L’Arte informale

9.2 L’Arte informale

La risposta data dagli artisti europei alla spaventosa crisi esistenziale e ideologica scaturita dalla Seconda guerra mondiale prende il nome di Arte informale. La definizione stessa suggerisce la forte polemica che i suoi fautori instaurano con tutto ciò che può essere ricondotto a una forma, sia figurativa che astratta. Per questo nuovo modo di comunicare, l’evento artistico è ormai privo di ogni valore stilistico e il suo solo significato è rappresentato dal processo creativo seguito dall’autore e dai materiali con cui l’opera è realizzata.
Rivisitando alcuni temi di movimenti d’anteguerra come il Dada e l’Espressionismo, i protagonisti dell’Informale rifiutano le convenzioni precostituite e le regole razionalmente individuate per assegnare un primato decisivo al gesto estemporaneo attuato con la materia e sulla materia. Nelle loro opere pittoriche questi artisti utilizzano pennellate decise come colpi di sciabola, o schizzi e grumi di colore, rapidi gocciolamenti o lente colature, o ancora graffi, cretti e corrosioni. Così l’Arte informale dà una nuova rappresentazione al carattere precario e contingente della condizione umana, con i suoi disagi e le sue passioni; essa ha il suo epicentro a Parigi alla fine degli anni Quaranta, si diffonde in tutta Europa e in America, raggiungendo il suo apice tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, ma la sua vitalità si prolunga di fatto in numerose declinazioni fino alla fine del Novecento.

Jean Fautrier

Uno dei protagonisti iniziali dell’Informale è Jean Fautrier (Parigi 1888-Châtenay-Malabry 1964), che negli anni Quaranta, durante l’occupazione nazista della Francia, si rifugia in un ospedale per malati di mente e realizza la serie di dipinti conosciuta come gli Otages (Ostaggi).
Con queste tele l’artista, che assiste personalmente alle fucilazioni eseguite dai nazisti nel cortile della prigione attigua alla clinica, vuole richiamare gli orrori che gli occupanti perpetrano nel suo Paese. Convinto dell’impossibilità di rappresentare la drammaticità di tali eventi con opere eminentemente figurative, Fautrier delinea i volti degli ostaggi condannati o morenti in modo estremamente sintetico e semplificato, in dipinti inquietanti e potenti che traggono la loro forza espressiva da stesure di colore a volte dense e compatte, a volte rarefatte e rugose. L’autore utilizza colori a olio e polveri di pastello, con l’aggiunta di colle, cere o segatura.

Testa di ostaggio n. 21

Nell’opera Testa di ostaggio n. 21 (6) la materia pittorica sembra lievitare; pennellate violacee e colature rossastre tagliano come ferite le fattezze del viso appena abbozzate, in un’interpretazione dell’Arte informale che restituisce a un tempo la sofferenza del soggetto e la tragedia collettiva dell’occupazione e della guerra.

Jean Dubuffet

Ben diverso da quello di Fautrier è il percorso artistico che Jean Dubuffet (Le Havre 1901-Parigi 1985) intraprende sempre in Francia e all’incirca negli stessi anni. Nel 1945 formula il concetto di Art brut (Arte bruta) che applica a qualsiasi tipo di manifestazione espressiva immediata ed elementare, lontana da codificazioni e spesso nata senza alcuna intenzionalità artistica.

L’Ebrea

Aderisce alla perfezione al concetto di Art brut il dipinto L’Ebrea (7): l’immagine di una donna nuda è resa mediante un disegno schematico che si espande, privo di proporzioni, invadendo la tela fino a toccarne i bordi. I tratti del volto, i segni delle braccia, dell’addome e del sesso richiamano certamente le forme del corpo umano ma veicolano prima di tutto un linguaggio spontaneo privo di elaborazioni razionali, carico appunto di un’energia “bruta” che potremmo assimilare a quella delle rappresentazioni primitive o degli scarabocchi infantili.

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CONFRONTI E INFLUENZE

Nella Venere di Laussel, come nell’Ebrea di Dubuffet, la figura umana è fortemente semplificata e deformata: risultano ben evidenziate solo determinate parti (come i seni o il sesso) in funzione chiaramente simbolica.

Georges Mathieu

Negli anni Cinquanta è Georges Mathieu (Boulogne-sur-Mer 1921-Boulogne-Billancourt 2012) a valorizzare al massimo grado l’atto creativo spremendo i tubetti dei colori direttamente sulla tela; talvolta egli realizza le sue opere di fronte al pubblico, anticipando la pratica della  performance artistica.

Montuoissier

Proprio in questo modo è eseguito il quadro Montuoissier (8): su una rossa stesura omogenea di fondo, Mathieu svuota numerosi tubetti creando segni per lo più lineari di colore giallo e nero; questi ultimi sono le tracce della gestualità dell’autore, in cui è racchiuso l’unico vero significato dell’evento artistico. Dopo aver negato ogni forma e ogni figurazione, il segno è ormai la sola espressione possibile.

