L’ingresso nell’età contemporanea
La Rivoluzione industriale, che prese avvio in Gran Bretagna negli anni Trenta del Settecento per poi diffondersi in tutta Europa nella seconda metà del secolo, comportò cambiamenti importanti in numerosi ambiti tanto da inaugurare una nuova epoca, quella contemporanea. L’incremento della capacità produttiva (che trova la sua massima espressione nell’invenzione delle macchine a vapore, del telaio meccanico e delle nuove tecniche siderurgiche dell’altoforno alimentato a carbone fossile) si accompagnò all’ampliamento su scala globale delle rotte commerciali, determinando la definitiva affermazione dell’odierna società capitalistica.
Al progresso tecnologico corrispose anche quello culturale e sociale: le riflessioni del filosofo britannico John Locke sul diritto naturale e sulla sovranità popolare aprirono infatti la strada ai filosofi dell’Illuminismo che fissarono alcuni capisaldi della nuova organizzazione dello Stato: l’allargamento della rappresentanza popolare attraverso il voto, la divisione dei poteri esecutivo, legislativo e giudiziario, l’istituzione dell’istruzione minima obbligatoria, l’abolizione della schiavitù e della pena di morte. Le monarchie europee, e con esse la classe aristocratica in generale, consapevoli dell’irreversibilità delle trasformazioni in corso, recepirono, se pur col chiaro intento di mantenere ben salda la propria autorità, molte delle istanze dagli illuministi. Regnanti come Federico II di Prussia, Maria Teresa d’Austria, Carlo III di Borbone, Caterina II di Russia, Pietro Leopoldo di Toscana e, nel caso dello Stato della Chiesa, papa Clemente XIV avviarono importanti programmi di riforma economica e sociale. Tale politica, oggi definita assolutismo illuminato, non riuscì tuttavia a evitare che le rivendicazioni delle classi borghesi e popolari giungessero infine a minare il potere monarchico sfociando nell’aperto scontro sociale della Rivoluzione francese.