Paul Gauguin

5.4 Paul Gauguin

Paul Gauguin (Parigi 1848-Isole Marchesi 1903), rimasto orfano di padre alla tenera età di un anno, trascorre l’infanzia a Lima, in Perú. La formazione scolastica avviene tra Orléans e Parigi e, a diciassette anni, non essendo affatto portato per lo studio, entra nella marina mercantile. Tra il 1865 e il 1871 viaggia continuamente, toccando numerosi porti, anche oltreoceano. Rientrato a Parigi, trova un impiego come agente di cambio e nel 1873 sposa la danese Mette-Sophie Gad (1850-1920) che nei successivi dieci anni gli darà cinque figli. Parallelamente alla vita d’impiegato coltiva la passione per la pittura con esiti ragguardevoli tanto che, nel 1879, è accolto dal gruppo degli impressionisti; in particolare si lega a Pissarro e Degas. Nel 1883, a causa di una grave crisi economica, Gauguin perde il lavoro: decide allora di dedicarsi unicamente all’arte e di trasferirsi a Pont-Aven, un paesino della Bretagna, dove la vita semplice della campagna, distante dalla corruzione dei costumi parigini, diviene fonte d’ispirazione. È però il viaggio in Martinica, avvenuto tra il 1887 e il 1888, la vera chiave di volta nella sua evoluzione pittorica: i temi esotici spingono l’artista verso soluzioni cromatiche antinaturalistiche e un trattamento dei volumi davvero distante dal linguaggio impressionista. Nell’estate del 1888 raggiunge Van Gogh ad Arles, in Provenza, assecondando il progetto dell’amico che voleva creare una comunità di artisti nel Sud della Francia, l’Atelier del Mezzogiorno. L’idillio di Arles ha breve durata: dopo qualche settimana le divergenze tra i due e la depressione di Van Gogh spingono quest’ultimo al gesto estremo di amputarsi un orecchio. Gauguin rientra dunque in Bretagna dove si susseguono anni inquieti: nel 1891, dopo aver liquidato ogni suo possedimento, si trasferisce a Tahiti, in Polinesia, ma nel 1893 è già di ritorno a Pont-Aven. Nel luglio del 1895 si imbarca nuovamente per la Polinesia, dove muore nel maggio del 1903.

L’esperienza di Pont-Aven e il distacco dall’Impressionismo

Stabilitosi in Bretagna per dedicarsi unicamente alla pittura in un luogo incontaminato dalla civiltà metropolitana, Gauguin scrive: «Quando i miei zoccoli risuonano su questo suolo di granito, sento il suono sordo, opaco e possente che cerco nella pittura».

La danza delle quattro bretoni

Quattro giovani fanciulle che si muovono in circolo come nella tradizionale danza bretone, vestite col costume della festa, sono le protagoniste de La danza delle quattro bretoni (15). Nonostante sia un rito collettivo, le quattro donne sembrano impegnate in un movimento solitario, senza una vera interazione. La natura morta in primo piano segna la profondità della scena sulla quale si stagliano le danzatrici. Gauguin enfatizza i gesti delle donne, in particolare accentua la donna in primo piano, le cui mani sono sproporzionate e scandiscono il movimento lento della danza.

È un dipinto che affonda ancora le radici nella tradizione impressionista – l’ambientazione all’aperto, l’immediatezza con cui ferma l’attimo, l’assenza di una prospettiva scientifica, la maniera in cui le figure sono integrate alla natura, l’uso esacerbato dei bianchi – ma il taglio è profondamente differente, e in particolare Gauguin è distante da una resa naturalistica. Le figure sono sovradimensionate e rese con una piattezza tale da farle sembrare delle sagome colorate che si sovrappongono.

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La Martinica e l’evoluzione pittorica di Gauguin

Tre anni più tardi Gauguin realizza uno dei suoi dipinti più celebri, il ritratto di Marie-Angélique Satre, nota per essere una delle più belle donne di Pont-Aven.

La bella Angèle

(16) Attorno al 1920 la stessa Angélique ricorda come avesse mal reagito alla visione del dipinto, considerato “un orrore”, al punto di rifiutarlo. Al contrario Gauguin lo ritiene uno dei suoi ritratti più riusciti e Degas lo considera un capolavoro, al punto di acquistarlo per sé. Le ragioni del rifiuto del dipinto sono anche le stesse che decretano la sua estrema modernità: la donna è ritratta nel costume tipico bretone, racchiusa all’interno di un tondo a sua volta inserito – decentrato – su uno sfondo floreale, accanto a un piccolo idolo peruviano in ceramica, un oggetto che Gauguin poteva aver ammirato a Parigi (► Confronti e influenze). La prospettiva è ormai completamente assente e Gauguin giustappone i diversi elementi del dipinto in maniera paratattica, senza un ordine d’importanza. La presenza della scultura antropomorfa votiva è la prova più evidente del soggiorno di Gauguin in Martinica, che ha spinto ulteriormente i confini dell’ispirazione oltreoceano, un mondo ai suoi occhi davvero incontaminato rispetto alla corruzione della vita urbana. Gauguin si concentra sulla resa di un’atmosfera agreste, vuole ricostruire la stessa distanza dalla civiltà avvertita in Martinica e lo fa anche a scapito dell’avvenenza della donna.
In una lettera, il mercante Theo van Gogh riassume bene l’ambivalenza del dipinto che, se da un lato involgarisce il volto della protagonista, dall’altro apporta «qualcosa di così fresco e ancora una volta così agreste, che è molto gradevole a vedersi». Le fonti visive ancora una volta si mescolano – da un lato la perizia verista nella descrizione del costume folkloristico, dall’altro il rimando alla piattezza dell’arte giapponese – e la tecnica pittorica muta secondo le esigenze del soggetto: il fondo floreale è steso con una pennellata più sciolta e rapida, mentre la linea disegnativa del ritratto esprime un lato più descrittivo, e perciò indagatore, della pittura. La scelta di una tavolozza limitata al blu e all’ocra aranciato fa percepire la scena come un unicum compatto.

