Salsicce e identità (I. Scego)

Salsicce e identità


di Igiaba Scego (autrice italiana contemporanea)

È il 14 agosto, Roma è semideserta e inondata dalla calura.

Una donna musulmana, figlia di genitori somali, decide di compiere un gesto provocatorio. Entrata in una drogheria, acquista una gran quantità di salsicce, le porta a casa e si accinge a cucinarle. Insieme al divieto islamico di consumare il maiale, la donna vorrebbe infrangere le barriere identitarie che separano immigrati e italiani.

Ora sto chiusa in cucina con il mio pacco pieno di salsicce impure e non so che fare! Perché cazzo le ho comprate?

E mo’ che ci faccio? Un’idea sarebbe cucinarle, ma chi la sente la mamma, dopo?

Mi ricordo che quando ero piccola mamma aveva comprato per sbaglio dei sottaceti con il wurstel di suino dentro.

Il bello era che la mia mamma non sapeva che ci fosse l’immondo maiale dentro e ci condì l’insalata di riso.

Risultato: qualcuno si accorse del truffaldino wurstel e noi abbiamo dovuto vomitare il riso fino all’ultimo chicco.

Ma la fine più brutta la fece la padella in cui mamma aveva amalgamato l’immondo composto. La padella, ahimè, fu condannata in contumacia, una condanna a morte!

Ma si cucinano in padella le salsicce? Si friggono? O forse si lessano? E se usassi il forno? Ma poi me le magno davvero, tutte intere? O sul più bello mi manca il coraggio e le butto?

Guardo l’impudico pacco e mi chiedo: ma ne vale veramente la pena? Se mi ingoio queste salsicce una per una, la gente lo capirà che sono italiana come loro? Identica a loro?

O sarà stata una bravata inutile?

La mia ansia è cominciata con l’annuncio della legge Bossi-Fini: a tutti gli extracomunitari che vorranno rinnovare il soggiorno saranno prese preventivamente le impronte digitali.

Ed io? Sarei stata un’extracomunitaria, quindi una potenziale criminale, a cui lo Stato avrebbe preso le impronte per prevenire un delitto che si supponeva

prima o poi avrei commesso? O un’italiana riverita e coccolata a cui lo Stato lasciava il beneficio del dubbio, anche se risultava essere una pluripregiudicata recidiva?


Italia o Somalia?

Dubbio.

Impronte o non impronte?

Dubbio atroce.


Il mio bel passaporto era bordeaux e sottolineava a tutti gli effetti la mia nazionalità italiana.

Ma quel passaporto era veritiero?

Ero davvero un’italiana nell’intimo?

O piuttosto dovevo fare la fila e dare le mie impronte?

Credo di essere una donna senza identità.

Vediamo un po’. Mi sento somala quando:

1) bevo il tè con il cardamomo, i chiodi di garofano e la cannella;

2) recito le 5 preghiere quotidiane verso la Mecca;

3) mi metto il dirah;

4) profumo la casa con l’incenso o l’unsi;

5) vado ai matrimoni in cui gli uomini si siedono da una parte ad annoiarsi e le donne dall’altra a ballare, divertirsi, mangiare... insomma a godersi la vita;

6) mangio la banana insieme al riso, nello stesso piatto, intendo; 

7) cuciniamo tutta quella carne con il riso o l’angeelo;

8) ci vengono a trovare i parenti dal Canada, dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna, dall’Olanda, dalla Svezia, dalla Germania, dagli Emirati Arabi e da una lunga lista di stati che per motivi di spazio non posso citare in questa sede, tutti parenti sradicati come noi dalla madrepatria;

9) parlo in somalo e mi inserisco con toni acutissimi in una conversazione concitata;

10) guardo il mio naso allo specchio e lo trovo perfetto;

11) soffro per amore;

12) piango la mia terra straziata dalla guerra civile;

13) faccio altre 100 cose, e chi se le ricorda tutte!

Mi sento italiana quando:

1) faccio una colazione dolce;

2) vado a visitare mostre, musei e monumenti;

3) parlo di sesso, uomini e depressioni con le amiche;

4) vedo i film di Alberto Sordi, Nino Manfredi,

Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni, Totò, Anna Magnani, Ugo Tognazzi, Roberto Benigni, Massimo Troisi;

5) mangio un gelato da 1,80 euro con stracciatella, pistacchio e cocco senza panna;

6) mi ricordo a memoria tutte le parole del 5 maggio di Alessandro Manzoni;

7) sento per radio o tv la voce di Gianni Morandi;

8) mi commuovo quando guardo negli occhi l’uomo che amo, lo sento parlare nel suo allegro accento meridionale e so che non ci sarà un futuro per noi;
9) inveisco come una iena per i motivi più disparati contro primo ministro, sindaco, assessore, presidente di turno;

10) gesticolo;

11) piango per i partigiani, troppo spesso dimenticati;

12) canticchio Un anno d’amore di Mina sotto la doccia;

13) faccio altre 100 cose, e chi se le ricorda tutte!


Un bel problema l’identità, e se l’abolissimo?

E le impronte? Da abolire anche quelle! Io mi sento tutto, ma a volte non mi sento niente.

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esercizi

LE TECNICHE E IL GENERE

  • I fatti descritti sono:
    • verosimili. 
    • inverosimili.

  • I pensieri della protagonista sono raccontati attraverso un:
    • monologo interiore. 
    • flusso di coscienza.

  • Nel brano ci sono molte:
    • metafore. 
    • espressioni gergali.

  • Il registro di questo brano è:
    • medio. 
    • basso.

LABORATORIO SUL TESTO

  • Secondo te la protagonista è cresciuta:
    • in Somalia. 
    • in Italia.

  • Ha dei problemi a mangiare le salsicce perché:
    • non sa come vanno cucinate. 
    • è vietato dalla religione islamica.

  • Sta pensando di mangiarle perché così:
    • vuole ribellarsi al divieto islamico.
    • spera che le persone la riconoscano come italiana.

  • La Legge Bossi-Fini la mette in crisi perché, in quanto extracomunitaria:
    • non le verrà rinnovato il passaporto.
    • sarà trattata come potenziale criminale.

  • La protagonista sente di avere un’identità:
    • somala. 
    • italiana. 
    • un misto di tutte e due.

competenze liNguistiche

  • La protagonista si chiede se il suo passaporto italiano sia veritiero, cioè se il passaporto:
    • è falso. 
    • dice la verità.

  • “Sarà stata una bravata inutile?” Puoi sostituire “bravata” con:
    • provocazione. 
    • scommessa.

L'emozione della lettura - Saperi fondamentali
L'emozione della lettura - Saperi fondamentali
Narrativa