Guido Reni

6.7 Guido Reni

La nuova sintesi tra ideali moderni e amore per la classicità, molto apprezzata dall’aristocrazia e dalla curia romana, è ben espressa dal pittore emiliano Guido Reni (Bologna 1575-1642).
Bolognese di nascita e di formazione, il giovane artista, che aveva studiato dapprima come valente musicista, si era perfezionato presso l’Accademia dei Carracci.
Da giovane, Reni esordisce come imitatore di Raffaello e come precoce ammiratore di Caravaggio. Ben presto, però, si orienta sull’idea della nuova classicità, sorretto da prodigiose capacità tecniche, e dalla sua abilità di raffinato disegnatore e superbo colorista. Si reca a Roma, dove si ferma definitivamente nel 1608.

Strage degli innocenti

Il dipinto (34) fu eseguito nel 1611 per una cappella della chiesa bolognese di San Domenico. L’artista raffigura, in uno spazio limitato che potenzia la concitazione della scena, l’episodio del Vangelo di Matteo in cui Erode ordina l’uccisione di tutti i bambini di Giudea per liberarsi del neonato Gesù. Due soldati, uno ritratto di spalle mentre si getta su una donna urlante e l’altro volto in direzione del gruppo di madri e figli, stanno compiendo il massacro: le differenti reazioni delle madri, in particolare le due che fuggono in direzione opposta ai due estremi del quadro, strutturano la composizione e racchiudono il dramma, vivissimo e drammatico, ma composto in una regolare simmetria della scena. In basso, a chiudere un ideale triangolo rovesciato, una donna in ginocchio prega sui corpi dei bambini uccisi con la faccia rivolta verso il cielo, mentre in alto, sereni, due paffuti angioletti porgono le palme del martirio ai bambini massacrati. In questa composizione violenta e concitata si intuisce la nuova direzione che va assumendo l’arte del pittore bolognese: Guido Reni è un grande disegnatore e un superbo colorista e ben presto la sua pittura si orienta verso una nuova idea di classicità. 

CONFRONTI E INFLUENZE

Dal confronto tra la Strage degli innocenti di Guido Reni e il Martirio di San Matteo di Caravaggio (la seconda tela realizzata per la Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi) emergono il debito del pittore bolognese nei confronti del maestro lombardo ma anche alcune diversità. A Caravaggio possono ricondursi le marcate espressioni di dolore e terrore delle madri. Totalmente diverso è invece l’impianto compositivo: mentre nella tela di Caravaggio si possono a fatica individuare “spezzoni” di linee di forza circolari (come quella formata dalla palma del martirio portata dall’angelo) e orizzontali (formate dai gradini dell’altare e dal corpo del santo), in quella di Guido Reni si avverte chiaramente l’organizzazione delle figure che formano un triangolo rovesciato. L’effetto caotico del dipinto di Caravaggio è accentuato dalle lumeggiature, che lasciano emergere dalla tenebra solo piccole porzioni delle figure che affollano la scena.

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Aurora

In un operosissimo trentennio, tra Roma e Bologna, il pittore crea una serie di opere che lo portano a un successo strepitoso, punteggiato da numerosi capolavori, fra cui spicca l’Aurora (35) sulla volta del Casino dell’Aurora Pallavicini, una loggia che il cardinale Scipione Borghese fece costruire nel suo villino sul colle romano di Montecavallo. Il magistrale affresco, commissionato dal cardinale, compiuto tra il 1613 e il 1614, quando l’artista era ancora nel pieno della giovinezza, gli valse una fama duratura. L’affresco, nel rievocare la mitologia antica, è elegante, equilibrato, con colori chiari e luminosi: è un’indicazione precisa di idee poetiche, di amore per una classicità serena e ideale. Il carro dell’Aurora appare al mattino, trainato da cavalli guidati dal dio Apollo in una luce limpida e accompagnato da figure femminili che simboleggiano le ore della giornata; sopra i quattro cavalli vola l’astro del mattino, con una torcia accesa; in basso a destra è rappresentato un paesaggio marino. L’artista emiliano ha voluto esprimere l’idea della nascita di un’età nuova dell’arte, che ancora si ispira al mito antico, ma che vagheggia il Bello ideale, ricavato dal classicismo raffaellesco attraverso la mediazione "naturale" dei Carracci.

Atalanta e Ippomene

In questa direzione "neorinascimentale", che del Rinascimento recupera la misura classica e i colori chiari e luminosi, si muove anche l’Atalanta e Ippomene (36-37): il dipinto proviene dalla collezione Gonzaga di Mantova, dove già si trovava nel Seicento ed è un modello supremo di equilibrio e bellezza. La composizione ebbe talmente successo che Reni ne realizzò diverse repliche, una delle quali si trova oggi al Museo del Prado.
Secondo il mito greco la ragazza non voleva sposarsi ma per accontentare il padre promise di concedersi solo a chi l’avesse battuta in una gara di corsa: pena, per il corridore sconfitto, la morte. Nessuno riuscì a batterla finché Ippomene, con l’aiuto di Afrodite, lasciò cadere durante la corsa tre pomi d’oro. La scena rappresenta il momento in cui Atalanta si ferma a raccogliere per terra le mele d’oro interrompendo la sua corsa: Ippomene si gira verso la contendente, stupito della sua ingenuità. I due nudi, maschili e femminili, si contrappongono divergenti con un singolare effetto armonico che fa pensare al contrappunto musicale. Il mondo mitologico descritto da Reni è quello della bellezza della gioventù eterna: il buio del paesaggio notturno è privo della concentrazione spirituale caravaggesca e serve a far risaltare gli incarnati chiarissimi dei personaggi, con i corpi tesi in movimenti irreali che ricordano la danza, in una composizione elegante e misurata.
GUIDA ALLO STUDIO
Guido Reni
  • Pittore emiliano attivo a Roma e Bologna
  • Armonia e simmetria delle composizioni
  • Uso di colori chiari e luminosi
  • Classicità ed equilibrio di stampo raffaellesco

Contesti d’arte - volume 2
Contesti d’arte - volume 2
Dal Gotico internazionale al Rococò