Contesti d’arte - volume 3

Il gruppo del Novecento

Nel 1922, a Milano, attorno alla critica d’arte Margherita Sarfatti, si radunano gli artisti Anselmo Bucci, Leonardo Dudreville, Achille Funi, Gian Emilio Malerba, Pietro Marussig, Ubaldo Oppi e Mario Sironi, che costituiscono i sette pittori del gruppo del Novecento. Alcuni di essi provengono dal Futurismo, come Sironi; altri hanno alle spalle una formazione mitteleuropea, come Pietro Marussig, che ha vissuto a Vienna e Monaco. L’obiettivo della Sarfatti è di ricollocare Milano al centro del dibattito artistico, promuovendo una tendenza che, rifacendosi allo spirito del tempo, si orienti genericamente verso il Ritorno all’Ordine. Gli artisti del Novecento accolgono stimoli diversi dal classico al primitivo alle suggestioni metafisiche. Fra i temi prediletti si annovera il ritratto, come mostrano Due donne al caffè di Marussig e L’architetto di Sironi.
Di nascita triestina, Pietro Marussig (Trieste 1879-Pavia 1937) risente della cultura mitteleuropea. Elabora scene di vita borghese che rivelano sottili indagini psicologiche: Due donne al caffè (57), icona del Novecentismo, presenta una scena di “moderna classicità”.
Ne L’architetto (58) di Sironi si evidenzia una semplificazione formale memore dell’arte quattrocentesca che, come in altre opere dell’artista, pone l’accento sulla forza plastica e costruttiva delle linee e degli elementi classici architettonici (un capitello, un pilastro modanato, un arco a tutto sesto). In modo particolare, L’architetto mette in evidenza come per Sironi l’architettura non sia propriamente una forma d’arte, ma la sua stessa definizione. Arte significa costruire e alla figura dell’architetto-artista è consegnato il difficile compito di organizzare gli spazi entro i quali si svolge la vita e il destino degli uomini, insieme al grande progetto di rinnovamento delle arti.
Il gruppo dei sette pittori del Novecento si presenta per la prima volta al pubblico nel 1923, alla Galleria di Lino Pesaro a Milano; l’anno successivo espone alla Biennale di Venezia. Sull’onda dei successi raggiunti, Margherita Sarfatti vuol conferire un respiro più ampio e ambizioso al suo progetto, trasformando il Novecento da movimento a scuola. Nel 1926, al Palazzo della Permanente di Milano si tiene la prima mostra del Novecento Italiano, con discorso inaugurale di Mussolini e la partecipazione di 110 artisti. Nella mostra del 1929 gli espositori aumentano ancora, tanto da trasformare il movimento in una generica aggregazione di arte italiana, priva di una reale comunione di intenti. Subito dopo sono organizzate mostre all’estero, ma già nei primi anni Trenta l’avventura sarfattiana può dirsi conclusa, in quanto Mussolini toglie il proprio appoggio al gruppo, in linea con una politica culturale che intende attuare una fascistizzazione del sistema più che appoggiare una ricerca precisa, e anche per la dimensione esterofila poco consona al clima autarchico che va imponendo il regime. In realtà, nel corso degli anni Trenta, il fascismo cercherà di definire un proprio stile. L’artista che da allora in avanti sarà il più fedele interprete della retorica fascista è Mario Sironi.

CONFRONTI E INFLUENZE

I volumi chiari e nitidi del dipinto di Marussig, riscontrabili nei dettagli delle vesti, nei deliziosi cappelli, nei tocchi di bianco che echeggiano all’interno della composizione (il cane, i guanti, la collana di perle), rimandano a certe composizioni rinascimentali, come il celebre ed enigmatico dipinto di Vittore Carpaccio Due dame veneziane.

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Mario Sironi: dal Novecento al Muralismo

Nell’ambito del gruppo del Novecento, Mario Sironi (Sassari 1885-Milano 1961) detiene una posizione di primo piano.

Solitudine

Dopo una formazione futurista, nel dopoguerra si volge verso lo studio dell’arte italiana del Trecento e del Quattrocento, come si può vedere in Solitudine (59), un olio del 1926 in cui una donna seduta, con un’espressione cupa che ricorda certe figure picassiane, emerge con evidente sintesi statuaria e sobrietà cromatica, fatta eccezione per il bianco folgorante della veste, su uno sfondo caratterizzato da un’apertura ad arco a tutto sesto che rimanda a inserti architettonici di chiara derivazione classica.

