L’architettura della seconda metà del Seicento

7.9 L'architettura della seconda metà del Seicento

Il Barocco nasce e si sviluppa a Roma all'inizio del Seicento ma conosce, nel corso del secolo, una diffusione italiana e poi europea e infinite e variegate declinazioni locali, che attingono ai modelli romani ma insieme li innovano profondamente. Nell'Italia meridionale, a Napoli ma soprattutto a Lecce e in Sicilia, nuove progettazioni urbanistiche dall'intento scenografico e architetture fastosamente decorate cambiano il volto delle città. Qualcosa di analogo accade anche nell'Italia settentrionale, a Torino e a Venezia, per opera di due architetti: Guarino Guarini e Baldassare Longhena.

Lecce 

Nell'Italia meridionale Lecce rappresenta un caso peculiare poiché conosce, a partire dagli anni Cinquanta del Seicento, un eccezionale sviluppo architettonico, caratterizzato da una decorazione fiorita che dà al centro cittadino l'aspetto di uno scenario teatrale.
Dal punto di vista tecnico l'architettura leccese utilizza una pietra calcarea locale, dal colore che va dal bianco al giallo paglierino, facilmente lavorabile perché contiene un'ampia percentuale di argilla: in questo modo le decorazioni, con il passare degli anni, sembrano quasi sfaldarsi sotto gli agenti atmosferici, con un effetto di grande suggestione.

Piazza Duomo

Una delle realizzazioni urbanistiche più interessanti del Seicento leccese è la monumentalizzazione di piazza Duomo (52-54), un vasto piazzale chiuso per tre lati, a cui si arriva da uno stretto ingresso a cannocchiale marcato dai propilei, pilastri sormontati da balaustre che reggono statue in varie posizioni come se fosse una sorta di grandiosa quinta teatrale, creando un vero e proprio effetto scenografico. Con lo stesso scopo fu profondamente ristrutturato l'aspetto del duomo (Cattedrale di Sant'Oronzo) per opera di Giuseppe Zimbalo (Lecce 1620 ca.-1710), il maggiore esponente dell'architettura barocca salentina. La chiesa infatti non aveva la facciata che dava sulla piazza e chi arrivava dai propilei si trovava davanti il fianco dell'edificio. Il problema fu risolto addossando una "finta" facciata al lato lungo della chiesa (1659-1670), ricoperta di bassorilievi a motivi vegetali e animali e decorata con statue di santi tra pinnacoli, fiori, frutti e stemmi (53).

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Santa Croce 

Rappresenta bene lo stile architettonico che si diffonde in città anche la Chiesa di Santa Croce (55), cinquecentesca, ma completata nella facciata solo nel 1695 con un intervento che vede ancora una volta il ruolo fondamentale di Giuseppe Zimbalo. Il fronte esterno, fastosamente decorato, è diviso in due parti da una balconata molto aggettante, sorretta da mensole in forme femminili. La struttura a piani sovrapposti marcati da colonne addossate alla facciata ricorda gli esempi romani, ma l'architettura sembra in parte oscurata da un trionfo decorativo che quasi cancella le strutture. Oltre alle quattro grandi statue del piano superiore, e agli angeli della balconata, ogni dettaglio, dal rosone alle finestre e alle cornici marcapiano presenta bassorilievi con figure fantastiche, animali ed elementi vegetali, descritti con minuzia e virtuosismo.

Noto

Nel 1693 un violento terremoto devastò tutta l'area orientale della Sicilia, distruggendo le città di Noto e Ragusa e danneggiando profondamente Catania, già segnata da un'eruzione vulcanica nel 1669. Noto fu riedificata in uno stile barocco che combina una vasta progettazione architettonica e un'elegante decorazione, utilizzando in gran parte il lessico dell'architettura barocca romana. Si tratta di un caso quasi unico in Italia, in cui si scelse di spostare il centro urbano a otto chilometri dall'insediamento originario e di ispirarsi a criteri di razionalità e simmetria (56).
Il nuovo insediamento è diviso in modo chiaro in due parti (57), con un reticolo ordinato di strade e piazze per le sedi del potere amministrativo e religioso, nettamente distinto dai quartieri popolari. Palazzi, chiese e conventi utilizzano tufo e pietra calcarea locale dalle sfumature gialle e ambrate, un materiale che crea spettacolari effetti luministici al tramonto. 

