Il primo Futurismo

7.8 Il primo Futurismo

La poetica di Marinetti

Letterato e poeta vicino agli artisti, Filippo Tommaso Marinetti (Alessandria d’Egitto 1876-Bellagio 1944), il cui vero nome è Emilio Angelo Carlo, trascorre ad Alessandria d’Egitto i primi anni di vita. Si trasferisce poi con la famiglia a Milano, città che si accinge a vivere un intenso processo di sviluppo economico e industriale. Dopo aver conseguito il diploma a Parigi, prosegue i propri studi in Legge alle facoltà di Pavia e di Genova, ma la sua vocazione è la poesia, alla quale si dedica totalmente dopo il conseguimento della laurea in Giurisprudenza. Nei primi anni del Novecento collabora con l’“Anthologie”, rivista milanese stampata a Parigi in francese e in italiano; nel 1905 fonda a Milano la rivista “Poesia”, palestra per l’elaborazione e la diffusione del suo pensiero estetico e letterario che trova nel verso libero (svincolato da schemi e forme metriche tradizionali) un primo, fondamentale momento di rinnovamento e di rottura. Marinetti porta avanti un’azione artistico-culturale rivolta al presente, tesa a narrare i fermenti della società contemporanea, dove il progresso, la velocità e la macchina sono motivi cruciali di riflessione. Se Parigi è l’orizzonte culturale al quale il poeta si rapporta costantemente, Milano, con le proprie peculiarità e contraddizioni culturali e sociali, è la sua officina, punto di partenza per attivare un forte e indelebile processo di rinnovamento della cultura italiana. La Milano dell’età giolittiana è una città in espansione, che guarda al futuro, grazie al forte sviluppo industriale, nonostante sia caratterizzata da un clima culturale ancora avvolto da un sonnolento torpore provinciale. Questa situazione si accentua enormemente se si volge lo sguardo al resto della Penisola. È proprio per far tabula rasa della stagnante cultura passatista che Marinetti nel 1909 lancia il Manifesto del Futurismo (41): «È dall’Italia che noi lanciamo per il mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria col quale fondiamo oggi il FUTURISMO – si legge a chiusura del Manifesto – perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d’archeologi, di ciceroni e d’antiquari. Già per troppo tempo l’Italia è stata un mercato di rigattieri. Noi vogliamo liberarla dagli innumerevoli musei che la coprono tutta di cimiteri».
Con uno stile aggressivo e provocatorio, Marinetti declina il proprio pensiero in undici punti programmatici di forte impatto. Invoca la ribellione e la guerra, considerata la “sola igiene del mondo”; narra il nuovo paesaggio tecnologico, fatto di arsenali e cantieri, di officine e stazioni. Esalta i nuovi miti della società contemporanea (42), il dinamismo e la velocità, gli scioperi e le sommosse della nuova classe operaia: «Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova; la bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo... un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia». Marinetti si rivolge in prima battuta ai letterati, ma il portato del suo pensiero raggiunge tutte le arti (43).