I costruttori (Composizione)

Tradizione e arcaismo non sono tuttavia, per Sironi, motivi di fuga dal presente, ma ricerche linguistiche con le quali è possibile indagare la società industriale contemporanea. Egli realizza infatti alcune vedute di periferie urbane, dove arcaismo e modernità si fondono. Ne I costruttori (60), i corpi nudi degli uomini si collocano in un paesaggio industriale spettrale, in cui il chiaroscuro e l’essenzialità dei riferimenti creano un’atmosfera drammatica e straniante. Sironi concretizza il suo pensiero attraverso un’immagine epica dell’uomo moderno, inteso come depositario del passato e insieme artefice della nuova civiltà urbana, un uomo che appare dotato dello stesso peso e consistenza degli edifici, blocco monumentale accanto ad altri blocchi, gigante tragico di un mondo emerso da un tempo lontano. Nel 1933 Sironi sottoscrive il Manifesto della pittura murale (pubblicato su “La Colonna”), nel quale di fatto formula i principi dell’arte fascista, che per lui deve essere un’arte sociale, collettiva, educatrice. In quest’ottica la dimensione borghese del quadro viene superata a favore di una pittura murale, le cui radici affondano nella grande tradizione della pittura ad affresco italiana. Dichiara Sironi «la pittura murale è pittura sociale per eccellenza […]. L’artista deve rinunciare a quell’egocentrismo che ormai non potrebbe che insterilire il suo spirito, e diventare un artista militante, cioè a dire un artista che serve un’idea morale e subordina la propria individualità all’opera collettiva». Si parla di un’arte di Stato, in quanto la committenza privata è sostituita da quella pubblica. Lo Stato fascista finanzia numerose opere pubbliche in questi anni – scuole, uffici, università, Palazzi di giustizia – per le quali sono coinvolti molti artisti, chiamati a realizzare grandi cicli decorativi. Si crea pertanto una stretta collaborazione tra architetti, pittori e scultori.

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Il lavoro

Sironi sostiene che la grande decorazione muraria ha più valore di un quadro, in quanto è un’arte svincolata dal possesso individuale, dal mercato dell’arte e destinata a tutti, dal momento che si vede per le strade, nelle piazze, nei luoghi di lavoro.
Alla Triennale di Milano del 1933 Sironi cura una sezione in cui invita pittori come De Chirico, Carrà, Savinio e Severini e scultori come Arturo Martini, Marino Marini e Lucio Fontana, a confrontarsi sull’ allegoria del “lavoro”, soggetto anche di una sua pittura murale a noi tramandata solo attraverso una documentazione fotografica. Sironi realizza infatti, sulla parete di fondo del salone delle cerimonie, un grande affresco intitolato Il lavoro (61): l’intera composizione risulta divisa in scomparti, secondo una sequenza narrativa che, sotto l’egida dell’ homo faber, unisce mitologia e modernità, epica e attualità con un linguaggio chiaro ed espressivo, senza retorica, in linea con il desiderio di una ricostruzione “plastica dell’universo” e nella piena coscienza della funzione etica dell’artista nella società in cui si trova a operare.

CONFRONTI E INFLUENZE

In un contesto diverso, il movimento muralista messicano, a partire dagli anni Venti del Novecento, teorizza un’arte sociale in luoghi pubblici, di larga partecipazione, i cui temi sono legati da una parte alla narrazione del mondo precolombiano e dall’altra alla Conquista spagnola e all’avvio dell’epoca moderna.
Le tre personalità più significative – José Clemente Orozco (Ciudad Guzmán 1883-Città del Messico 1949), Diego Rivera (Guanajuato 1886-Città del Messico 1957) e David Alfaro Siqueiros (Chihuahua 1896-Cuernavaca 1974), autore del murales Dal Porfirismo alla Rivoluzione – abbracciano l’idea che l’arte debba assolvere al compito di una crescita culturale collettiva: deve pertanto “vivere” in spazi aperti, condivisi da larghi strati della società.

GUIDA ALLO STUDIO
Gruppo del Novecento
  • Nasce a Milano nel 1922 attorno a Margherita Sarfatti, critica d’arte
  • Ne fanno parte Anselmo Bucci, Leonardo Dudreville, Achille Funi, Gian Emilio Malerba, Pietro Marussig, Ubaldo Oppi e Mario Sironi
  • Ritorno all’Ordine attraverso una nuova interpretazione del classico, del primitivo e del metafisico; semplificazione delle composizioni e linee ben definite
  • Particolare predilezione per il genere del ritratto
  • 1926: prima mostra del Novecento Italiano
  • Anni Trenta: inizio del declino di questa esperienza perché poco adatta a esprimere la politica culturale del regime fascista di Mussolini
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Le poetiche antinovecentiste

