Pietro da Cortona

7.5 Pietro da Cortona

L'opera pittorica e i dibattiti teorici

Nel complesso panorama artistico della Roma del Seicento, accanto alle esperienze dei bolognesi e dei loro imitatori, fondamentale e dominante è la scuola artistica toscana. Un esponente di rilievo è il pittore e architetto Pietro da Cortona (Cortona 1596-Roma 1669), così chiamato dal luogo di nascita, che Urbano VIII incarica della decorazione della volta del Salone Grande (1633-1639) in Palazzo Barberini, residenza privata del papa ma anche sede di governo, vero e proprio manifesto della nuova architettura barocca, progettato inizialmente dall’anziano Carlo Maderno, ma poi profondamente ammodernato da Gian Lorenzo Bernini, con la partecipazione al cantiere anche del giovane Francesco Borromini.

Trionfo della Divina Provvidenza

Il tema degli affreschi della volta, che consacrano Pietro da Cortona rappresentante indiscusso della pittura barocca romana, è il Trionfo della Divina Provvidenza (35). La Provvidenza, infatti, aveva voluto l’elezione al soglio pontificio di Urbano VIII, chiamandolo a governare e rigenerare la Chiesa e la cristianità tutta. L’affresco si articola in una grandissima scena centrale e in una serie di scene laterali e traduce in pittura molte delle idee di Bernini, tipicamente barocche, sulla meraviglia e lo stupore che le opere d’arte devono suscitare nell’osservatore. La volta, nel suo insieme, è popolata da una tale quantità di personaggi, sacri e mitologici, che è quasi impossibile dire quante figure vi siano presenti. Dovendo rappresentare la salita verso l’ultraterreno di Urbano VIII e la buona sorte che scende sulla Terra, l’artista toscano abolisce completamente la verosimiglianza naturalistica della scuola caravaggesca e concepisce l’opera come una vera e propria favola in cui i personaggi si assomigliano tra loro e sono tutti belli, giovani e sorridenti, perché tutti appartenenti a un mondo fantastico. L’immediato precedente è la decorazione della Galleria Farnese di Annibale Carracci ( pp. 374-375), ma a differenza del bolognese qui la partitura architettonica della grande cornice illusionistica centrale appare continuamente annullata dai personaggi che vi si sovrappongono. Il papa non appare, ma è evocato attraverso la rappresentazione delle api (36) emblema araldico dei Barberini, che salgono verso il cielo: scopo dell’affresco è infatti quello di trasformare una monumentale macchina decorativa in un enfatico elogio del suo committente. L’immagine della Divina Provvidenza, verso la quale tutti gli sguardi convergono, è al centro della composizione, e intorno a lei si genera un vero e proprio vorticoso movimento accresciuto dalle api in volo. Intorno alla scena principale si vedono storie antiche e mitologiche come quella di Minerva che abbatte i giganti ribelli volando su di loro, o della Fucina di Vulcano (37) dove si forgiano le armi di Achille: mitologia greca e iconografia cristiana si mescolano in un inno alla classicità santificata dal Cristianesimo.
Si concretizza qui la nuova idea, che i posteri chiameranno Barocco, di un’arte libera dai vincoli della verosimiglianza e che crea una specie di "effetto speciale", svelando mondi immaginari e spingendo l’osservatore a guardare in modo diverso questa pittura, composta da una miriade di figure su cui l’occhio non riesce a riposare ma scorre di continuo per cercare di dominare l’insieme.
GUIDA ALLO STUDIO
Pietro da Cortona: il Trionfo della Divina Provvidenza
  • Affreschi realizzati per la volta di Palazzo Barberini
  • Grande scena centrale e molteplici scene laterali
  • Rappresentazione di innumerevoli personaggi sacri e mitologici
  • Abbandono del naturalismo e della verosimiglianza
  • Commistione di mitologia greca e iconografia cristiana
  • Raffigurazione di mondi immaginari e fantastici
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La concorrenza con Andrea Sacchi

