L’arte a Venezia

8.2 L’arte a Venezia

Tradizione e primato artistico

Meno florida che in passato e relegata ai margini della vita politica europea, Venezia detiene comunque per gran parte del Settecento il primato artistico tra le città italiane e compete con Londra, Amsterdam, Parigi, Vienna in vivacità culturale. Tra gli indirizzi che caratterizzano l’arte veneziana si distinguono almeno tre orientamenti, ognuno con i propri campioni conclamati. La grande tradizione classico-rinascimentale della pittura di storia, religione e mitologia prosegue con Giambattista Tiepolo, a suo agio più nel vasto affresco che nel quadro da cavalletto, Sebastiano Ricci e Giovanni Battista Piazzetta, e trova in Giandomenico Tiepolo un epilogo fascinoso ed enigmatico, in temi (come i Pulcinella) che alludono, nella loro amara ambiguità, alla fine della Repubblica, ceduta all’Austria nel 1797. Con Pietro Longhi si afferma una tendenza che ha nelle commedie di Carlo Goldoni (1707-1793) un possibile equivalente letterario, quantomeno sotto il profilo dell’osservazione del quotidiano. Si dedicano invece alla veduta Canaletto (8), suo nipote Bernardo Bellotto (Venezia 1721-Varsavia 1780), attivo soprattutto a Dresda, e Francesco Guardi.

Giambattista Tiepolo

Formatosi con maestri tardobarocchi e interessato al recupero di modi e tecniche della grande pittura veneziana cinquecentesca, cultore di Paolo Veronese, Giambattista Tiepolo (Venezia 1696-Madrid 1770) conosce una prima notorietà attorno ai vent’anni, quando è già titolare di una bottega ed esercita la professione come maestro indipendente. La sua attività è quella dell’artista-imprenditore di successo, prolifico e ricco di commissioni. Esegue i progetti avvalendosi di assistenti e distribuendo incarichi. Tra i collaboratori più fidati troviamo i figli Giandomenico (Venezia 1727-1804) e Lorenzo (Venezia 1736-Madrid 1776) e Girolamo Mengozzi Colonna (Ferrara 1686-Venezia 1774). Tiepolo riserva a sé il compito di preparare gli schizzi iniziali dell’affresco e finire tutte le figure. Se i figli lo assistono nell’esecuzione di paesaggi, figure, oggetti, animali, Mengozzi Colonna, pittore emiliano specializzato nella rappresentazione illusionistica delle architetture (o "quadraturista"), è autore delle quinte di palazzo, dei porticati, degli archi di trionfo, delle scalinate monumentali o delle ampie tribune che conferiscono una specifica grandiosità alle immagini di Tiepolo (9). La carriera dell’artista è lunga e coronata dal più vasto riconoscimento internazionale. Attivo in tutto il Nord Italia, a Milano, Bergamo, Udine oltre che naturalmente a Venezia, già nel 1736 Tiepolo può permettersi di declinare l’invito del re di Svezia a recarsi a Stoccolma per decorarvi il Palazzo Reale: la somma offerta, dichiara, è inadeguata. Lavora a lungo a Würzburg, in Germania, impegnato ad affrescare la residenza del principe-vescovo locale. Muore a Madrid, chiamato dal re a decorare il Palazzo Reale. Gli ultimi anni sono caratterizzati da una sorta di offuscamento: il soggiorno in Spagna si protrae oltre il previsto e conosce momenti di amarezza. Tiepolo si trova a sostenere il confronto con il più giovane Anton Raphael Mengs (Aussig 1728-Roma 1779), pure pittore di corte ed esponente di spicco della tendenza neoclassica in auge, nel settimo decennio del Settecento, ormai in tutta Europa. I modi rapidi e virtuosistici di Tiepolo, la propensione teatrale, il gusto per le favole antiche non incontrano più il favore dei contemporanei. «Dipinge più Tiepolo in un giorno che Mengs in una settimana», scrive Johann J. Winckelmann (1717-1768), storico dell’arte antica, amico e sostenitore di Mengs. Un’opinione oggi non più condivisa.
La fama che circonda l’artista in vita è quella di mago, inquietante evocatore di volti fantastici, di tipi "pittoreschi" o caricaturali, talvolta sinistramente deformi – vecchioni dalle gran barbe, per esempio, o schiavi assoggettati a dure catene – talvolta di radiosa presenza o bellezza pressoché divina.
La sua predilezione è per temi mitologici desueti e vicende che si svolgano in luoghi lontani, prevedano un gran numero di personaggi in abiti rari e magnifici e profusione di dettagli esotici, per esempio piante, animali, come vedremo nell’affresco dei continenti di Würzburg ( pp. 468-469). Cerca di destare meraviglia nell’osservatore con tagli di immagine inattesi. Una luce abbagliante e diffusa, da primo mattino del mondo, investe di un chiarore paradisiaco figure, paesaggi, costumi. Antonio Maria Zanetti (1706-1778), scrittore e conoscitore veneziano, scrive nel 1771: «Andò inanzi il Tiepolo a qualunque altro pittore, introdusse con arte maravigliosa nelle opere sue una vaghezza, un sole che non ha forse esempio».

