Vincent van Gogh

5.3 Vincent van Gogh

Vincent van Gogh (Zundert 1853-Auvers-sur-Oise 1890) si dedica alla pittura in età matura. Figlio di un rigido pastore calvinista, abbandona precocemente gli studi, tentando prima di collaborare con una casa d’aste attiva a Londra e Parigi e poi di seguire la carriera paterna di predicatore tra le famiglie dei minatori del Borinage, in Belgio. La sua inclinazione estremista – arriva a donare ogni suo bene agli indigenti – costringe il consiglio ecclesiastico di Bruxelles a togliergli l’incarico. Nel marzo del 1886, dopo aver appreso qualche lezione di disegno a Bruxelles e di pittura a l’Aja, raggiunge il fratello Theo a Parigi. Entra nell’atelier di Ferdinand Cormon (1854-1924) dove incontra Henri de Toulouse-Lautrec, uno dei pochi capaci di stargli accanto e comprendere la complessità e il dramma interiore vissuto dall’artista. Entra così in contatto con Monet, Degas, Renoir, Seurat e naturalmente Gauguin, verso il quale ha una sincera ammirazione: in una lettera all’amico artista Émile Bernard del 1888 afferma che «tutto quello che fa la sua mano ha un carattere dolce, accorato, sorprendente». Nel 1887 Van Gogh si ritira a dipingere ad Arles, cittadina del Sud della Francia dove invita Gauguin per confrontarsi in un fruttuoso scambio di idee. Poche settimane più tardi però, a causa di un’aspra divergenza, Van Gogh compie il tragico quanto leggendario gesto di mutilarsi un orecchio. D’indole depressiva, provato dalle difficoltà di affermazione, assillato da un costante sentimento di disagio, dall’inizio del 1889 le condizioni psichiche di Van Gogh peggiorano al punto da spingerlo a ricoverarsi all’ospedale per malati mentali di Saint-Rémy-de-Provence. L’anno successivo si trasferisce a Auvers-sur-Oise, non lontano da Parigi, convinto che un clima nordico gli avrebbe giovato. A nulla però conta l’aiuto di Paul Gachet, medico amico di numerosi artisti, e del premuroso fratello Theo che lo ritrovò agonizzante il 29 luglio del 1890 dopo che si era sparato due giorni prima.

Gli esordi olandesi

I primi soggetti della pittura di Van Gogh sono legati alla vita contadina olandese.

I mangiatori di patate

Dopo vari studi preparatori, nell’aprile del 1885, l’artista termina I mangiatori di patate (10), considerato a ragione uno dei suoi capolavori. L’interno buio di una capanna fa da cornice alla povera cena di una famiglia di contadini: il pasto è costituito da sole patate e caffè. L’unico punto luminoso, la lampada appesa sopra il tavolo, proietta una luce violenta che colpisce i volti stanchi dei cinque personaggi, le loro mani rugose, gli abiti miseri, facendo calare sul dipinto una tetra rassegnazione. Il taglio prospettico e il contrasto luministico concentrano l’attenzione sul centro del dipinto, impedendo allo sguardo di vagare a vuoto. Al contempo la bambina di spalle chiude idealmente il circolo familiare. Lo spettatore osserva la scena come immerso anch’egli nel buio silente della cucina. La scelta di colori così cupi – blu, grigio, marrone appena rischiarati da qualche punto di ocra – e terrosi danno l’impressione di un  monocromo. Vera protagonista del dipinto è la povertà, quella stessa piaga che l’artista aveva cercato di arginare nel suo impegno come pastore e che tratta con consapevolezza proprio per averla conosciuta dal vero. L’accentuazione del chiaroscuro occhieggia alla tradizione del Seicento olandese, in particolare a Rembrandt, che Van Gogh ritiene “magico”, lamentando che il Louvre non lo esponga con l’attenzione che merita. Quella stessa lampada, posta in una posizione tanto centrale, sarà ripresa nel 1937 in Guernica ( pp. 273-275) di Pablo Picasso.

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LE FONTI

In una lettera all’amato fratello Theo, Vincent descrive I mangiatori di patate, spiegando quali erano stati i motivi che lo avevano spinto all’esecuzione dell’opera.
«Ho voluto, lavorando, far capire che questa povera gente che alla luce di una lampada mangia patate servendosi dal piatto con le mani ha zappato essa stessa la terra dove quelle patate sono cresciute; il quadro, dunque, evoca il lavoro manuale e lascia intendere che quei contadini hanno onestamente meritato di mangiare ciò che mangiano. Ho voluto che facesse pensare a un modo di vivere completamente diverso dal nostro, di noi esseri civili. Non vorrei assolutamente che tutti si limitassero a trovarlo bello o pregevole.»

(Nuenen, aprile-maggio 1885)

L’esplosione del colore

Il trasferimento a Parigi coincide con l’aprirsi di nuovi orizzonti pittorici, non solo per una maggior varietà cromatica della tavolozza, ma proprio perché il colore prende definitivamente il sopravvento sul disegno: il quadro diviene pura materia pittorica. Van Gogh condivide la stessa Parigi degli impressionisti – per lui un modello di ribellione ai canoni della pittura accademica – che però lo trattano con diffidenza a causa delle sue scelte stilistiche estreme e dei suoi atteggiamenti al limite dello squilibrio. Al pari di Seurat e Gauguin egli è interessato alla potenzialità luminosa dei colori puri, una ricerca che raggiunge il suo culmine durante il soggiorno ad Arles (1887-1888).

