I GENERI E LE FORME: Due nuovi generi pittorici: paesaggio e veduta

I GENERI E LE FORME

Due nuovi generi pittorici: paesaggio e veduta

Lo sfondo di paesaggio caratterizza la pittura italiana dai tempi degli affreschi con le Storie di san Francesco nella Basilica superiore di Assisi della fine del Duecento, così come è lunga la tradizione della cosiddetta "veduta", cioè la rappresentazione del "paesaggio urbano" condotta secondo regole prospettiche, di cui uno dei primi esempi dovette essere quello delle tavolette dipinte da Brunelleschi.
Bisogna arrivare tuttavia al Seicento per uno sviluppo autonomo e cosciente della pittura di paesaggio e della veduta, non più strumentali alle composizioni storiche o narrative, ma "generi" autonomi con proprie peculiarità.
All'origine dello sviluppo di questo genere c'è l'arte veneziana di Giorgione e Tiziano che unisce la pittura di paesaggio a quella simbolica e dottrinale, veicolando significati reconditi e complessi, conosciuti per lo più solo da ristrette cerchie intellettuali: ne sono famosi esempi la Tempesta di Giorgione o l'Amor sacro e Amor profano di Tiziano. Differente è la tradizione romana: qui la pittura di paesaggio è sviluppata, nel tardo Cinquecento, come complemento nella decorazione di ville (come Villa d'Este a Tivoli) o palazzi (come Palazzo Farnese di Caprarola).

I modelli fiamminghi e i primi esperimenti romani

Il fiammingo Paolo Bril (Anversa o Breda 1554-Roma 1626) e suo fratello Mathias (Anversa 1550-Roma 1584) sono tra i primi a portare a Roma nella seconda metà del XVI secolo una pittura incentrata sulla molteplicità dei paesaggi naturali, con una complessa fusione tra scenari di pura invenzione e ambienti reali. Specializzato nelle tempeste marine, nelle raffigurazioni di paesaggi montuosi, di pastori al lavoro, di porti, di foreste e di campi coltivati, Bril insegna ai romani l'idea di un paesaggio quale luogo di avventura e diletto con orizzonti bassi e lontani, secondo l'uso fiammingo: i Paesi Bassi, per la loro conformazione geografica, sono privi di alture e quindi dotati di spazi dove lo sguardo può spingersi in lontananza. 
Diverse sono le composizioni create a Roma da Annibale Carracci e dai suoi allievi bolognesi: il paesaggio diventa il luogo di suprema ricreazione dell'essere umano che proprio nella natura trova la sua patria di elezione. Come si è visto, il Paesaggio con la fuga in Egitto ( p.  374), dove la Sacra Famiglia transita in un ambiente naturale fatto di acque e campagna collinare ed è dominato da una profonda quiete, è un'immagine che farà scuola in tutto il mondo. 

Il paesaggio classico

Il cognato di Poussin, Gaspard Dughet (Roma 1615-1675), riprendendo alcuni aspetti della paesaggistica di ispirazione carraccesca, formula per primo l'idea del paesaggio in sé concluso, che prescinde dalla componente narrativa: esplora così la campagna romana, luogo arcaico e misterioso per antonomasia in cui la storia antica si mescola alla forza della natura, che non cancella il passato ma lo domina con la sua prevaricante presenza.
Sulla scia di Dughet, amato dalle famiglie nobili, sono molti i pittori che si dedicano al paesaggio intorno alla metà del secolo, sempre in quest'ottica. Per questi artisti forte è l'esempio dei francesi, Poussin e Lorrain, autori di vasti e sereni paesaggi spesso ispirati alla campagna romana, che tuttavia non riproducono mai luoghi tratti dal vero e perfettamente riconoscibili ma creano raffigurazioni classiche e fuori dal tempo, in cui si realizza una perfetta armonia tra la natura e gli esseri umani. Tra questi il bolognese Giovanni Francesco Grimaldi (Bologna 1606 ca.-Roma 1680), allievo di Domenichino, attivo in numerose decorazioni tra Roma e la Francia e vivace disegnatore di sfondi naturali.

La veduta

Nella veduta, invece, la prima metà del secolo registra l'attività del grande pittore Viviano Codazzi (Bergamo 1603-Roma 1672) che costruisce delle vere e proprie scene urbane in cui si mescolano antico e moderno. Verso la fine del secolo, accanto alla figura gigantesca di Gaspard van Wittel detto Vanvitelli (► pp. 490-491), di cui si parlerà nelle pagine successive, molti sono i pittori, italiani e fiamminghi, che si dedicano al paesaggio e alla veduta, spesso combinati insieme. Jacob de Heusch (Utrecht 1657-Amsterdam 1701) raffigura la Tomba di Cecilia Metella a Roma sullo sfondo di un paesaggio: con l'introduzione del tema delle rovine, legato alla caducità del tempo e alla precarietà delle realizzazioni umane, il paesaggio, da classico e idealizzato, si fa più drammatico ed emotivo e già prelude al gusto per il sublime e il pittoresco che caratterizzerà l'arte romantica alla fine del Settecento.
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Contesti d’arte - volume 2
Contesti d’arte - volume 2
Dal Gotico internazionale al Rococò