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Cattedrale di San Nicola 

Nel centro della città una scalinata a tre rampe nasconde un dislivello del terreno e conduce da piazza del Municipio alla Cattedrale di San Nicola (58), circondata da imponenti palazzi. La facciata della chiesa, in tenera pietra calcarea, iniziata immediatamente dopo il terremoto nel 1693 ma completata solo nel Settecento, è racchiusa da due alte torri che sembrano bloccare la dilatazione e il movimento orizzontale impresso dalla cornice fortemente aggettante, e movimentata dall'apertura di tre maestosi portali inquadrati da colonne corinzie. Nuovamente distrutta nel 1996, quando crollarono i pilastri della navata centrale, trascinando con loro la cupola e l'intera aula della chiesa, fu ricostruita e restaurata secondo il progetto della fine del Seicento, utilizzando sia i materiali originari sia le tecniche costruttive antiche.

Monastero di San Salvatore e Chiesa di San Francesco

L'architetto Rosario Gagliardi (Siracusa 1682 ca.-Noto 1762) ebbe un ruolo fondamentale nella ricostruzione di Noto e nella pianificazione in senso scenografico della nuova città barocca. Con caratteri analoghi alla piazza della Cattedrale, progettò la piazza dove si trovano, da un lato, il Monastero di San Salvatore, nel cui severo e massiccio fronte si aprono, tra la trabeazione dorica, eleganti finestre decorate, e al centro la movimentata scalinata a tre rampe che conduce alla Chiesa di San Francesco e dell'Immacolata (59), edificata a partire dal 1704 sempre a opera di Gagliardi. Al termine della scalinata la facciata della chiesa sembra una quinta scenica, armoniosa ed elegante, monumentalizzata dal portale inquadrato da colonne. 

GUIDA ALLO STUDIO
La diffusione dell’architettura barocca nel Sud Italia

Lecce

  • Eccezionale sviluppo architettonico
  • Decorazioni fastose e abbondanti
  • Uso della pietra calcarea locale

Noto

  • Completa riedificazione della città in stile barocco
  • Progetto di ricostruzione fondato su razionalità e simmetria
  • Uso del tufo e della pietra calcarea locale
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Torino: Guarino Guarini

Accanto ai gesuiti massima rilevanza politica e culturale assume in questo periodo l'Ordine dei teatini, così detti dalla città di Chieti (in latino Teate), dove aveva operato il vescovo fondatore Gian Pietro Carafa, che dette inizio a questo movimento insieme a san Gaetano Thiene nel Cinquecento. Come i gesuiti, i teatini si dedicano a un'intensa attività di evangelizzazione intrecciando le loro sorti con quelle dei gesuiti stessi soprattutto attraverso i corsi di formazione a Propaganda Fide, sede gesuita ma gestita congiuntamente dai due Ordini. Come i gesuiti, i teatini sviluppano una profonda attenzione all'arte, e un contraltare all'attività del gesuita Fratel Pozzo può essere rintracciato nella grandiosa figura di Guarino Guarini (Modena 1624-Milano 1683), teorico, docente e architetto, dotato di una vasta esperienza internazionale. Anche se molto dell'opera di Guarini è andato perduto, con grave danno per una piena ricostruzione dell'arte in Età barocca, quel che rimane attesta il livello raggiunto dal grande artista e dall'Ordine che egli esprimeva, ancorché, come era accaduto del resto anche a Pozzo con i gesuiti, i rapporti tra il maestro e alcuni eminenti esponenti teatini non sono sempre idilliaci ma anzi assumono forme conflittuali molto interessanti.
Nato a Modena ma educatosi a Roma, Guarini subisce certamente il durevole influsso di Borromini, di cui riprende molte idee e a cui rimane sempre vicino in tutte le sue creazioni. Docente di filosofia, teologia e matematica, Guarini è viaggiatore infaticabile e compie esperienze determinanti tra Praga, Lisbona, Parigi. L'accelerazione impressa da Guarini alle forme architettoniche genera una scuola degnissima, che lo seguirà ben oltre i confini del secolo per dilagare poi nell'architettura del Nord Italia della prima metà del Settecento.