Nella seconda metà degli anni Venti si sviluppano poetiche e ricerche che si oppongono al clima autarchico del Novecento. Per i raggruppamenti artistici che si formano in direzione antinovecentista l’obiettivo è quello di recuperare il dialogo con i linguaggi contemporanei europei, portando lo sguardo al di là dello sterile classicismo su cui si era arroccato il movimento sarfattiano.
chiaristi lombardi - tra cui militano l’architetto e critico d’arte Edoardo Persico, Umberto Lilloni, Angelo del Bon, Francesco De Rocchi, Adriano Spilimbergo, Cristoforo De Amicis e Attilio Alfieri - si riuniscono a Milano a partire dal 1927, e dal 1929 si raccolgono intorno a Persico, recuperando le atmosfere morbide e luminose della pittura impressionista. Nelle loro opere prevale un senso di inquietudine e di fragilità: alla compatta robustezza delle immagini del Novecento italiano, legate a una rappresentazione classica e monumentale dell’uomo, si sostituisce un’iconografia più debole, animata da figure disorientate, vulnerabili, persino smarrite in un sentimento di intimità e commozione, avvolte in una profusione di luce aurorale. Ai valori volumetrici, si preferisce l’incanto di una pittura chiara, vibrata e sospesa in un tempo provvisorio della vita o addirittura in quello effimero del sogno.
Anche i Sei di Torino (Jessie Boswell, Gigi Chessa, Nicola Galante, Carlo Levi, Francesco Menzio ed Enrico Paulucci) rivolgono l’attenzione all’Impressionismo, ai valori costruttivi cézanniani, al colore espressionista e alle ricerche degli artisti dell’École de Paris.

La Scuola di via Cavour

Il clima più eccentrico si sviluppa a Roma intorno al 1927 dal sodalizio di Mario Mafai (Roma 1902-1965), Scipione (Gino Bonichi, Macerata 1904-Arco 1933) e Antonietta Raphaël (Kaũnas 1900-Roma 1975). La loro ricerca si connota per un virulento e acceso Espressionismo. È il critico Roberto Longhi a battezzare i tre pittori, nel 1929, Scuola di Via Cavour, rifacendosi al nome della via in cui abitavano Mafai e Raphaël. Il termine “scuola” non deve tuttavia far pensare a un’organizzazione, né a regole e programmi, che di fatto sono molto lontani dallo spirito di questi artisti.
Mafai e Scipione si conoscono nel 1924 e insieme frequentano la Scuola libera del nudo e la biblioteca di Palazzo Venezia, dove consultano monografie e studiano l’arte antica cercando i loro riferimenti lontano dalla classicità: guardano ad artisti come Tintoretto e alla pittura spagnola tra Manierismo e Barocco, da El Greco a Velázquez.
Queste fonti sono ben evidenti nella pittura di Scipione, come mostra per esempio Il Cardinal decano (62). Avvolto in un’atmosfera infuocata e visionaria, il cardinale si staglia in primo piano, con le sue mani allungate e ossute riprese dalla pittura di El Greco. Sullo sfondo la cupola e il colonnato di San Pietro si smaterializzano nel colore e nella luce dominata dalle intermittenze del colore rosso, metafora del dolore e delle ferite dentro la precarietà del tempo e della storia.

CONFRONTI E INFLUENZE

Scipione “sceglie” il Barocco quale linguaggio simbolo dell’opulenza della Roma papale, usando come riferimento il ritratto di papa Innocenzo X di Velázquez. Ad avvicinare i due dipinti sono soprattutto l’impostazione della figura e i rossi saturi. Il rosso è tradizionalmente il colore dell’autorità, ma può essere letto anche in un’accezione negativa (le immagini che circondano il prelato sono infatti tutt’altro che rasserenanti). In questo modo, esattamente come Velázquez, Scipione intende mostrare la forza della Chiesa di Roma non solo in senso spirituale, facendo riferimento al controverso rapporto con il regime (è in questo periodo infatti che vengono firmati gli accordi tra Papato e Stato).

