e dei loro patrimoni come pure delle “paci di mercato”, periodicamente indette per porre al riparo le attività commerciali da conflitti armati, anche nei territori non direttamente controllati da loro. Questa dimensione “morale” del potere regio guadagnò alla dinastia il sostegno dei ceti cittadini e della gerarchia ecclesiastica, ulteriormente rafforzato sia dal ruolo eminente che i Capetingi svolsero durante le crociate, sia dal collegamento ideologico con i re carolingi – di cui si sentivano legittimi eredi – abilmente costruito dall’influente abate di Saint-Denis, Sugerio.

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Forte di questo consenso, la corona poté intessere una fitta rete di relazioni feudali con duchi e conti che, non senza resistenze, le riconobbero una forma di primato (souzeraineté), sancendo una formale subordinazione vassallatica al re capetingio. La sacralità della figura del re, un’efficace articolazione amministrativa del ▶ demanio regio, il cui controllo si estese anche su terre e città situate in aree controllate da altri principati, il sostegno sempre maggiore di signori e principi alla dinastia capetingia attraverso il vincolo feudale furono dunque gli elementi essenziali perché si giungesse, alla fine del XII secolo, all’adozione di una formula, regnum Francie, che metteva in evidenza come l’autorità regia si estendesse, almeno idealmente, su un territorio omogeneo sino agli antichi confini del regno di Carlo il Calvo.

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L’apogeo del potere capetingio

Con Filippo II, detto Augusto (1180-1223), la monarchia capetingia fu in grado di estendere enormemente i domini della corona: per via matrimoniale furono acquisiti l’Artois e il Vermandois, mentre con le armi furono conquistati l’Angiò (Anjou), il Maine, il Berry, la Bretagna e la Normandia. Come vedremo nel prossimo paragrafo, fu la grande vittoria nella battaglia di Bouvines (1214) [▶ eventi, p.139] a consentire a Filippo di occupare tutti i possedimenti anglo-normanni a nord della Loira. L’enorme demanio regio così costituito fu retto grazie all’ampio sviluppo dell’apparato burocratico e giudiziario, mentre la subordinazione feudale dei signori al sovrano fu resa più stringente e sempre più spesso codificata in forma scritta.

4.3 Il Ducato di Normandia e il Regno d’Inghilterra

I normanni in Inghilterra

A partire dal IX secolo l’Inghilterra, divisa in vari regni anglosassoni, subì frequenti incursioni da parte di popolazioni scandinave (genericamente definite “danesi”), che arrivarono a controllarne ampi territori, finché ai primi dell’XI secolo l’isola entrò a far parte di un vasto dominio che comprendeva anche Norvegia, Svezia e Danimarca, governato da Canuto (Knut) il Grande. Nel 1042, dopo alcune lotte interne, tornò sul trono un re anglosassone, Edoardo III, poi canonizzato con l’appellativo di “Confessore” per la sua profonda fede, che portò una certa pace e prosperità nel regno. Sotto la continua minaccia danese, Edoardo guardò con favore alla vicina potenza normanna. Il Ducato di Normandia infatti era uno dei più solidi tra i principati francesi, grazie alle sue ricche risorse e all’efficace amministrazione; inoltre la sua dinastia regnante aveva intrecciato stretti rapporti con i principali potentati anglosassoni, rafforzati da matrimoni e vincoli di parentela.

Alla morte di Edoardo (1066) tuttavia il regno passò nelle mani del conte del Wessex, Harold, sostenitore del partito ostile ai normanni. Il duca di Normandia, Guglielmo, riteneva però di essere legittimo successore di Edoardo per via del suo matrimonio con Matilde di Fiandra, figlia di un cugino del re. Con l’appoggio di papa Alessandro II (1061-73), decise di far valere i suoi diritti e si preparò ad attaccare. Sbarcato sull’isola a capo di un forte esercito, sconfisse gli anglosassoni nella battaglia di Hastings (14 ottobre 1066) [ 3]. Guglielmo, detto “il Conquistatore”, poté così impadronirsi del territorio inglese (esclusi dunque Galles e Scozia) e fu consacrato re nel Natale dello stesso anno.