Opposta è la scelta stilistica di Andrea Sacchi (Nettuno, Roma 1599-Roma 1661), che rappresenta ancora, nella Roma della metà del Seicento, la via del classicismo: un artista decisamente lontano dalla spettacolarità, e dalla retorica delle prime creazioni barocche. Tra il 1629 e il 1632 Andrea Sacchi affresca, sempre a Palazzo Barberini, la stanza d’ingresso alla cappella palatina, con il Trionfo della Divina Sapienza (38) che presiede il buon governo della Chiesa sul mondo intero. In contrasto con il Trionfo della Divina Provvidenza che Pietro da Cortona va affrescando in una stanza vicina, Sacchi limita moltissimo il numero delle figure, ispirate al Parnaso di Raffaello nelle Stanze Vaticane. Ognuna è allegoria di una virtù, e grande rilievo è dato alla rappresentazione del globo terrestre che ruota nello spazio: è una composizione semplice, unitaria, misurata, solenne, ma insieme statica, lontana dal vorticoso movimento dei personaggi e dall’infinita dilatazione dello spazio del rivale Pietro da Cortona.
È rimasta famosa una disputa tra Andrea Sacchi e Pietro da Cortona, utile per comprendere le loro idee poetiche e le due principali linee stilistiche della pittura romana nella prima metà del Seicento. I due artisti sostenevano come l’arte della pittura possa essere paragonata alla poesia e al teatro, in modo però diversificato e personale. Sacchi sosteneva la tesi che tanto più è bella e grande una pittura quanto più sa limitare le sue forme e i suoi contenuti, ossia raffigurare in una stessa opera un ristretto numero di figure, rendendo chiaro e riconoscibile l’insieme di immagini. Nella disputa accademica Pietro da Cortona, invece, difendeva il ruolo imprescindibile della molteplicità e della varietà delle immagini affinché un’opera d’arte meritasse di restare nella storia e di dilettare l’osservatore.
Quindi per Andrea Sacchi la pittura migliore e più formativa è quella che si può legittimamente paragonare alla tragedia degli antichi greci, basata su un numero limitato di figure e sui princìpi dell’unità di tempo, di luogo e di azione (si pensava all’epoca, in modo non pienamente corretto, che fosse questa la teoria espressa da Aristotele nel suo trattato sulla Poetica) e tutta concentrata sui grandi temi umani, come la vita, la morte, la bellezza, l’amore. Per Pietro da Cortona, invece, l’arte migliore è quella che si basa su un’ampia varietà di figure e di episodi, che riempie a dismisura lo spazio a disposizione e racconta contemporaneamente tante storie diverse, anche se convergenti verso un unico punto di osservazione. Tale arte, così concepita, si può meglio paragonare con l’epica classica di Omero e Virgilio, il regno delle avventure e della narrazione dove innumerevoli personaggi entrano in scena interferendo continuamente gli uni con gli altri, e spesso non c’è la possibilità di stabilire un solo polo di attrazione che funga da sintesi del tutto.
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Pietro da Cortona architetto

Pietro da Cortona è attivo anche come architetto in cantieri importanti, che fanno di lui uno dei principali protagonisti della rivoluzione urbanistica di Roma nel primo Seicento, accanto a Bernini e Borromini.

Chiesa dei Santi Luca e Martina

Tra i molti progetti intrapresi, che si basano su un sapiente uso dell’ordine architettonico e sul ponderato contrasto cromatico fra pieni e vuoti, l’artista è responsabile del rifacimento della Chiesa dei Santi Luca e Martina. L’edificio dal 1588 era sede dell’Accademia delle Arti, della Pittura, della Scultura e del Disegno, l’associazione di artisti che nel 1593 si trasforma per opera di Federico Zuccari nell’Accademia di San Luca, prestigiosa istituzione che svolgeva attività didattica e teorica e che ebbe, nei secoli, un ruolo fondamentale per l’arte italiana ed europea. L’intervento di Pietro da Cortona, eletto principe dell’Accademia nel 1634, è così radicale da portare a una totale riedificazione della chiesa, con un’operazione che si inserisce in una stagione di interventi su chiese paleocristiane volti a valorizzare le figure dei santi martiri. Il tema compositivo di base è una  pianta centrale a croce greca (39), inscrivibile in uno schema composto dall’intersezione fra un quadrato e un cerchio, secondo un disegno che si replica sia nella pianta sia nell’alzato: i modelli per l’edificio vanno ricercati sia nelle riflessioni cinquecentesche sulla pianta centrale (in particolare di Bramante e Palladio), sia soprattutto nelle contemporanee sperimentazioni di Borromini. La presenza del cerchio è materializzata, all’esterno, dall’andamento convesso del settore centrale del fronte (41), in cui si susseguono con elegante varietà pilastri e colonne. Tutta la facciata è stretta tra due alti contrafforti laterali e ha un deciso sviluppo verticale a cui contribuisce anche la struttura a due piani sovrapposti, spartiti da un’alta cornice aggettante. Molto movimentato è anche l’interno (40), in cui si alternano ancora una volta pilastri ionici binati e colonne. La luce avvolgente che illumina lo spazio dominato dal candore delle architetture arriva dalle finestre della grande cupola posta all’incrocio dei bracci. Il progetto cortoniano, interrotto dalla morte dell’artista nel 1669, quando il cantiere è quasi concluso, non si realizza in tutte le sue parti, ma segna un episodio fondamentale del Barocco romano ed europeo.
GUIDA ALLO STUDIO
Pietro da Cortona
  • Pittore e architetto toscano attivo principalmente a Roma

Pittura

  • Composizioni animate e di grande effetto scenico
  • Abbandono della spettacolarità e della retorica del primo Barocco

Architettura

  • Attenzione ai contrasti cromatici fra pieni e vuoti
  • Completa riedificazione in stile barocco della Chiesa dei Santi Luca e Martina

Contesti d’arte - volume 2
Contesti d’arte - volume 2
Dal Gotico internazionale al Rococò