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Il Futurismo in pittura

Subito dopo l’incontro con Marinetti, Boccioni, Russolo e Carrà elaborano il Manifesto dei pittori futuristi, sottoscritto altresì da Severini e Balla. Il documento, che risente molto dello sprezzante e aggressivo stile marinettiano, viene proclamato da Boccioni il giorno 8 marzo 1910 presso il Teatro Chiarella di Torino. A distanza di un mese, precisamente l’11 aprile 1910, questi stessi artisti pubblicano un secondo documento, il Manifesto tecnico della pittura futurista, dove le questioni pittoriche sono indagate con uno sguardo più tecnico e perspicuo. Il teorico del gruppo è Boccioni.
Dalla foga dirompente che motiva l’azione pittorica futurista in una dimensione di totale cesura con quanto è offerto dalla tradizione e dall’Accademia, i futuristi salvano e riconoscono unicamente come loro progenitori, nel cammino verso il moderno i divisionisti Giovanni Segantini e Gaetano Previati, così come la ricerca plastica di Medardo Rosso.
Il Divisionismo è infatti il punto di partenza per l’elaborazione del concetto di “sensazione dinamica” che sta alla base della poetica futurista, dove la staticità è soppressa e la visione è immessa in un continuo divenire spazio-temporale, accentuata altresì dall’esaltazione del colore inteso al di là dei vincoli numerici. Si legge infatti nel Manifesto tecnico della pittura futurista: «Per concepire e comprendere le bellezze nuove di un quadro moderno bisogna che l’anima ridiventi pura; che l’occhio si liberi dal velo di cui l’hanno coperto l’atavismo e la cultura e consideri come solo controllo la Natura, non già il Museo! Allora, tutti si accorgeranno che sotto la nostra epidermide non serpeggia il bruno, ma che vi splende il giallo, che il rosso vi fiammeggia e che il verde, l’azzurro e il violetto vi danzano voluttuosi e carezzevoli! Come si può ancora vedere roseo un volto umano, mentre la nostra vita si è innegabilmente sdoppiata nel nottambulismo? Il volto umano è giallo, è rosso, è verde, è azzurro, è violetto [...]. Le nostre sensazioni pittoriche non possono essere mormorate. Noi facciamo cantare e urlare nelle nostre tele che squillano fanfare assordanti e trionfali» (44).
Certamente le teorie di Albert Einstein sulla relatività, benché in maniera indiretta, influenzano la poetica futurista, come pure il pensiero filosofico di Henri Bergson. Nella primavera del 1910 i futuristi si presentano per la prima volta al pubblico. Nell’ambito della Mostra d’arte libera, tenutasi negli ex padiglioni della fabbrica Ricordi, viene infatti destinata una sala a Boccioni, Carrà e Russolo. La mostra è attaccata ferocemente sulla rivista fiorentina “La Voce” da Ardengo Soffici, letterato toscano molto vicino agli ambienti avanguardistici parigini e ai cubisti. Per reazione, i futuristi compiono una spedizione punitiva a Firenze, che si risolverà con una riconciliazione con il gruppo degli intellettuali toscani.

Se è a partire dal 1911 che si può parlare di una effettiva pittura futurista, l’anno cruciale per il movimento è il 1912 quando, grazie all’azione di Marinetti, il Futurismo ottiene un tempestivo riscontro internazionale. Nel corso di quell’anno, infatti, Marinetti si impegna per organizzare una serie di mostre in Europa, che toccano le principali capitali europee, fra cui Parigi, Londra, Berlino e Bruxelles. Di grande importanza è l’appuntamento parigino, per il quale Boccioni, Carrà e Russolo raggiungono Severini, residente da qualche anno nella ville lumière. La mostra è inaugurata a febbraio presso la Galleria Bernheim-Jeune e fornisce agli artisti italiani l’occasione di un confronto diretto con il Cubismo (45). Nella presentazione in catalogo, scritta da Boccioni, è chiaro il riferimento alla scomposizione cubista, di cui il Futurismo vuole superare la dimensione statica per mezzo della «simultaneità d’ambiente, e quindi dislocazione dei dettagli, liberati dalla logica comune e indipendenti gli uni dagli altri».
Nel frattempo il Futurismo si diffonde con grande rapidità anche in Italia. Al gruppo storico si uniscono altri artisti attraverso tutta una serie di mostre ed eventi che si tengono in varie città. A tal proposito si ricorda la prima mostra futurista tenutasi la sera del 26 febbraio 1913 nel ridotto del Teatro Costanzi di Roma alla quale partecipano, fra gli altri, i fiorentini Giovanni Papini e Ardengo Soffici (Rignano sull’Arno 1879-Forte dei Marmi1964) – quest’ultimo proponendo una ricerca che coniuga le acquisizioni formali futuriste con una scomposizione dei piani di matrice cubista (46).