Cappella della Sindone 

Guarini vive il suo periodo più importante a Torino, città dove lavora per casa Savoia, dedicandosi dal 1666 alla Cappella della Sindone nel Duomo (60), il suo capolavoro, audacissimo e straordinariamente moderno ai nostri occhi, nonché ad altri significativi progetti come quello per il Palazzo Carignano. Guarini è un architetto del tutto peculiare, che non può essere comparato direttamente con Borromini. Se quest'ultimo è il discendente dei gloriosi magistri comacini, espertissimi costruttori, Guarini è una figura coerente con la nuova impostazione della cultura architettonica della seconda metà del Seicento, per cui l'architetto deve avere competenze nell'ambito del disegno e in quello della filosofia. In questo il pittore gesuita Pozzo e l'architetto teatino Guarini hanno molti punti di contatto. Anche Pozzo, infatti, veniva considerato un architetto ma soprattutto in veste di teorico, di maestro della geometria, e di disegnatore di architettura, con un intento dimostrativo e speculativo. Le strutture ideate da Guarini su base borrominiana hanno un'ambizione "cosmologica", vogliono cioè significare la frammentazione e il polimorfismo dello spazio.
Nella cupola della Cappella della Sindone (61-62) Guarini concepisce l'idea della scalata verso il cielo con mentalità del tutto analoga (persino in parziale anticipo) a quella di Pozzo nell'affresco della volta di Sant'Ignazio. La salita vertiginosa verso l'alto, che all'interno della cappella provoca un moto di sconcerto e quasi di spavento nell'osservatore, implica una visione da parte del creatore di un cosmo chiuso e incombente, meglio spiegabile da un punto di vista geocentrico, assurdo ma poeticamente affascinante.
Certo Guarini era in errore, ma l'errore di un grande artista può generare un'audace tensione emotiva e un ardente desiderio di scendere nelle profondità del sapere.

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Chiesa di San Lorenzo

Le stesse tematiche compositive caratterizzano anche l'altra opera torinese di Guarini: la Chiesa di San Lorenzo. L'architetto eredita un cantiere che si apre nel 1634 dalle vicende iniziali controverse. È certo che nel 1668, al momento del suo incarico nella fabbrica, l'architetto rivede lo schema a croce latina a favore di una pianta centrale, basata sull'ottagono (63), intraprendendo una nuova costruzione che si conclude nel 1679. La soluzione centrica viene animata da Guarini, che trasforma un tema compositivo, nella sua astrazione concettuale, caro al Rinascimento in un originale "testo" architettonico pienamente barocco. Guarini, in quanto sacerdote, è ben consapevole delle esigenze liturgiche che devono essere rispettate nella strutturazione dello spazio sacro. Nella progettazione distingue perciò chiaramente l'ambiente principale destinato ai fedeli dal presbiterio, che si presenta come un corpo più piccolo giustapposto alla chiesa verso est, a contenere l'altare maggiore. Il complesso e articolato costrutto architettonico fra il presbiterio e l'ambiente principale è una serliana convessa, con decorazioni a stucco che ne enfatizzano la particolare morfologia. Tale elemento viene ripetuto altre sette volte nel perimetro interno della chiesa, individuando cappelle laterali di diversa profondità, evidenza che aumenta il senso di fluidità e movimento dello spazio (64). L'andamento delle serliane e dei settori murari che le contengono genera una sorta di compressione del settore centrale della chiesa, quasi a proiettare l'osservatore verso la contemplazione della cupola (65). Questa immaginifica creazione è una volta nervata conclusa da un'ampia lanterna, caratterizzata da costoloni intersecati che formano una stella a otto punte (66). Si tratta di una struttura concepita secondo princìpi che combinano modelli gotici e tradizione costruttiva ispano-moresca. Quello che si vede oggi è il risultato dei rifacimenti seguiti ai danni della Seconda guerra mondiale, che ne hanno semplificato la decorazione interna, ma è comunque ancora del tutto leggibile l'arditezza costruttiva, con le grandi finestre ovali che illuminano lo spazio voltato e valorizzano le nervature. La cupola si imposta su un registro intermedio caratterizzato da pennacchi e lunettoni, dove si aprono finestre decorate da serliane. L'effetto visivo è sorprendente: i massicci pennacchi sembrano gravare sulle sottili colonne delle serliane, creando stupore e meraviglia.

