Dada a New York

7.14 Dada a New York

Con lo scoppio della guerra molti artisti e intellettuali si rifugiano nei Paesi neutrali per poter proseguire in piena libertà il proprio lavoro. Oltre a Zurigo, la meta più ambita è New York. Proprio qui nel 1915 sbarca Marcel Duchamp (Blainville-Crevon 1887-Neuilly-sur Seine 1968), seguito da Francis Picabia. Due anni prima Duchamp aveva riscosso un grande successo oltreoceano all’Armory Show – la mostra tenutasi presso l’armeria del 69° reggimento di fanteria di New York, destinata a passare alla storia in quanto momento cruciale per la ricezione oltreoceano delle tendenze più rappresentative dell’arte contemporanea europea.
L’ambiente newyorkese si presenta molto stimolante, aperto ai nuovi linguaggi e alle nuove ricerche. Duchamp e Picabia frequentano i circoli legati all’avanguardia, come la Galleria 291 del fotografo Alfred Stieglitz. Conoscono Man Ray ( p. 322), coinvolto nel Dada e impegnato in una particolare sperimentazione in ambito fotografico. Questi artisti ben presto entrano in rapporto con Tzara e intrecciano una serie di fecondi contatti con il Dada europeo, anche grazie alle riviste da loro pubblicate. Nel 1916 Picabia fonda la rivista “391”; nel 1921 Duchamp e Man Ray pubblicano “New York Dada”.

Duchamp e il ready-made

Figura cruciale dell’arte del XX secolo, Duchamp ha impresso un segno indelebile alle vicende dell’arte contemporanea, facendo vacillare la categoria tradizionale di opera d’arte. 

Declina infatti una pratica artistica che si esercita anche al di là dell’opera, investendo la sfera comportamentale e mentale.

Ruota di bicicletta

Dopo una formazione a Parigi in cui si avvicina al Cubismo fornendone una propria interpretazione in un’accezione cubo-futurista, Duchamp nel 1913 inizia a esplorare una nuova dimensione espressiva che sposta sempre più l’attenzione verso una riflessione mentale intorno all’arte. Realizza allora il suo primo ready-made: Ruota di bicicletta (92), consistente in una ruota di bicicletta con la forcella capovolta montata su uno sgabello da cucina. L’opera si presenta dunque come un paradosso, perché unisce un oggetto che esprime il movimento (la ruota) a uno che lo rende immobile (lo sgabello); un prodotto industriale (la ruota) a uno artigianale (lo sgabello di legno); una forma circolare (la ruota) a una quadrata (la base dello sgabello). Nel ready-made, che significa “già fatto”, “pronto all’uso”, la dimensione manuale legata alla creazione dell’opera si azzera completamente: un oggetto d’uso comune assume lo status di opera d’arte per il solo fatto che l’artista lo sceglie e lo colloca nello spazio dell’arte.

L.H.O.O.Q.

L’operazione può essere condotta anche utilizzando un’opera d’arte del passato. È il caso di L.H.O.O.Q. (93), ready-made destinato a diventare una sorta di manifesto Dada. Duchamp interviene sull’immagine della Gioconda, il celebre dipinto di Leonardo, aggiungendole un paio di baffi e una barbetta a punta. E con il titolo genera un dissacrante gioco di parole, sciogliendo l’enigmatico mistero che avvolge una delle opere più emblematiche della storia dell’arte. Pronunciato in francese, esso suona come elle a chaud au cul, che significa “donna che si concede facilmente”.



LE FONTI

Scrive Duchamp: «La Gioconda è così universalmente nota e ammirata da tutti che sono stato molto tentato di utilizzarla per dare scandalo. Ho cercato di rendere quei baffi davvero artistici».


Contesti d’arte - volume 3
Contesti d’arte - volume 3
Dal Neoclassicismo a oggi