CONFRONTI E INFLUENZE

L’idolo raffigurato nella tela La bella Angèle è stato ricondotto a una tipologia di statuette fittili del periodo precolombiano che Gauguin avrà modo di vedere nelle sale del nuovo Museo d’Etnografia del Trocadero (inaugurato a Parigi nel 1878) e nella sezione etnografica delle diverse Esposizioni universali parigine.
È stato anche osservato che la stessa Angèle rimanda a un preciso prototipo scultoreo, questa volta asiatico, in quanto nel volto, in alcuni dettagli e accessori e nell’atteggiamento delle mani ricorda una statua di Shiva nella posa di Buddha, di cui il pittore possedeva una riproduzione.
In una lettera a Theo van Gogh, Gauguin scrive: «Voi sapete che per nascita ho un fondo indiano, Inca, e tutto quello che faccio ne risente. È il fondamento della mia personalità. Alla civiltà ormai putrida, io cerco di opporre qualcosa di più naturale partendo dallo stato selvaggio».

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L’esotismo come via al presimbolismo

Sempre più affascinato dall’esotismo dell’Oceania, Gauguin trascorre buona parte degli ultimi dodici anni della sua esistenza a Tahiti, dove arriva alla sintesi definitiva tra colore e disegno che sarà una delle prerogative del Simbolismo. Un traguardo pittorico che è stato anche indicato col termine di cloisonnisme, per la somiglianza con le figure delle vetrate gotiche, definite con saldezza di contorno dall’armatura in ferro, chiamate appunto cloisonné.

Donne di Tahiti

Quest’opera (17) è il risultato del viaggio del 1891, primo soggiorno nel Pacifico. Le due figure sono ieratiche, perfettamente inserite nel dipinto, come un arabesque. Sul fondo di sabbia chiaro Gauguin posa una natura morta realizzata a monocromo, mentre sullo sfondo le onde del mare si sovrappongono in maniera completamente antinaturalistica. I volti, più somiglianti a delle maschere che a dei veri ritratti, sono marcati da una profonda malinconia, evidente nello sguardo e nella posa reclinata del capo. Le due donne sono entrambe assorte nei propri pensieri e non comunicano. Le figure sono trattate con un accentuato senso plastico che ne evidenzia la massa corporea e le trasforma in presenze scultoree: effetto che appare particolarmente evidente nel braccio teso in primo piano. Il fiore nei capelli, il pareo a fantasia, le acconciature naturali e il colore ambrato della pelle sono elementi che concorrono ad accentuare l’elemento esotico del dipinto e al contempo restituiscono un’energia primigenia, quella “poesia profonda” che fin dal 1888 Van Gogh rintracciava nelle figure femminili di Gauguin. Se i tocchi di bianco sull’abito rosa sono ancora debitori di Manet, il colorismo così intenso è già anticipatore di Matisse ( pp. 250-253).

Te tamari No Atua

Il “sincretismo” tipico del Gauguin maturo, ovvero la capacità di mescolare due culture profondamente diverse, in questo caso quella cristiana e quella esotica, emerge anche in Te tamari No Atua (18), nel quale Gauguin traspone la nascita di Cristo in un contesto polinesiano. La Madonna, stesa a riposo dopo la fatica del parto, anche in questo caso presenta tratti indigeni ed è identificabile dalla presenza dell’aureola. In secondo piano una figura di colore tiene tra le braccia il piccolo Gesù, protetto da un angelo nella penombra, mentre sullo sfondo si riconoscono dei buoi accanto a una mangiatoia, elementi iconografici tipici della Natività. Talvolta la tela è stata anche interpretata come un sogno della fanciulla che immagina la scena alle sue spalle. Per quanto il dipinto possa avere anche un appiglio biografico – l’artista attendeva infatti una figlia dalla giovane compagna Pahura – il vero interesse di Gauguin è la corretta trasposizione di un soggetto aulico e austero in un’ambientazione pressoché indigena e quotidiana. A tal proposito egli insiste sugli elementi dell’arredo e dell’abbigliamento, nonché sul gatto bianco. Dal punto di vista tecnico è un dipinto complesso, risolto con l’eleganza di una scansione cromatica scura, ravvivata dalla presenza della grande coperta gialla, che è anche l’unica fonte di luce.

GUIDA ALLO STUDIO
Paul Gauguin
  • Distacco dalla tradizione stilistica impressionista
  • Temi e soggetti esotici
  • Uso di gamme cromatiche antinaturalistiche
  • Forme piatte e contorni definiti
  • Fusione delle culture cristiana ed esotica

Contesti d’arte - volume 3
Contesti d’arte - volume 3
Dal Neoclassicismo a oggi