Un giovane a Waterloo (Stendhal)

Un giovane a Waterloo


di Stendhal (autore francese del XIX sec.)

Fabrizio del Dongo è un giovane della nobiltà milanese, nato dalla relazione tra una marchesa e un tenente dell’armata di Napoleone in Italia. Nel 1815, Fabrizio, diciassettenne, apprende che Napoleone è tornato dal suo esilio sull’isola d’Elba e si precipita subito in Belgio, deciso a combattere a fianco del suo eroe.

Quando finalmente riesce a procurarsi un cavallo adeguato,

punta deciso verso Waterloo, l’ultima grande battaglia combattuta da Bonaparte.

Il suo cavallo nitrì, s’impennò due o tre volte, diede alcuni violenti strattoni alla briglia che lo frenava.

“Va bene, andiamo!”, si disse Fabrizio.

Non più trattenuto, il cavallo si lanciò ventre a terra verso la scorta che seguiva i generali.


Un quarto d’ora dopo, da qualche parola pronunciata da un ussaro che gli stava accanto, Fabrizio comprese che uno dei generali era il famoso maresciallo Ney.

Si sentì al settimo cielo; però non riusciva a indovinare quale dei quattro generali fosse il maresciallo Ney.

Avrebbe dato qualsiasi cosa al mondo per saperlo, ma si sovvenne [ricordò] che non doveva aprire bocca.


La scorta s’arrestò davanti a un largo fossato che era colmo d’acqua per la pioggia caduta il giorno innanzi; questo era costeggiato da grandi alberi e aveva sulla sinistra una distesa di prati.

Quasi tutti gli ussari erano scesi di sella; il bordo del fossato era scosceso e molto scivoloso, e l’acqua raggiungeva i tre o quattro piedi.

Tutto preso dalla contentezza, Fabrizio pensava più alla gloria e al maresciallo Ney che al proprio cavallo, il quale, vivace com’era, saltò nel canale facendo schizzare l’acqua in alto.

Uno dei generali rimase completamente inzuppato e si diede a imprecare: «In malora, put... d’una bestia!».

Fabrizio si sentì profondamente offeso da tale ingiuria.

“Dovrei chiedergli soddisfazione?”, si chiese.


Mentre ci pensava, e per dimostrare che non era poi così maldestro, tentò di far salire il suo cavallo sulla riva opposta; ma questa era a picco, e alta cinque o sei piedi.

Dovette rinunciarvi. Allora risalì la corrente. Finalmente trovò una specie di abbeveratoio; qui la sponda non era ripida ed egli raggiunse facilmente l’altro lato del canale.


Fu il primo a spuntare nel campo opposto, e si diede a trottare sulla riva fiero di sé, mentre in fondo al canale gli ussari si dimenavano, molto a disagio in quella situazione.

Un sergente s’accorse della manovra compiuta da quello sbarbatello dall’aspetto così poco militare.

«Risalite la corrente! Là a sinistra c’è un abbeveratoio!», gridò; e così a poco a poco tutti passarono.


Giungendo all’opposta riva, Fabrizio ci aveva trovato i generali tutti soli; il rombo del cannone sembrava sempre più forte; dunque a malapena riuscì a udire ciò che un generale, quello che aveva inzuppato dalla testa ai piedi, gli gridava all’orecchio: «Dove hai preso quel cavallo?».

Fabrizio era talmente confuso che gli rispose in italiano:

«L’ho comprato poco fa».

«Cos’hai detto?», gli gridò il generale.

Ma in quel momento il frastuono divenne così intenso, che Fabrizio non fu in grado di rispondergli.

Confesseremo che il nostro eroe era ben poco eroe in quel momento.

Tuttavia la paura agiva in lui soltanto in seconda istanza; soprattutto era egli indignato per quel rumore che gli dava disturbo agli orecchi.


La scorta si lanciò al galoppo; stavano attraversando un vasto appezzamento di terra coltivata, e i campi erano qui cosparsi di cadaveri.

«Le giubbe rosse! Le giubbe rosse!», gridavano contenti gli ussari della scorta, e sulle prime Fabrizio non comprendeva; infine notò che quasi tutti i cadaveri vestivano effettivamente in rosso.

Una cosa lo fece rabbrividire d’orrore: notò che tra quelle sventurate giubbe rosse molti erano ancora vivi; gridavano per domandare aiuto, e nessuno si fermava a soccorrerli.

