Giorgio de Chirico
Le muse inquietanti
- 1918
- olio su tela, 97x66 cm
- Collezione privata
De Chirico: Le muse inquietanti
Realizzato da De Chirico durante il soggiorno ferrarese, è questo uno dei dipinti più famosi dell’artista, in un primo tempo intitolato Le vergini inquietanti.
La scena è ambientata in una piazza di Ferrara, con il Castello Estense posto al fondo. Se fino a quel momento le piazze dechirichiane erano state abitate da statue, qui fa la comparsa il tema del manichino, inteso come calco e simulacro della figura umana, ad accentuare il senso del vuoto e del doppio. Lo spazio architettonico-teatrale, apparentemente ben costruito ma in realtà non plausibile per la prospettiva ribaltata in avanti, è ritmato da giochi di luce e di ombra molto forti che conferiscono alla scena un’atmosfera irreale e immobile. Su di esso si stagliano due figure, tra le quali si trovano alcuni oggetti che rimandano al mondo dell’infanzia, come il bastoncino di zucchero dalle proporzioni dilatate e la scatola colorata in primo piano. Una figura è seduta su una scatola azzurra e affiancata da una specie di maschera rossa: ha il corpo simile a una statua e la testa di un manichino per sarti. Accanto si erge il calco di una statua antica, la cui testa è sostituita da un pallone arancione gonfiato. Queste figure paradossali, che occupano immobili la scena in un tempo sospeso e irreale, accentuano il valore tragico, enigmatico e inquieto della visione. «Il manichino è un oggetto che possiede a un dipresso l’aspetto dell’uomo – rivela De Chirico – ma senza averne il movimento e la vita; il manichino è profondamente non vivo e questa sua mancanza di vita ci respinge e ce lo rende odioso. Il suo aspetto umano e, nel tempo stesso, mostruoso, ci fa paura e ci irrita […]. Il manichino non è una finzione, è una realtà, anzi, una realtà triste e mostruosa. Noi spariremo ma il manichino resta. Il manichino non è un giocattolo, fragile ed effimero, che una mano di bambino può spezzare, non è destinato a divertire gli uomini, ma, costruendolo, gli uomini lo hanno destinato a determinate funzioni: per i pittori, i sarti, le vetrine dei negozi di abiti, gli ammaestratori di canipoliziotto, le scuole di borsaiuoli. Non è la finzione della morte, della non esistenza che noi cerchiamo sulla scena. Se gli uomini chiedessero al teatro tale finzione il manichino sarebbe forse stato una consolazione, ma noi chiediamo invece al teatro la finzione della vita, gli chiediamo una vita irreale, senza principio né fine».