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Il nuovo regno inglese

Guglielmo (1066-87) operò un’efficace sintesi tra i risultati raggiunti dal governo dei re anglosassoni e i metodi propri del ducato normanno. Mantenne dunque le circoscrizioni territoriali sassoni (shires) in cui operavano gli agenti regi (sherifs), integrati da giudici itineranti, mentre rese progressivamente meno importanti le corti giudiziarie popolari alle quali partecipava la popolazione degli insediamenti rurali (tuns, da cui towns, “villaggi”). Fu notevolmente ridotto anche il potere degli earls anglosassoni, grandi proprietari terrieri con funzioni militari, le cui terre furono in gran parte redistribuite da Guglielmo alla propria famiglia (alla quale egli riservò un quinto dell’intero territorio) e ai cavalieri normanni. In forza di questa amplissima proprietà demaniale, Guglielmo ebbe la possibilità di legare direttamente alla corona, attraverso il vincolo feudale, questi cavalieri (tenants in chief), concedendo unità fondiarie (manors) munite di fortificazioni, ma badando a impedire la concentrazione nelle mani di singoli vassalli. La redazione di un minuzioso inventario delle terre del regno, il Domesday Book (completato nel 1086), consentì inoltre all’amministrazione giudiziaria e fiscale del regno di avere una base certa per l’imposizione fiscale e per giudicare eventuali usurpazioni [▶ cap. 1.1].

Un nuovo assetto istituzionale

Con Enrico I (1100-35), quarto figlio di Guglielmo, l’evoluzione delle forme amministrative procedette di pari passo nel ducato e nel regno, specialmente quando Enrico si impadronì della Normandia che era andata in eredità a uno dei suoi fratelli, Roberto II Cosciacorta, facendone un suo dominio personale. Enrico si venne dunque a trovare nella condizione di essere feudatario del re di Francia come duca di Normandia, e sovrano indipendente come re d’Inghilterra: una situazione ibrida, alla base – come studieremo più avanti – di un conflitto territoriale che, con alterne vicende, connotò per secoli i rapporti tra Francia e Inghilterra. La costituzione di una household regia in Inghilterra, ossia di un insieme centralizzato di uffici addetti all’amministrazione dei patrimoni e dei redditi demaniali e feudali, alla riscossione dei tributi, alla produzione di documenti e al sostentamento della corte (spesso itinerante), aveva il suo analogo in Normandia negli uffici ducali e nella rete degli agenti ducali (detti ▶ siniscalchi, nel Nord, o ▶ balivi, nel Sud), che esercitavano uno stretto controllo sui castelli e sull’amministrazione della giustizia. Fra le istituzioni amministrative anglo-normanne, una delle più celebri e longeve è lo Scacchiere (dal latino Scaccarium , “scacchiera”, Exchequer in inglese), l’ufficio incaricato di gestire le entrate e le uscite del regno (o del ducato) e di redigerne i bilanci.

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Enrico intervenne inoltre nella regolazione degli statuti delle comunità urbane. L’attrazione del surplus agricolo verso i mercati cittadini – fenomeno favorito dalla fase di crescita economica che stava attraversando il continente europeo – rese infatti più ricche e dinamiche le città, che richiesero di conseguenza ordinamenti giuridici che garantissero loro maggiori ambiti di autonomia. Nell’accordare privilegi alle comunità urbane, il re si garantì comunque il controllo sull’esercizio dei diritti regi (tasse, servizio militare, giustizia) e la partecipazione ai proventi delle attività economiche non strettamente legate al mondo rurale.