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Palazzo Carignano 

Guarini a Torino non si occupa solo di chiese ma anche di edifici civili, fra cui spicca Palazzo Carignano, uno dei più imponenti e originali palazzi del Seicento italiano, considerato tra i capolavori del Barocco europeo.
I principi di Carignano rappresentano un ramo cadetto (cioè collaterale e dunque appartenente alla dinastia ma non alla casata principale) dei Savoia. A seguito di complesse vicende dinastiche, tuttavia, Emanuele Filiberto di Carignano si trova a essere erede legittimo del Ducato di Savoia. Questo lo spinge a dotarsi di una dimora in città che sia all'altezza del suo nuovo status.
Viene individuato un lotto libero acquistato dalla Compagnia di Gesù e si incarica della progettazione Guarini. Il cantiere, aperto nel 1679, si prolunga fino al 1685. L'artista si impegna in numerose proposte, note attraverso un ricco corpus grafico. Queste esplorano – con originalità e sensibilità verso le più recenti innovazioni di Bernini e Borromini – il tema di una residenza composta di tre estesi bracci principali disposti intorno a un'amplissima corte a formare una "U", con un altro braccio di chiusura, opposto a quello d'ingresso (di minori proporzioni, sia in profondità sia in altezza). Gli elementi distributivi verticali (cioè gli scaloni) e la morfologia degli ambienti di rappresentanza (primo fra tutti il salone principale del piano nobile) costituiscono gli aspetti progettuali più interessanti. Nella versione finale, il cuore del palazzo si configura come un grande salone ellittico preceduto da un vestibolo esagonale su cui si attestano le due branche dello scalone dall'andamento quasi zoomorfo.
La presenza dell'ellisse centrale (67) si palesa nel fronte (68), con un fluido movimento concavo-convesso del settore centrale, serrato dai due corpi rettilinei sui lati, oltre che nella torre nel cortile (69). Un doppio ordine di paraste in laterizio, materiale presente in tutta la fabbrica, organizza la composizione della facciata, controbilanciando il senso di frammentarietà generato dalle innumerevoli aperture, qualificate da fantasiose cornici mistilinee. Il gioco dei contrasti è un principio guida del disegno generale: la trabeazione di coronamento, per esempio, si incurva sotto la pressione del frontone convesso della loggia centrale, dove colonne corinzie sostengono un'altra trabeazione, questa volta concava.
Guarini si mostra dunque molto interessato al problema del rapporto tra le diverse forme architettoniche, dall'Antico al Gotico, e in effetti la sua opera è un tentativo di contemperare le diverse strutture per ricostruire un'idea dell'architettura che da un lato appare moderna e spericolata ma dall'altro mostra i sedimenti di un passato glorioso.
Artista dunque universale e duttile, pone le premesse per la nuova stagione illuminista cui resta tuttavia estraneo.

GUIDA ALLO STUDIO
L’architettura di Guarino Guarini
  • Teorico, docente e architetto emiliano, attivo in Italia (Torino principalmente) e in Europa
  • Lavora per l’ordine dei teatini
  • Segue i modelli e le creazioni di Borromini
  • Ricerca di una fusione tra le diverse forme architettoniche (dall’Antico al Gotico)
  • Getta le basi per la nuova stagione illuminista
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Venezia: Baldassare Longhena 

Dopo la grande stagione artistica rinascimentale, nella prima metà del Seicento Venezia conosce un forte rallentamento delle commissioni architettoniche, pubbliche e private. La Basilica di Santa Maria della Salute, opera principale di Baldassare Longhena (Venezia 1596 ca.-1682), rappresenta, in questo contesto di stagnazione e ripiegamento, un'importante eccezione. L'originaria formazione di "tagliapietre", ossia di modesto carpentiere, di Longhena si arricchisce di contenuti grazie all'apprendistato presso l'architetto e trattatista Vincenzo Scamozzi, protagonista dei cantieri veneziani dopo Iacopo Sansovino e Andrea Palladio, per il quale segue la costruzione del Teatro Olimpico di Vicenza.

