Picasso cubista
A partire dal 1908 Picasso e Braque lavorano autonomamente, seppure in una complicità di intenti, verso un’accentuazione volumetrica
delle forme, attraverso cui la pittura passa da imitazione e copia della realtà a una realtà essa stessa autonoma.
Sotto l’influsso di Braque, Picasso stempera il grande fascino per l’arte africana e si concentra sulla scomposizione delle forme: volti e oggetti come vasi, bicchieri, frutta, tavoli, bottiglie, case sono colti
contemporaneamente da più punti di vista in uno stesso spazio, a esplorare la totalità dell’oggetto con una pittura che tende alla monocromia. Questa fase della ricerca comune di Picasso e Braque, che si estende sin verso il 1911-1912, è comunemente indicata dalla critica come “Cubismo analitico”. È caratterizzata, appunto, da una marcata scomposizione della forma, in un’accezione molto mentale attraverso l’utilizzo di molteplici punti di vista che determinano una riproposizione in superficie della realtà globale dell’oggetto: in uno stesso spazio e nello stesso tempo l’oggetto è percepito come se venisse colto contemporaneamente da più angolazioni. Questa ricerca raggiunge un risultato che rasenta l’astrazione, senza tuttavia mai distaccarsi dalla realtà e dalla natura. Dirà infatti Picasso: «L’arte astratta non esiste. Si deve sempre partire da qualche cosa. Si può togliere, dopo, qualsiasi apparenza di realtà, ma l’idea dell’oggetto avrà comunque lasciato il suo segno inconfondibile».