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Linguaggi gestuali e segnici in Italia

L’Arte informale si sviluppa anche in Italia, maturando, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, declinazioni concentrate sul valore del gesto e del segno. In questi anni, infatti, mentre Roma diventa un crocevia di relazioni culturali tra l’Europa e l’America, molti artisti italiani elaborano linguaggi che rifiutano qualunque tipo di realismo o di naturalismo in favore di espressioni grafiche e materiche in cui si decantano, in maniera più o meno filtrata, condizioni emotive personali o istanze di impegno sociale.
Tra questi autori Emilio Vedova (Venezia 1919-2006), che ha preso parte alla Resistenza, alla fine della guerra si dedica a una pittura fortemente debitrice nei confronti dell’insegnamento cubista. In seguito passa a un astrattismo informale impulsivo e vibrante, emblematicamente rappresentato dal Ciclo della protesta n. 3 (9). A partire dalla denuncia di un’angoscia individuale l’arte di Vedova si carica di passionalità politica, esplicitando una protesta decisa e ribadita nei confronti di tutte le forme di ingiustizia o di sopraffazione. Il valore dell’opera sta nella resa dell’impeto gestuale dell’artista attraverso pennellate lunghe e vigorose e macchie di colore contrastanti. 

Anche Carla Accardi (Trapani 1924-Roma 2014) inizia la sua attività alla fine degli anni Quaranta con una prima produzione di ascendenza postcubista; nel decennio successivo evolve la sua ricerca espressiva in un linguaggio del tutto originale, grazie al quale si inserisce a pieno titolo nella cultura gestuale e segnica sviluppata parallelamente in altri Paesi da artisti come Georges Mathieu. I segni sinuosi che l’Accardi delinea con fluide pennellate di colore a tempera appaiono ripetuti e variati in aggregazioni estremamente rigorose eppure dinamiche, contrassegnate da una notevole tensione ottica. L’opera Grande integrazione (10) crea un’ambigua condizione percettiva: la piatta sovrapposizione dei segni bianchi sullo sfondo nero induce a leggere la composizione in modo del tutto bidimensionale; d’altra parte, le rarefazioni e gli addensamenti che si possono apprezzare nell’affollarsi delle linee e delle curve sembrano suggerire la strutturazione di uno spazio fluttuante.
Pur abbandonando la bicromia bianco-nero, in Viola rosso (11) la pittrice continua a esplorare le frontiere della riduzione cromatica in un inusuale accostamento di toni. Su di uno sfondo viola si susseguono calligrafici segni rossi che mutano progressivamente nel profilo e nella dimensione. Essi brulicano sulla tela in fitte successioni e, pur essendo organizzati in più registri di andamento orizzontale, creano una forte sensazione di profondità e movimento.
Se l’opera dell’Accardi si distingue per la libertà di articolazione morfologica dei segni e per lo slancio spaziale delle composizioni, quella di Giuseppe Capogrossi (Roma 1900-1972) è singolare per l’insistita concentrazione su di un solo segno “a forchetta”, formato da un semicerchio attraversato da una corda a sua volta tagliata da due segmenti paralleli.
Come dimostra il quadro Superficie 470 (12), l’artista ripropone il suo emblema grafico decine di volte, variandone i formati, le proporzioni, i colori e gli orientamenti ma mantenendolo intatto, fin quasi a cristallizzarlo nella sua ermetica espressività. In questo modo Capogrossi non si interroga sui significati che possono essere comunicati attraverso il segno, ma sull’essenza del segno stesso, che significa di per sé, per le sue qualità strutturali e per le possibilità di interazione visiva che può instaurare con altri segni uguali nel campo bidimensionale della tela.
I processi di negazione della forma e di valorizzazione della materia propri dell’Arte informale investono anche le ricerche plastiche dello scultore Pietro Consagra (Mazara del Vallo 1920-Milano 2005), che dagli anni Cinquanta avvia un percorso di progressiva astrazione e articolazione di piani separati e paralleli, destinato a risolversi nella completa frontalità dell’immagine. Come evidenzia Colloquio maggiore (13), l’artista realizza le sue sculture assemblando blocchi di legno o di bronzo, o separandoli e svuotandoli con tagli e incisioni; egli stesso afferma «queste sculture le ho curate deliberatamente da una parte sola, lasciando quella retrostante alla funzione meccanica aggregata. Ciò per accentuare la scelta frontale nel modo più esplicito e unico, con un solo punto di vista per l’osservazione».

GUIDA ALLO STUDIO
L’ARTE INFORMALE
  • Espressione della crisi del dopoguerra
  • Abbandono delle convenzioni e delle regole artistiche tradizionali
  • Estrema importanza del processo creativo e dei materiali utilizzati

Jean Fautrier

  • Rievocazione del dramma e degli orrori della guerra
  • Dipinti inquietanti e fortemente espressivi e ritratti semplificati
  • Uso di colori a olio e polveri di pastello, combinati a colle, cere e segatura

Jean Dubuffet

  • Elaborazione del concetto di Art brut (“Arte bruta”)
  • Linguaggio spontaneo e lontano dalle convenzioni, simile all’arte preistorica e a quella infantile
  • Abbandono delle codificazioni e delle intenzioni estetiche

Georges Mathieu

  • Negazione della forma e della figurazione in favore del segno, unica espressione artistica
  • Massima esaltazione dell’atto creativo
  • Anticipazione della pratica della performance artistica
L’arte informale in Italia
  • Rifiuto del realismo e del naturalismo
  • Segno e gesto come espressione di condizioni emotive
  • Valorizzazione della materia e delle espressioni grafiche

Contesti d’arte - volume 3
Contesti d’arte - volume 3
Dal Neoclassicismo a oggi