René Magritte

8.9 René Magritte

La pittura di René Magritte (Lessines 1898-Bruxelles 1967) è tecnicamente perfetta, di stampo accademico, memore della precisione analitica della tradizione fiamminga. Nei suoi dipinti tutto è apparentemente fedele alla realtà. Eppure la visione che essi rivelano è ambigua e genera un senso di inquietudine proprio perché l’artista gioca sui meccanismi illusori della rappresentazione e della convenzionalità del linguaggio.
Magritte si forma all’Accademia di Belle Arti di Bruxelles. Nel 1923 rimane profondamente colpito dall’opera di De Chirico e di lì a poco entra in contatto con Breton e i surrealisti, con i quali espone nel 1928 alla Galerie Goemans di Parigi. Come questi artisti, Magritte vuole indagare “il funzionamento del pensiero”; tuttavia egli non si volge verso l’automatismo, assumendo una particolare posizione riguardo alla dimensione dell’inconscio e del sogno. Osserva a tal proposito: «Le nostre opere non sono oniriche. Al contrario. Se dei “sogni” entrano in questo contesto, sono ben diversi da quelli che abbiamo dormendo. Si tratta piuttosto di “sogni volontari” in cui nulla è vago». Le sue opere sono il risultato di una precisa azione condotta sugli oggetti tratti dalla realtà, così da trasformare il senso dell’enigma dechirichiano in una sensazione inafferrabile di disagio e inquietudine.

I valori personali

Fra i procedimenti utilizzati da Magritte occorre ricordare lo straniamento dell’oggetto, ottenuto grazie alla rottura dei nessi logici che normalmente mettono in relazione le cose fra di loro, la creazione di nuovi oggetti, la metamorfosi di oggetti noti o infine l’indagine della relazione fra parola e immagine. L’opera I valori personali (38), per esempio, è basata su un accostamento incongruo di oggetti che, ingranditi e rimpiccioliti rispetto alle loro reali dimensioni, determinano un effetto spiazzante, di stupore e inquietudine. In primo piano giganteggiano come delle presenze umane un fiammifero, un bicchiere e una saponetta. Sullo sfondo un pettine gigante è posto in bilico sul letto, mentre sull’armadio, le cui ante riflettono gli elementi della stanza, poggia un pennello da barba, le cui proporzioni sono alterate quanto quelle di tutti gli altri oggetti della composizione. Una carta da parati dipinta con un cielo di azzurro intenso percorso da nuvole bianche fa da sfondo a questa conturbante visione. «La mia pittura consiste in immagini sconosciute di ciò che è noto» osserva Magritte. Succede così che oggetti a cui non prestiamo più attenzione perché fanno parte del nostro universo quotidiano, se proposti in dimensioni alterate e decontestualizzati, innescano in noi nuovi meccanismi di pensiero, dissolvendo la normale indifferenza che solitamente accompagna la visione.

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Il tradimento delle immagini

Nel celebre dipinto Il tradimento delle immagini (39) Magritte affronta il tema della natura convenzionale del linguaggio, facendoci riflettere sulla complessità del rapporto in gioco tra oggetti, immagini e parole. Prendendo a esempio una comune pipa, Magritte ci mostra come l’oggetto, l’immagine che lo rappresenta e la parola con cui siamo abituati a designarlo siano in realtà tre piani distinti. Lo sfondo piatto e uniforme su cui si staglia la raffigurazione, così diverso dal contesto in cui può trovarsi realmente una pipa, e la scritta Ceci n’est pas une pipe (Questa non è una pipa), che nega la relazione immediata tra il nome e l’oggetto rappresentato, contribuiscono a creare nello spettatore un disorientamento che turba. La didascalia infatti sottrae all’oggetto rappresentato fedelmente la sua essenza, racchiusa nel nome “pipa” «Chi oserebbe pretendere che la RAPPRESENTAZIONE di una pipa È una pipa? Chi potrebbe fumare la pipa del mio quadro? Nessuno. Quindi NON È una pipa», afferma Magritte. Nel negare quel che consideriamo ovvio, la didascalia rivela all’osservatore l’esistenza e il funzionamento delle convenzioni sociali: è una convenzione che lega l’oggetto reale alla sua rappresentazione, così come è una convenzione il legame tra una determinata parola – oltretutto diversa nelle diverse lingue – a uno specifico oggetto.

Golconda

Tre sono gli elementi della composizione nell’opera Golconda (40): il cielo, dipinto con un colore azzurro uniforme e inespressivo; gli edifici sullo sfondo, assolutamente identici, standardizzati, anonimi; una moltitudine di uomini che cammina sospesa da terra, come pioggia caduta dal cielo. Si tratta di figure spersonalizzate e anonime: ciò che le contraddistingue sono la posizione e le proporzioni. Nessun particolare rimanda alla loro individualità. Gli uomini, come i palazzi sullo sfondo, diventano moduli standardizzati: vestiti tutti allo stesso modo, con soprabito nero e bombetta, posti a distanza regolare l’uno dall’altro. Ciascuno è collocato nel proprio spazio, ad accentuare l’assoluta mancanza di comunicazione, di possibilità di relazione. In questa moltitudine il singolo perde la propria unicità, diventando un modulo ripetibile all’infinito, che si propaga oltre la dimensione stessa del quadro. L’opera racchiude dunque molteplici significati e possibilità di interpretazione. L’omologazione, l’incomunicabilità e l’isolamento di queste figure focalizzano l’attenzione sulla condizione dell’individuo nella società contemporanea. Questa pioggia umana non è però immersa nella frenesia e nella velocità della città moderna, ma è sospesa in una dimensione onirica, silenziosa, fuori dal tempo, a rimarcare nell’osservatore uno strano effetto di depaisement (spaesamento). Il titolo, come spiega lo stesso Magritte, rimanda a un’antica e ricca città dell’India, palcoscenico ideale per mettere in scena un’utopia, un miracolo contemporaneo.

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La camera d’ascolto

Che cosa ci può essere di più spiazzante di una mela? Nella Camera d’ascolto (41) Magritte dilata le proporzioni di una mela verde che riempie interamente la stanza. Il critico David Sylvester, soffermando l’attenzione sul carattere claustrofobico del dipinto, scrive: «La stanza non ha lo spazio per nient’altro; non è possibile entrarvi. La mela è un invasore, una forza militare d’occupazione, un occupante a tutti i costi. Abbiamo subito una perdita di spazio. La mela [...] non solo occupa lo spazio del quadro ma si spinge anche nel nostro spazio, come se minacciasse un assalto».

Le grazie naturali

Il tema della metamorfosi è al centro di molte opere, fra cui si ricorda Le grazie naturali (42), dove le foglie assumono la forma di uccelli pietrificati o, viceversa, gli uccelli prendono la forma delle foglie. Il cielo rosso e blu contrasta con il verde della composizione di foglie e uccelli, dando vita a un’atmosfera inquietante. È come se il colore rosso salisse dalla terra, da un incendio propagatosi oltre le montagne all’orizzonte, a evocare ere primordiali, di grandi rivolgimenti naturali e di metamorfosi di forme e organismi della natura.

GUIDA ALLO STUDIO
René Magritte
  • Pittura tecnicamente perfetta
  • Composizioni inquietanti e ambigue che generano stupore e disagio (per il gioco con i meccanismi illusori della rappresentazione e del linguaggio)
  • Mutamento di scala e accostamenti non logici di oggetti di uso quotidiano
  • Temi ricorrenti: la natura convenzionale del linguaggio e la metamorfosi

Contesti d’arte - volume 3
Contesti d’arte - volume 3
Dal Neoclassicismo a oggi