Infine, Enrico operò una vasta serie di riforme in ambito giudiziario. Le Leges Henrici primi disciplinarono le cause di competenza regia, distinguendole da quelle riservate alle tradizionali corti popolari, sulla base del principio che il re, giurando di essere garante di pace, giustizia ed equità, poteva modificare le consuetudini qualora risultassero contrarie a quei principi. Le cause di competenza regia furono individuate nei reati contro il re, la corte o il patrimonio regio, contro la persona (omicidio), il patrimonio (furto, incendio) o l’onore (tradimento). La trattazione separata delle cause comportò la creazione di un apparato giudiziario che operava in stretta connessione con la curia regia attraverso un fitto sistema di produzione di scritti (writs), con i quali gli ordini e le disposizioni raggiungevano le corti, gli agenti regi e i giudici.

Il rafforzamento monarchico

Dopo un periodo di disordini seguito alla morte di Enrico I, la politica di affermazione del potere monarchico fu proseguita con decisione dal nipote Enrico II (1154-89). Figlio di Goffredo V, conte d’Angiò e Maine – detto Plantageneto dall’insegna della sua casata, una pianta di ginestra (in francese plante de genêt) –, e di Matilde, figlia di Enrico I e vedova dell’imperatore Enrico V, nel 1144 ereditò dal padre il Ducato di Normandia, l’Angiò, la Turenna e il Maine; l’anno successivo, sposando Eleonora d’Aquitania, divorziata dal re Luigi VII di Francia, acquisì anche il Poitou e l’Aquitania, diventando il più potente signore di Francia, sebbene vassallo del re capetingio  [ 4]. Nel 1153 promosse una spedizione militare in Inghilterra e si fece nominare erede al trono, allora occupato dal cugino, Stefano di Blois; nel 1154 cinse finalmente la corona inglese  [ 5].

Dovendo ristabilire l’ordine e la pace sociale messe a rischio durante il periodo di anarchia seguito alla morte di Enrico I, Enrico II proseguì energicamente la politica del nonno. Distrusse le fortezze erette abusivamente, favorì la ripresa delle colture e recuperò i beni demaniali. Questa azione di governo fu condotta limitando ulteriormente il peso militare e sociale dell’aristocrazia a vantaggio degli apparati burocratici regi. Nel 1164, in occasione delle ▶ assise di Clarendon, il re emanò 16 ▶ costituzioni che attribuivano ai tribunali regi la competenza su molti reati in precedenza giudicati da tribunali feudali, sia laici sia ecclesiastici. Queste disposizioni normative e amministrative favorirono la creazione di un diritto scritto unitario e comune per tutto il regno (per questo chiamato common law), che comprendeva le consuetudini del diritto anglosassone e il diritto feudale. Diffuso grazie alle sentenze emanate dai tribunali regi, fornì una solida base giuridica e burocratica al regno.

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Le tensioni con la Chiesa e con i nobili

Le costituzioni stabilivano uno stretto controllo regio sulle elezioni di vescovi, priori e abati e limitavano fortemente l’autonomia giurisdizionale della Chiesa. Nel caso in cui, per esempio, un chierico fosse stato accusato di omicidio o furto, dopo il giudizio di un tribunale ecclesiastico (che poteva comminare solo sanzioni disciplinari) avrebbe dovuto poi essere giudicato anche da un tribunale regio. Questo scatenò la rivolta del clero inglese, geloso della propria tradizionale immunità giurisdizionale, e determinò la fine della collaborazione con Thomas Becket (1118-70), arcivescovo di Canterbury e ▶ cancelliere del regno. Da sostenitore delle libertà della Chiesa, secondo i principi della riforma [▶ cap. 2.2], Becket fu costretto all’esilio in Francia; tornato in Inghilterra nel 1170, fu ucciso poco dopo da uomini del re [ 6]. Alcuni anni più tardi, Becket fu proclamato santo da Alessandro III ed Enrico fece pubblicamente penitenza, accordandosi con il papato per eliminare le costituzioni più sfavorevoli alla Chiesa in cambio di una sostanziale accettazione delle disposizioni regie e dell’appoggio pontificio alla conquista dell’Irlanda. Da questo momento la subordinazione vassallatica del re al papa e il mantenimento di una sfera di autonomia da parte dell’episcopato inglese, sia rispetto alla corona sia rispetto alla Sede apostolica romana, costituirono un duraturo punto di equilibrio tra i due poteri.