 › pagina 378 

Un’affine atmosfera pervade Case al Foro Traiano di Mafai (63), che ritrae la città eterna affrancandola da un’immagine solenne e monumentale per restituirla in una dimensione visionaria. Come dei fantasmi, affiorano in primo piano i resti archeologici oltre i quali si stagliano le facciate delle abitazioni, dipinte con colori infuocati, bagnate da una luce livida e irreale e spogliate della loro consistenza plastica, ad accentuare il carattere espressionista della ricerca dell’artista.
Nel 1924 giunge a Roma da Parigi l’artista lituana Raphaël, che porta informazioni sulle esperienze degli artisti dell’École de Paris, come Chagall, Modigliani e Soutine, insieme a un bagaglio fantastico che deriva dalla sua cultura ebraica d’origine. Nella sua pittura sono presenti molti temi legati alla maternità, come i numerosi ritratti delle figlie. In Simona in fasce (64) la semplificazione della forma in assenza di prospettiva sembra ripresa da una  mètopa di un tempio greco ed evidenzia una grammatica compositiva di gusto arcaico con marcati accenti volumetrici, felice annuncio della futura attività dell’artista, legata prevalentemente alla scultura.

GUIDA ALLO STUDIO
Poetiche antinovecentiste
  • Avvicinamento ai linguaggi contemporanei e distacco dal Classicismo del gruppo del Novecento

Chiaristi lombardi

  • Gruppo che si riunisce a Milano dal 1927
  • Atmosfere luminose tipiche dell’Impressionismo; inquietudine e fragilità; figure disorientate e vulnerabili

Sei di Torino

  • Influssi provenienti dall’Impressionismo
  • Utilizzo del colore di stampo impressionista
  • Attenzione alle ricerche dell’École de Paris

Scuola di via Cavour

  • Nasce a Roma nel 1927 ca.
  • Ricerca di un Espressionismo acceso
  • Si ispira a Tintoretto e alla pittura spagnola da El Greco a Velázquez

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L’Astrattismo negli anni Trenta

Si collocano in una dimensione opposta al Ritorno all’Ordine anche alcune ricerche astratte che si sviluppano a partire dagli anni Trenta. Gli artisti che si volgono verso questo orizzonte guardano sia alle ricerche astratte internazionali, sia all’opera dei padri storici dell’astrazione – da Kandinskij a Mondrian al Costruttivismo russo – sia, infine, alle esperienze del Bauhaus e dei circoli di arte astratta che si formano a Parigi in quegli anni.
In Italia le prime esperienze in direzione astratta si individuano in ambito futurista, soprattutto con Giacomo Balla (► p. 295, fig. 60). Sulla scia di questi esempi, e grazie all’influenza delle istanze astratte internazionali, nel corso degli anni Trenta si sviluppano ricerche non figurative che lasciano affiorare suggestioni metafisiche. I centri di elaborazione dell’Astrattismo in Italia sono Como e Milano. Il gruppo comasco ruota attorno alla figura dell’architetto Giuseppe Terragni. Nel capoluogo lombardo, attorno alla Galleria del Milione, convergono Osvaldo Licini, Lucio Fontana, Fausto Melotti, Mauro Reggiani, Bruno Munari e Atanasio Soldati, i quali nel secondo dopoguerra porteranno avanti le loro ricerche in direzioni diverse.
Osvaldo Licini (Monte Vidon Corrado 1894-1958) sul finire del 1931, di passaggio a Parigi, entra in contatto con i vari gruppi di tendenza astrattista che animavano l’ambiente artistico d’oltralpe. Questa esperienza accentua un processo già in corso nella sua pittura, che aveva visto abbandonare progressivamente l’elemento naturalistico per sfociare in una sintassi totalmente astratta. Osservando Ritmo (Fili astratti su fondo bianco) (65), esile costruzione di forme geometriche in bilico verso l’infinito, si fa evidente come la ricerca di Licini sia distante tanto dal geometrismo assoluto di Mondrian quanto dallo spiritualismo di Kandinskij. L’astrazione è per Licini «l’arte dei colori e delle forme libere, liberamente concepite, ed è anche un atto di volontà e di creazione, ed è, contrariamente a quello che è l’architettura, un’arte irrazionale, con predominio di fantasia e immaginazione, cioè poesia». La sua pittura giunge a una dimensione fortemente lirica ed emotiva, tanto da invocare echi surreali e fantastici in cui lo spazio da fisico diventa mentale, come si evince da una sua nota dichiarazione, «il mio regno è nell’aria». 

Per Fausto Melotti (Rovereto 1901-Milano 1986) l’arte astratta è sintesi di rigore e geometria, di suggestioni derivate dalla sua formazione musicale e da antiche radici mediterranee. Come nota il critico Paolo Fossati, Scultura n. 15 (66) è basata su un “rigore contrappuntistico e armonico”. Tre moduli verticali ritmano lo spazio trovando la loro sintesi nel motivo ondulato che li attraversa e li unisce. Questi corpi diafani e smaterializzati si stagliano in un’atmosfera atemporale: ne deriva una composizione di forme pure e assolute, in cui la geometria, come nella ricerca di Licini, incontra la poesia per rifondare una nuova plastica moderna; la ricerca si muove, con grazia fluttuante, verso una prospettiva mentale, intrisa di accenti musicali e ironici.