Gli affreschi della Residenza Würzburg

Tra il 1751 e il 1753 Tiepolo è a Würzburg per affrescare la residenza del principe-vescovo. Esegue prima la decorazione della Sala del trono, poi la volta dello scalone monumentale (10). Il tema proposto in quest’ultima, relativamente raro nella storia dell’arte, gli è congeniale perché non presuppone fedeltà a una tradizione iconografica: si tratta di dipingere le allegorie dei continenti, Europa, Asia, Africa, America. Accoglie l’invito e concepisce le allegorie come successione di singoli episodi o scene di genere, sbrigliando la propria fantasia nella raffigurazione di tipi caratteristici, animali o piante esotici e monumenti in rovina di un leggendario passato. Nel concepire le allegorie si confronta con immagini a stampa che illustrano resoconti di viaggio (di missionari, geografi o conquistatori). Adotta un punto di vista relativamente attuale, connesso al formidabile sviluppo del commercio tra l’Europa e i mondi coloniali: lo spettacolo delle merci in transito da e per il vecchio continente è tra i più formidabili dell’intera narrazione. Le dimensioni dell’affresco sono enormi (ogni lato misura circa 30 metri) e l’andamento è a fregio: le immagini corrono sui quattro lati della volta.
Nell’allegoria di Africa (11) ci troviamo di fronte a una stupefacente parata di personaggi: le singole scene sono concepite autonomamente, sprovviste di una vera connessione reciproca. A sinistra vediamo una coppia di uccelli tropicali, l’uno candido, l’altro dal piumaggio scuro, levarsi in volo appena al di sopra delle possenti spalle di un portatore nero recante, avvolto attorno al collo, un drappo multicolore. Il volto è visibile solo in parte, nascosto dall’ombra. Appena più a destra (immaginiamo di spostarci con una telecamera, di effettuare una sorta di carrellata) troviamo due figure nei pressi di un’enorme balla, sovrastate da un traliccio. Le figure, vigorosamente scorciate, portano strani copricapo o turbanti. L’uomo in piedi è intento a scrivere, e forse conteggia la merce imballata. Se scivoliamo ancora più a destra troviamo due grandi botti in primo piano, quasi rotolate fuori dall’affresco, e a pendant la schiena erculea di un portatore adibito al carico e scarico quotidiano. Il portatore ha un’acconciatura inconsueta: la testa è completamente rasata, eccettuato il codino che scende dalla nuca. Porta la camicia legata alla vita: è sotto sforzo, ha caldo, cerca refrigerio. Ancora più a destra un’imponente figura di mercante: l’uomo, un anziano europeo, ha le sopracciglia aggrottate e fissa lo sguardo in lontananza, come a considerare con scrupolo i propri interessi. Il fregio di Africa ruota attorno a lui: il mercante è perno narrativo e compositivo. Il suo denaro procura lavoro e rende possibile l’esistenza di quanti si muovono al mercato, e non a caso il servitore al suo fianco si inchina con deferenza. Appena dietro il mercante vediamo una donna distesa, forse un’odalisca, e più a destra una scena che diremmo di circo: una scimmia e uno struzzo ammaestrati sono coinvolti in un duetto di difficile interpretazione. La scimmia cerca dispettosamente di afferrare la coda allo struzzo, che si ritrae? Oppure i due animali si ignorano reciprocamente? Lo struzzo accenna a fuggire mentre la scimmia cade dal basamento? Tiepolo dissemina ambiguità e spinge l’osservatore a ricomporre immagini evocate solo per frammenti: come se si divertisse a sottoporci indovinelli figurativi. Alle spalle dello struzzo e della scimmia un dromedario appare allontanarsi con un carico indecifrabile. Non ne vediamo né la testa né il lungo collo, entrambi facilmente riconoscibili: scorgiamo invece terga e gobba del mite animale.
Incontriamo lo stesso procedimento ellittico nell’affresco di Asia (12-13), dominato dall’immagine dell’obelisco, dalla figura femminile allegorica e dalla lapide incisa in caratteri esotici: all’estrema sinistra vediamo (o meglio indoviniamo) due figure genuflesse in atto di fervido omaggio. Non abbiamo né corpi eretti né volti: solo terga avvolte da preziosi abiti di raso, stivali, piedi e un braccio piegato. Chi sono i devoti, e chi l’autorità spirituale? I due sembrano adorare un augusto vecchione di tipo sacerdotale, accompagnato da gran folla. Tiepolo non offre spiegazioni: si propone invece di suscitare interesse e mistero. Non sarebbe sbagliato interpretare l’affresco di Würzburg in termini di "teatro della curiosità". Temi o vicende illustrate non hanno al loro interno grande importanza, l’artista si prodiga piuttosto nell’escogitare e nel portare in scena trucco drammaturgico e costumi stravaganti, nel procurare illusione, nell’indurre meraviglia. Aggiunge sortilegio a sortilegio, colpo di scena a colpo di scena cogliendo opportunità contingenti, improvvisando: non si cura di stabilire la trama.
GUIDA ALLO STUDIO
Giambattista Tiepolo
  • Artista-imprenditore di fama internazionale
  • Effetti virtuosistici
  • Gusto per la meraviglia e lo stupore
  • Temi mitologici desueti e ambientazioni in luoghi lontani
  • Introduzione di dettagli esotici
  • Luce abbagliante e diffusa
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Rosalba Carriera