Il nostro eroe, assai umano, faceva tutto il possibile affinché il suo cavallo non pestasse alcuna giubba rossa.

La scorta s’arrestò; Fabrizio, che poco s’occupava dei propri doveri di soldato, galoppava sempre tenendo d’occhio un povero ferito.

«Di’, pivello, ti vuoi fermare o no?», gli gridò un sergente. Fabrizio s’avvide [si accorse] d’essere venti passi più avanti dei generali, sulla loro destra, ossia precisamente sul lato verso cui quelli stavano puntando i cannocchiali.


Tornando sui suoi passi e allineandosi in coda ad altri ussari rimasti indietro di qualche metro, vide il più corputo [grosso] di quei generali che parlava a un altro generale al suo fianco, con tono autoritario e quasi di rabbuffo: imprecava.


Nonostante il consiglio di non parlare, Fabrizio non poté trattenere la propria curiosità, e si costruì una frasetta proprio molto francese e corretta, che pronunciò al suo vicino: «Chi è quel generale che dà una lavata di capo a quello che gli sta accanto?».

«Perdinci, è il maresciallo!»

«Che maresciallo?»

«Il maresciallo Ney, no? Pistola! Senti che roba! Ma te dov’è che hai fatto servizio fin adesso?»

Per quanto fosse assai suscettibile, a Fabrizio non venne in mente d’irritarsi per l’ingiuria. Tutto preso da una fanciullesca ammirazione, contemplava il famoso principe della Moscova, il più intrepido degli intrepidi.


D’un tratto partirono tutti al gran galoppo.

Pochi istanti dopo, Fabrizio vide innanzi a sé un terreno arato, dove le zolle erano smosse in maniera strana.

I solchi eran pieni d’acqua, e la terra bagnata volava in aria a piccoli frammenti neri.

Fabrizio osservò di sfuggita lo strano fenomeno, indi [poi] il suo pensiero si concentrò nuovamente sulla gloria del maresciallo.
Udì un grido secco alle proprie spalle; erano due ussari che cadevano colpiti da proiettili.
Ciò che apparve orribile ai suoi occhi fu un cavallo tutto pieno di sangue, che si dibatteva tra le zolle arate, con le zampe impigliate nelle proprie budella; voleva correre dietro agli altri, il sangue gli colava dalla bocca.

“Ah, eccomi qua finalmente sotto il fuoco!”, si disse. “Finalmente ho visto una battaglia!”, si ripeteva con soddisfazione. “Adesso sono un vero soldato.”


In quel momento la scorta correva ventre a terra, e il nostro eroe comprese che erano i proiettili a far volare le zolle in aria dappertutto. Ma aveva un bel guardare dalla parte donde venivano le palle, vedeva soltanto il fumo bianco della batteria a un’enorme distanza, e, in mezzo al rombo continuo prodotto dalle cannonate, gli pareva d’udire scariche assai più prossime [vicine]. Non ci capiva un bel nulla.

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esercizi

LE TECNICHE E IL GENERE

  • I fatti descritti sono:
    • verosimili. 
    • inverosimili.

  • Oltre al protagonista, nel brano i personaggi sono:
    • comparse. 
    • personaggi secondari.

  • “Il cavallo si lanciò verso la scorta che seguiva i generali. Un quarto d’ora dopo Fabrizio comprese che uno dei generali era il famoso maresciallo Ney.” In queste righe l’autore ha usato:
    • una pausa. 
    • un’ellissi.

  • Quali elementi della narrazione storica sono presenti in questo brano?
                                                                                                                                                           .

LABORATORIO SUL TESTO

  • Fabrizio si è arruolato con l’esercito:
    • inglese. 
    • francese.

  • Fabrizio è:
  • infantile
  • entusiasta
  • sprovveduto
  • distratto
  • ingenuo
  • suscettibile
  • eroico
  • egoista
  • pauroso
  • empatico
  • timoroso
  • consapevole

  • Nel brano il personaggio di Fabrizio è descritto con:
    • tenerezza. 
    • sarcasmo.

competenze linguistiche

  • Sbarbatello vuol dire:
    • senza barba. 
    • giovane inesperto.

  • “Tuttavia la paura agiva in Fabrizio soltanto in seconda istanza.” Cioè:
    • Fabrizio non aveva per niente paura.
    • la paura non era la sua prima reazione.

L'emozione della lettura - Saperi fondamentali
L'emozione della lettura - Saperi fondamentali
Narrativa