GUIDA ALLO STUDIO
Astrattismo negli anni Trenta
  • Ricerche sull’Astrattismo con accenti metafisici
  • Como e Milano sono i centri propulsori

Osvaldo Licini

  • Si distacca dall’elemento naturalistico
  • Si accosta alla totale astrazione
  • Forme lasciate libere nello spazio
  • Atmosfere emotive e surreali

Fausto Melotti

  • Rigore e geometria
  • Richiami alla tematica musicale
  • Forme pure e assolute
  • Atmosfere fuori dal tempo

 › pagina 380 

Il gruppo di Corrente

Il gruppo di Corrente si forma attorno alla rivista “Corrente di Vita Giovanile”, fondata nel 1938 da Ernesto Treccani. Questa rivista riunisce giovani intellettuali iscritti alle associazioni giovanili fasciste e personalità più sbilanciate verso posizioni liberali e marxiste. Malgrado la formazione composita, il loro obiettivo è comune. Essi si oppongono alle recenti scelte politiche del regime, che portano all’alleanza con la Germania, alla promulgazione delle prime leggi razziali e, di fatto, allo scoppio imminente del nuovo conflitto, e si propongono, invero, di promuovere la libertà culturale e di sviluppare un nuovo rapporto con la realtà. Dal punto di vista artistico, le personalità che convergono attorno a Corrente si oppongono allo sterile classicismo del gruppo del Novecento per recuperare un dialogo con l’Europa e con la contemporaneità: guardano all’Espressionismo, soprattutto a Van Gogh, a Ensor e alla pittura fauve, ma anche al Realismo francese dell’Ottocento e al grande esempio picassiano di Guernica ( pp. 273-275), manifesto di una nuova arte politica che intende affermare la propria opposizione alla follia della guerra e dei fascismi.
Lavorando spesso attorno a temi attinti dall’iconografia religiosa, come la deposizione e la crocifissione, gli artisti di Corrente parlano del presente e del dramma della guerra, coniugando impegno politico e rinnovamento linguistico. Si veda a tal proposito la Crocifissione (67) di Renato Guttuso (Bagheria 1912-Roma 1987), in cui si fondono suggestioni picassiane diverse – dalla Crocifissione (68) a Guernica – con un colore forte, marcatamente espressionista. Rivela Guttuso: «Questo è tempo di guerra e di massacri. Abissinia, gas, forche, decapitazioni, Spagna, altrove. Voglio dipingere questo supplizio di Cristo come una scena di oggi». Con foga espressionista, che rimanda a soluzioni cubiste e futuriste, la Crocifissione, una delle opere più celebri dell’artista siciliano, presenta il tradizionale tema iconografico in una luce completamente nuova, a partire dalla figura nuda della Maddalena, considerata scandalosa dalle posizioni ecclesiastiche più conservatrici ma, a detta dell’autore, simbolo vero di un dolore universale senza tempo, al di fuori di ogni riferimento materiale. La scelta, altrettanto forte, di non allineare le croci sul Golgota ma di presentarle assembrate è un’ulteriore conferma dell’interpretazione autonoma del soggetto religioso pur nei continui rimandi alla lettura evangelica, rintracciabili nelle azioni dei soldati, nella cura dei dettagli (le corde che legano i due ladroni, i simboli della Passione sul tavolo in primo piano, vera e propria natura morta) e nel paesaggio sullo sfondo, autentico scorcio di una Sicilia rivisitata attraverso l’essenzialità dei tracciati urbani di matrice cézanniana e cubista. Notevole l’impeto cromatico di derivazione quasi manierista (il ricordo va alla Deposizione di Rosso Fiorentino), all’origine di quel particolare effetto di straniamento e atemporalità che porta lo sguardo dell’osservatore dentro un orizzonte terrestre saturo di dolore e di angoscia, di disperazione e di morte.

GUIDA ALLO STUDIO
Il gruppo di Corrente
  • Legato alla rivista “Corrente di Vita Giovanile” fondata nel 1938
  • Contrario alla scelta fascista di ingresso in guerra
  • Unione tra impegno politico e linguaggio artistico basato sulla realtà contemporanea
  • Ricerca di una nuova libertà culturale
  • Opposizione al Classicismo del gruppo del Novecento
  • Temi tratti dall’iconografia religiosa

Contesti d’arte - volume 3
Contesti d’arte - volume 3
Dal Neoclassicismo a oggi