Augustine Roulin

Sud della Francia, il 23 dicembre del 1888 inizia il ritratto di Augustine Roulin, moglie di un amico, fino a quando una crisi di follia lo costringe a interrompere il dipinto che giunge infine alla sua quinta, e definitiva, versione all’inizio del 1889 (11), quando è ormai internato nella clinica psichiatrica di Saint-Rémy. La donna è ritratta da un punto di vista estremamente ravvicinato, quasi a volerne rivelare i pensieri. Van Gogh ne evidenzia la corpulenza, soprattutto il seno abbondante, le mani “legnose” e segnate dal lavoro. Gli occhi chiari sono resi con una punta di verde intenso come fossero due gemme, «aveva un bello sguardo e presi il meglio» ricorda l’artista stesso. La donna tiene tra le mani un nastro con cui era solita far dondolare la culla: per questo il dipinto è stato indicato in passato anche col titolo di La berceuse (La culla). Lo sfondo, diviso tra un rosso intenso e un arabesco fiorato, elimina ogni possibile forma di prospettiva e cala il ritratto in una dimensione irreale.

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Notte stellata (Cipresso e paese)

Nel giugno dello stesso 1889 Van Gogh ci restituisce una veduta del villaggio che ospita il suo ricovero: Notte stellata (Cipresso e paese) (12) ha una struttura compositiva tradizionale, ma il linguaggio pittorico è completamente rivoluzionario. Il primo piano è tenuto dalla punta di un cipresso, osservato probabilmente dall’alto di una finestra; al di là di esso l’occhio spazia verso il villaggio e le colline delle Alpilles in lontananza. Le case, alcune con le finestre illuminate, sono organizzate attorno alla piazza dominata da una chiesa dal campanile svettante che fa da contrappunto, in prospettiva, al movimento conico del cipresso. La veduta, inanimata e apparentemente calma, è lo specchio di un malessere interiore, di un’inquietudine ribadita nella pennellata trascinata e sofferta che quasi pettina le forme delle colline e l’andamento contorto delle nubi nel cielo. L’orizzonte è tenuto basso in modo che la notte occupi la maggior parte della tela: un cielo puntato di stelle e rischiarato dall’aura di una luna aranciata. In una lettera del 2 giugno 1889 Van Gogh invita il fratello Theo a presentare Notte stellata alla Esposizione degli indipendenti a Parigi per «dare agli altri lo spunto per ottenere effetti notturni migliori».

Il superamento del naturalismo

La natura morta è per Van Gogh un’operazione doppiamente cerebrale: egli supera l’intento naturalistico nella resa del soggetto che diviene una visione personale, rielaborata attraverso il colore puro e alcuni imprescindibili rimandi formali distanti dalla stretta osservazione del soggetto.

Iris

Poco dopo il rilascio dall’ospedale, nel maggio del 1890, Van Gogh dipinge quattro bouquet tra cui il celebre Iris (13), nel quale il mazzo di fiori vive di una bellezza vivace e brillante nonostante sia sospeso contro uno sfondo completamente appiattito. La prospettiva è inesistente: il senso prospettico è reso solamente attraverso la sfericità della brocca e il sovrapporsi dei petali degli iris. Pur nell’assenza di profondità e di ombre, i fiori di Van Gogh mantengono una freschezza palpabile, dovuta unicamente alla brillantezza del colore e alla sua stesura densa e nervosa che, in alcuni punti, lascia dei veri e propri solchi.

 › pagina 181 

CONFRONTI E INFLUENZE

Nell’elaborazione di Iris Van Gogh tiene conto della sofisticata piattezza dell’omonima stampa di Katsushika Hokusai (1760-1849) e, come nella tradizione giapponese, segna con evidenza i contorni.

La chiesa di Auvers-sur-Oise

Sempre nel maggio del 1890, convinto che il suo malessere fosse dovuto al clima del Sud, Van Gogh lascia Saint-Rémy e si trasferisce a Auvers-sur-Oise. Appartiene a questo stesso anno La chiesa di Auvers-sur-Oise (14), realizzato tra il maggio e il giugno del 1890, qualche mese prima del suo disperato suicidio. Mantenendo sempre un punto di vista rialzato, Van Gogh pone al centro del dipinto la biforcazione di un sentiero nel quale trova spazio il retro dell’antica chiesa. La veduta è animata dalla contadina sulla sinistra, vista di spalle e volutamente sproporzionata. L’intera prospettiva appare inferma, la chiesa sembra avere una consistenza liquida e sciogliersi nell’andamento delle pennellate cariche di colore. La tavolozza ha perso ogni possibile rimando naturalistico e da una stesura “a tratto” per il viottolo e la vegetazione passa a una campitura densa, pressoché in eccesso, per lo sfondo. Il profilo, ben definito da un tratto nero marcato di giallo, si staglia contro un cielo di un blu intenso attraversato da nubi plumbee e presaghe di dolore. C’è forse anche un ultimo tentativo di salvezza nella scelta di un soggetto sacro, una chiesa gotica del XIII secolo, in un Van Gogh profondamente credente ma giunto ormai al limite della follia.

GUIDA ALLO STUDIO
Vincent van Gogh
  • Si accosta alla pittura in età matura
  • Primi soggetti tratti dalla vita contadina olandese
  • Estrema importanza del colore che prende il sopravvento sul disegno e diventa un mezzo per comunicare le emozioni
  • Abbandono della resa naturalistica
  • Assenza della prospettiva

Contesti d’arte - volume 3
Contesti d’arte - volume 3
Dal Neoclassicismo a oggi