Fra gli illustri visitatori si annovera il giovane critico Roberto Longhi che di lì a poco pubblica un ampio articolo dedicato al Futurismo su “La Voce”.
Molti artisti, in questi anni, si avvicinano al Futurismo pur proseguendo poi il loro cammino in tutt’altra direzione. Un esempio è Giorgio Morandi ( p. 341), il quale, fra il 1913 e il 1914, esplora una dimensione di ricerca cubo-futurista, realizzando le cosiddette Nature morte di vetri (47).
Per quanto fra il nucleo storico dei futuristi vi sia una forte coesione di intenti, ciascun artista declina un proprio linguaggio, fornendo una personale interpretazione delle tematiche concernenti il movimento, l’energia, la modernità e il progresso. Al centro della loro riflessione e indagine troviamo soggetti legati al nuovo paesaggio contemporaneo, come la macchina, l’elettricità, la velocità, gli scioperi della nuova classe operaia, e di conseguenza temi relativi al nuovo vivere dell’uomo contemporaneo nella metropoli.
Come si vedrà, ogni artista attraversa l’avventura futurista con tempistiche proprie. Luigi Russolo (Portogruaro 1886-Bottanuco 1947), per esempio, si distacca quasi subito dal gruppo. Una delle sue opere più celebri nel suo transito dalla musica alla pittura è Dinamismo di un’automobile (48), la cui composizione è basata su un incastro di linee-forza che suddividono la superficie pittorica in una sorta di triangoli che si propagano da destra verso sinistra e la cui dinamicità è accentuata dai contrasti cromatici delle tinte calde come il rosso e fredde come il blu notte. Questo moto ben evidenzia la sensazione di un’automobile che sfreccia fendendo l’aria, in un paesaggio dove la natura è sostituita dalla tecnologia e dalla meccanizzazione.
Musicista di formazione, nel 1913 Russolo tornerà a occuparsi di musica, proseguendo la propria ricerca futurista in ambito musicale. Egli sottoscrive infatti il manifesto L’arte dei rumori dedicato al suo maestro futurista Balilla Pratella.
Durante la guerra, invece, Carrà e Severini abbandonano il linguaggio avanguardista, avviandosi il primo verso le poetiche metafisiche ( p. 334) e il secondo verso il ritorno alla tradizione, definito Ritorno all’Ordine ( p. 370). Nel 1916 muore Boccioni. La sua scomparsa decreta idealmente la fine della prima stagione del Futurismo. Solamente l’avventura del più anziano Giacomo Balla proseguirà nella seconda fase futurista.

GUIDA ALLO STUDIO
Il primo Futurismo
  • Pubblicazione di vari manifesti contenenti le linee programmatiche del movimento artistico
  • Totale abbandono delle regole accademiche
  • Distacco dalla staticità del Cubismo
  • Esaltazione del progresso e della modernità
  • Soggetti e temi legati al paesaggio contemporaneo

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Umberto Boccioni

Umberto Boccioni (Reggio Calabria 1882-Chievo 1916) è la figura di riferimento del gruppo. Teorico della pittura e della scultura futuriste, nel 1914 riunisce il suo pensiero in Pittura scultura futuriste: dinamismo plastico pubblicato nelle Edizioni futuriste di “Poesia”.
Nel 1901 è a Roma, dove avviene la sua formazione; conosce il giovane pittore toscano Gino Severini, e insieme frequentano lo studio di Giacomo Balla. A tal proposito, ricorderà qualche anno più tardi Severini, Boccioni «che sentiva a fiuto le persone di valore aveva scoperto Balla […] Fu Giacomo Balla divenuto nostro maestro, che ci iniziò alla nuova tecnica moderna del Divisionismo». Nel 1906, Boccioni e Severini compiono un viaggio a Parigi. Pur partendo da una formazione comune a quella di Severini, Boccioni si muove in tutt’altra direzione. Come Severini, tramite Balla, conosce la pittura postimpressionista e le coeve ricerche italiane divisioniste, ma dal maestro egualmente egli deriva un’attenzione verso tematiche sociali legate al lavoro.

Rissa in galleria

Dopo il viaggio a Parigi e un soggiorno a Venezia e a Padova, Boccioni si stabilisce a Milano dove, oltre ad approfondire lo studio della pittura divisionista, può immergersi nell’atmosfera di questa città moderna, in cui affiorano e convivono tutti gli aspetti sociali di una metropoli industriale in trasformazione. Ben presto l’artista si lascia coinvolgere dall’entusiasmo dirompente di Marinetti: lo conosce nel gennaio 1910, e subito aderisce al Futurismo. Il dipinto Rissa in galleria (49), realizzato proprio in quello stesso anno, sembra tradurre in pittura la foga, l’energia, il dinamismo declamati da Marinetti. «Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo – si legge nel Manifesto del Futurismo – l’insonnia febbrile, il passo da corsa, il salto mortale, lo schiaffo, il pugno… Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere e dalla sommossa; canteremo le maree multiformi e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne». In quest’opera Boccioni riflette sul dinamismo e sulla simultaneità della percezione tramite una scomposizione del colore che risente ancora della tecnica pointilliste. Una svolta sarà caratterizzata dall’opera La città che sale ( pp. 290-291), realizzata fra il 1910 e il 1911, che segna emblematicamente il passaggio verso una pittura futurista.

