L’Europa perde il suo primato
Al termine della Seconda guerra mondiale, che aveva segnato la fine dei regimi totalitari in Europa, si profila nuovamente un clima di forti tensioni. Le conferenze di Teheran (novembre-dicembre 1943) e Jalta (febbraio 1945) determinano la contrapposizione (che sarà politica, militare e ideologica) tra due diversi sistemi: il blocco occidentale, di stampo capitalistico e democratico, guidato dagli Stati Uniti, e quello orientale, di stampo comunista, egemonizzato dall’Unione Sovietica.
Il contrasto e l’antagonismo tra le due superpotenze si concretizza nella cosiddetta guerra fredda (che potrà dirsi risolta solo con la caduta del muro di Berlino nel 1989 e con il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991): se il conflitto mondiale è ufficialmente concluso, l’ostilità è ben lontana dall’essere risolta. Si tratta di una sorta di pace apparente, un equilibrio forzato dettato dalla minaccia di una guerra con armi atomiche (la cui potenzialità distruttiva era stata dimostrata con il bombardamento delle cittadine del Giappone, Hiroshima e Nagasaki). Viene meno la centralità degli Stati europei, fino a questo momento potenze egemoniche e realtà trainanti a livello politico, economico e culturale. L’Europa si presenta dunque separata in blocchi di alleanze – esemplare è il caso della Germania che, in posizione centrale, viene divisa in Repubblica federale tedesca a Occidente e Repubblica democratica tedesca a Oriente – e fortemente indebolita. Stati Uniti e Unione Sovietica inaugurano quindi delle politiche di sostegno per rilanciare l’economia e avviare la ricostruzione, che garantiscono loro anche un controllo diretto sui Paesi beneficiari.
A Occidente, gli Stati Uniti si impongono non solo come modello economico e politico, ma anche come nuovo centro culturale: New York si sostituisce a Parigi come capitale dell’arte sia per la presenza di numerosi artisti e intellettuali europei che, sfuggiti alle persecuzioni naziste, stimolano un dibattito e influenzano profondamente la produzione dell’epoca, sia per la notevole disponibilità economica che alimenta un nuovo mercato dell’arte con mecenati, collezionisti e gallerie private (una di queste è la galleria Art of this Century, fondata nel 1942 dalla collezionista Peggy Guggenheim).
È interessante notare come anche l’arte rientri nel “gioco” di forze della guerra fredda: accordando il suo sostegno, il governo statunitense – che favorisce esposizioni e pubblicazioni, finanzia committenze e sovvenziona artisti – intende promuovere un’immagine vincente anche dal punto di vista culturale. Mai come in questo periodo l’arte e i suoi interpreti ottengono una così larga visibilità; alcuni artisti riescono a sfruttare in modo sapiente le potenzialità dei nuovi media per autopromuoversi, riscuotendo una popolarità pari a quella dei divi del cinema: il pubblico dell’arte risulta ora notevolmente ampliato.