La macchina amministrativa regia continuò a funzionare bene anche durante la lunga assenza dal regno di Riccardo Cuor di Leone (1189-99), impegnato prima in campagne militari in Europa poi nella terza crociata, ma in compenso crebbe la tensione fra corona e nobiltà a causa dell’aumentata pressione fiscale imposta per fronteggiare i numerosi impegni bellici. Questi continuarono anche sotto il successore di Riccardo, Giovanni Plantageneto detto “Senzaterra” (1199-1216), che però si trovò in gravissime difficoltà dinanzi all’iniziativa politico-diplomatica di Filippo Augusto, coronata dal successo della battaglia di Bouvines (1214) [▶ eventi]. I ▶ baroni, il clero e la borghesia mercantile costrinsero così il sovrano a concedere nel 1215 un documento, detto Magna Charta libertatum [▶ FONTI, p. 140], in forza del quale venivano confermati i privilegi (libertates) di chiese, aristocrazia e città e veniva riconosciuta ai baroni riuniti nella Magna curia la possibilità di limitare l’autorità regia in materia fiscale. Si affermava così l’idea di un ridimensionamento del potere regio ad opera di una rappresentanza dei corpi sociali, sulla quale si sviluppò, fra tardo Duecento e Trecento, il sistema parlamentare inglese.

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  eventi

La domenica di Bouvines

Il 27 luglio 1214, di domenica, giorno formalmente interdetto alle battaglie, si scontrarono nei pressi di Bouvines, villaggio della Francia settentrionale presso Lille, gli eserciti di Filippo II, re di Francia, e dell’imperatore scomunicato Ottone IV, alle cui schiere si erano affiancati gli alleati Ferdinando, conte di Fiandra, e Giovanni I Senzaterra, re d’Inghilterra (quest’ultimo però non presente sul campo di battaglia), che avevano invaso il Regno di Francia.

Vari furono i fattori che consentirono a Filippo Augusto di ottenere una piena vittoria: in primo luogo, il mancato coordinamento tra le truppe filoimperiali, pur superiori di numero, ma anche la perfetta organizzazione data alla cavalleria francese da Guérin de Senlis, cavaliere dell’Ordine degli Ospedalieri e vescovo.

Gli effetti della battaglia

L’esito della battaglia ebbe profonde ripercussioni sulla politica europea: in Francia, si consolidò l’unità dello Stato sotto il segno della monarchia capetingia; in Inghilterra, Giovanni Senzaterra fu costretto dall’opposizione nobiliare a concedere la Magna Charta (1215); in Germania, Ottone IV non poté far altro che ritirarsi dalla lotta per la rielezione imperiale, lasciando il campo libero a Federico II e favorendo così il gioco di papa Innocenzo III, che aveva favorito i francesi.

Un breve tentativo di unificare i regni di Francia e Inghilterra fu condotto da Luigi, figlio di Filippo Augusto, futuro Luigi VIII, che nel 1216 attraversò la Manica per appoggiare una grande rivolta dei nobili inglesi, ma la vittoria a Lincoln delle forze regie frustrò definitivamente le speranze capetinge.

4.4 Il Regno normanno di Sicilia

L’Italia meridionale

A differenza di quanto accadde in Inghilterra, in Italia meridionale la costituzione di un Regno normanno avvenne molto lentamente e per effetto di una progressiva infiltrazione di guerrieri e gruppi familiari in un quadro politico molto frammentato: sul continente infatti vi erano principati longobardi e territori soggetti o dipendenti dall’Impero bizantino, mentre la Sicilia era allora divisa tra vari emirati, formalmente dipendenti dai Fatimidi del Cairo  [▶ cap. 3.1].

Storie. Il passato nel presente - volume 1
Storie. Il passato nel presente - volume 1
Dal 1000 al 1715