Gli stati d’animo

Un ulteriore passaggio nel percorso di Boccioni si evidenzia con Gli stati d’animo, trittico composto da Gli addii, Quelli che vanno e Quelli che restano ed elaborato in due versioni, fra il 1911 e il 1912. Questi dipinti non rappresentano una scena desunta dalla realtà esteriore, ma spostano l’attenzione sul piano delle sensazioni e delle emozioni, su qualcosa che non è fisicamente presente di fronte allo sguardo dello spettatore, ma che appartiene alla sfera immateriale, interiore. Gli stati d’animo declinano il tema della partenza in tre momenti e, attraverso tre punti di vista diversi, colgono i vari sentimenti e le sensazioni legati al commiato di coloro che partono e di quelli che restano.
Questo ciclo di lavori ha avuto una lunga gestazione, intervallata dal viaggio a Parigi che Boccioni compie con Carrà e Russolo per l’organizzazione della mostra futurista alla Galleria Bernheim-Jeune. Come osservato, durante questo soggiorno i futuristi entrano in contatto diretto con il Cubismo, ricerca pittorica conosciuta, sino ad allora, esclusivamente tramite le riproduzioni pubblicate sulla rivista “La Voce”. Per quanto Boccioni sia scettico verso questo movimento, di cui critica la staticità, ne rimane influenzato. Ad avvalorare questa constatazione, si possono confrontare le due tele de Gli addii, l’una precedente e l’altra successiva al viaggio nella capitale d’oltralpe. La prima (50) è ancora legata a influssi divisionisti, ma portati all’eccesso, fino a trasformare la struttura puntiforme in masse di colore pastoso e filamentoso, che contribuiscono a dare l’idea di angoscia derivante dalla separazione. Il dipinto, infatti, rappresenta delle persone che si abbracciano, salutandosi in una stazione ferroviaria. Nella seconda versione (51) si fanno evidenti le suggestioni cubiste, rielaborate da Boccioni in una dimensione di ricerca del tutto personale: la scomposizione dei piani e la moltiplicazione dei punti di vista desunte dal Cubismo vengono dinamizzate attraverso l’utilizzo delle linee-forza che accentuano il concetto di simultaneità. Da tutto ciò consegue un particolare rapporto di fusione tra la figura e l’ambiente.

La visione è frantumata dal moltiplicarsi dei punti di vista, presentandosi al nostro sguardo come attraverso un caleidoscopio. Il movimento degli abbracci convulsi della folla è risolto in un vorticare del colore, dove il tema dominante verde è percorso da scie fluttuanti di rosso, bianco e giallo. Sullo sfondo la città, al centro la locomotiva, perno visivo attorno a cui si costruisce la composizione, della quale si riconoscono il volume della caldaia e il fumo che si disperde. Essa è colta di profilo e di fronte insieme, con il numero identificativo del convoglio “6943” che rimane integro, come avviene nei dipinti cubisti, in cui lettere e numeri diventano cifra pittorica. Il tutto è innervato da sottili linee nere che trasformano il motivo della griglia cubista in un gioco dinamico di linee-forza.

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Elasticità

Il secondo ciclo degli Stati d’animo è presentato alla mostra futurista tenutasi nel ridotto del Teatro Costanzi di Roma nel 1913, dove è altresì esposta Elasticità (52). Quest’opera raffigura un cavaliere al galoppo sullo sfondo di un paesaggio urbano. Qui luce, materia, colore e atmosfera si fondono in una sintesi di “dinamismo universale”, in cui si rappresentano allo stesso tempo i sobbalzi del fantino e il paesaggio che egli percepisce nella sua folle corsa: Boccioni mira a raffigurare il propagarsi del movimento nello spazio circostante. Come evidenzia il titolo, l’artista riflette sul concetto di elasticità, che definisce “legge di moto che caratterizza il corpo” e che, parallelamente, inizia a indagare nella dimensione scultorea. La realtà va afferrata nel suo infinito succedersi: proprio in questa ricerca l’oggetto si sdoppia, si moltiplica, in un costante, giustapposto rapporto oggetto-spazio, fatto di urti, incastri, “stati d’animo plastici” che interagiscono.

Contesti d’arte - volume 3
Contesti d’arte - volume 3
Dal Neoclassicismo a oggi