Santa Maria della Salute

La commissione della Basilica di Santa Maria della Salute (70) nasce direttamente dal governo cittadino come ringraziamento alla Vergine per la fine della pestilenza (1629-1630). Fra gli undici progetti presentati vince la proposta di Longhena che accoglie le indicazioni delle autorità veneziane, particolarmente attente al rispetto degli aspetti liturgici e cerimoniali, determinanti per la definizione dello spazio sacro: si tratta di una pianta che rende omaggio sia alla lontana tradizione bizantina della Basilica di San Marco sia alle architetture cinquecentesche di Andrea Palladio, secondo un linguaggio tipicamente veneziano e alternativo a quello romano. La chiesa, iniziata nel 1631, si innalza su un alto podio che ne aumenta la visibilità dal Canal Grande ed è un complesso organismo a pianta centrale (71). L'interno è dominato dalla vasta aula ottagonale coperta a cupola (72), su cui si innesta uno spazio absidato che accoglie l'altare maggiore coperto da una cupola più piccola. A questo spazio si connette un ulteriore corpo di fabbrica a pianta rettangolare destinato a coro per i religiosi. I lati dell'ottagono centrale si dilatano in cappelle rettangolari che si affacciano su un ampio deambulatorio, scandito da setti (cioè elementi verticali) murari arricchiti da doppie paraste e semicolonne su cui si impostano ampie volte a crociera. Verso l'interno, otto colonne si innalzano su un alto piedistallo e sostengono la trabeazione che, anche visivamente, contribuisce a rafforzare il concetto di continuità spaziale espresso dalla pianta centrale dell'aula.
All'esterno, la composizione del fronte d'ingresso richiama l'arco di trionfo classico, con grande esuberanza decorativa. Gli altri fronti esterni, corrispondenti alle cappelle laterali, presentano paraste e nicchie, oltre a un'ampia finestra termale (apertura semicircolare divisa da elementi verticali), tema antiquario ampiamente valorizzato in area veneta da Palladio nella seconda metà del Cinquecento. Di grande originalità sono gli elementi di connessione fra il tamburo e il corpo dell'aula ottagonale, costituiti da ampie volute sormontate da statue, tutti elementi che enfatizzano il ruolo della chiesa come nodo visivo nel paesaggio lagunare di Venezia.

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Ca' Pesaro 

Pur in un contesto cittadino ormai lontano dai fasti cinquecenteschi, Longhena si trovò a lavorare anche per committenti privati: tra il 1652 e il 1682, anno in cui Longhena morì, realizzò per la famiglia Pesaro il grandioso palazzo affacciato sul Canal Grande (73), completato secondo il progetto originale dopo la morte dell'architetto. La residenza, una delle più grandiose tra quelle affacciate sulla principale via d'acqua cittadina, è imponente e riccamente decorata, con la facciata principale impreziosita da bassorilievi e statue dalla forte connotazione plastica, che creano notevoli chiaroscuri e ben si integrano con i riflessi lagunari. Il pianterreno ha una decorazione a bugnato a diamante, molto sporgente, mentre i piani superiori sono caratterizzati dalla presenza di sette archi a tutto sesto, separati da colonne sporgenti che si raddoppiano in corrispondenza dei muri portanti, con uno scenografico effetto di alternanza di pieni e di vuoti, che ritorna anche nella decorazione del cortile (74).

GUIDA ALLO STUDIO
L’architettura barocca a Venezia
  • Diminuiscono le commissioni architettoniche
  • Eccezioni: Basilica di Santa Maria della Salute e Ca’ Pesaro su progetto di Baldassarre Longhena
  • Santa Maria della Salute: attenzione per gli aspetti liturgici e cerimoniali e sintesi tra tradizione bizantina e cinquecentesca
  • Ca’ Pesaro: committenza privata, decorazione con bassorilievi e statue, effetti chiaroscurali per l’alternanza di pieni e di vuoti

Contesti d’arte - volume 2
Contesti d’arte - volume 2
Dal Gotico internazionale al Rococò