Rosalba Carriera (Venezia 1675-1757) si forma forse preparando disegni di ricami per la madre, e in seguito si dedica alla miniatura; ma sono i ritratti eseguiti a pastello a procurarle notorietà: sostenuta dal console britannico, richiesta dall’aristocrazia delle corti europee e dagli stranieri in visita a Venezia, Rosalba è protagonista della pittura veneziana del suo tempo. Nel celebre Autoritratto (14) degli Uffizi l’artista mostra le sue attitudini professionali, mentre volge verso l’osservatore il ritratto della sorella Giovanna, da lei stessa eseguito. Chiarisce inoltre la sua particolare abilità: col pastello indica il difficile ricamo che orna, al collo, la veste della sorella. Leggerezza e mobilità di tocco, estrema attenzione al mutare della luce, sottile psicologia: questi, sembra avvisarci la Carriera, sono i requisiti dell’eccellente ritrattista. Tra 1720 e 1721 è a Parigi, dove ha occasione di conoscere Watteau, il giovane pittore già allora malato di tisi. Di lui fa un ritratto, come abbiamo visto (► p. 462), che denuncia una particolare acutezza nell’interpretare la complessità psicologica del giovane collega, ormai invecchiato precocemente per la malattia.

Pietro Longhi

Dopo un apprendistato come pittore di storia e religione, attorno al 1740 Pietro Longhi (Venezia 1702-1785) si lascia alle spalle i sentieri della tradizione. Un viaggio a Bologna e la conoscenza dell’opera di Giuseppe Maria Crespi sembrano essere stati determinanti per la svolta. Il figlio Alessandro racconta come d’un tratto il padre «mutò pensiero, ed avendo uno spirito brillante e bizzarro posesi a dipingere [...] conversazioni, con ischerzi d’amore e gelosie». Nascono vivaci composizioni di genere, immagini tipiche di vita veneziana. Persone e ambienti sono raffigurati con acutezza e benevola ironia. Il gusto per l’osservazione di dettagli sociali e di costume non ha quasi precedenti nell’arte italiana, e le parole che Goldoni dedica a Longhi appaiono appropriate per distinguerne l’originalità. Nell’elogiare la "musa sorella", cioè la pittura, riconosce all’artista l’«originale maniera di esprimere in tela i caratteri e le passioni degli uomini»: attitudine consona all’epoca dei lumi.

La caccia all'anatra

Una delle immagini più celebri di Longhi è La caccia all’anatra (15): l’episodio che vi viene narrato è un pretesto per osservazioni sociali e commenti moraleggianti. Nel silenzio della laguna, velata dalla nebbia del primo mattino, l’arciere, un patrizio bene incipriato, con parrucca e guanti di pelliccia, marsina e bottoni d’oro, è sul punto di scoccare la freccia. Vestiti in modo più semplice, i rematori osservano la scena con intensità crescente, pronti a misurare l’abilità del cacciatore: il più assorto è il rematore anziano, al centro. A destra un’anatra riemerge dall’acqua increspando la superficie della laguna. Mirabili i dettagli: l’isolotto accennato sullo sfondo, con alberi, architetture e un campanile; il riflesso della gondola in primo piano.

Contesti d’arte - volume 2
Contesti d’arte - volume 2
Dal Gotico internazionale al Rococò