Forma, funzioni e idee
Nei primi decenni del XVII secolo la Chiesa prosegue nella difesa delle proprie verità dogmatiche con mezzi coercitivi particolarmente duri (basti pensare alla messa al rogo di Giordano Bruno nel 1600). Tale intransigenza non può tuttavia arrestare il progresso del pensiero scientifico: Francesco Bacone e Galileo Galilei danno avvio infatti a quella che è solitamente definita “rivoluzione scientifica”, cioè a un approccio non più basato sul pensiero astratto ma sull’indagine compiuta direttamente sulla natura per mezzo del metodo sperimentale.
Molta dell’arte prodotta in questo periodo si confronta con la dicotomia generatasi tra “verità di fede” e “verità scientifica”, ovvero tra la rappresentazione di contenuti dottrinari e la volontà di osservazione diretta del dato sensibile. Quest’ultima è l’elemento dominante del “realismo” caravaggesco che descrive la realtà così come appare, con tutte le sue accidentalità e i suoi difetti (rughe, calvizie, sporcizia), insieme a un’umanità che non nasconde le proprie nefandezze (crudeltà, avarizia, astuzia).
Tali rappresentazioni sono ammesse dall’ideologia controriformistica grazie alla componente divina espressa dalla luce che squarcia i fondali tenebrosi e lambisce le figure, poiché simboleggia l’intervento divino che redime gli uomini e li guida verso la salvazione.
Un altro elemento in linea con i dettami della Chiesa è il coinvolgimento emotivo dell’osservatore nella rappresentazione sacra, anche questo soddisfatto mediante il realismo: nelle scene sacre dipinte da Caravaggio i personaggi sono abbigliati secondo l’uso dell’epoca e si muovono nelle povere case o nelle osterie della Roma del tempo, ambienti capaci di innescare nel pubblico un rapido processo di immedesimazione per la loro familiarità. Stimolo ulteriore in questa direzione è fornito anche dall’empatia che si vuole stabilire attraverso la descrizione dei sentimenti dei personaggi; la loro gestualità e le loro espressioni facciali sono decisamente enfatizzate e suggeriscono le emozioni secondo procedimenti non dissimili da quelli del teatro.
Tuttavia, la fedeltà profonda al realismo porta Caravaggio a infrangere più volte il limite imposto dal concetto controriformistico di decoro. Il caso più eclatante è il rifiuto da parte dei committenti della Morte della Vergine perché i segni della morte sono tanto crudamente esibiti da ledere la sacrale dignità della figura di Maria. È importante sottolineare come anche l’esperienza dei Carracci, dalla quale prende le mosse l’altro filone dell’arte del primo Seicento, affondi le proprie radici in un’analoga ricerca di realismo pittorico. La scuola di pittura fondata dai Carracci in origine si chiamava Accademia del Naturale perché esortava a limitare lo studio dei maestri in favore dell’osservazione diretta della natura attraverso il disegno. A Bologna, che sin dai tempi del vescovo Gabriele Paleotti è un importante centro motore delle istanze controriformistiche, la scuola carraccesca era l’unico luogo dove i giovani pittori potevano esercitarsi nella pratica del nudo dal vero. Nei dipinti realizzati per la committenza religiosa, tuttavia, non possiamo non notare come la grande attenzione alla realtà eviti accuratamente di oltrepassare i limiti imposti dalla Chiesa, come invece capita a Caravaggio. Anche il proposito di limitare lo studio dei maestri viene largamente eluso in queste occasioni: in molte opere dei Carracci l’attenzione al dettaglio realistico si coniuga infatti con l’evidente ripresa di modelli provenienti dalla tradizione veneta e lombarda di Tiziano e di Lotto.
Quando poi Annibale si sposta a Roma, trovandosi a confronto diretto con la locale tradizione della decorazione murale, si fanno evidenti anche i richiami a Michelangelo (per quanto riguarda il trattamento delle anatomie e delle pose) e a Raffaello (per alcune impostazioni compositive). Questo procedimento, che è stato definito dagli studiosi “eclettismo carraccesco”, è in fondo simile a certe ricerche già poste in essere nel secolo precedente da alcuni manieristi. La differenza sostanziale sta nell’aver abbandonato qualsiasi tendenza al bizzarro e nel rispetto dei limiti imposti dal decoro controriformistico, che permettono ad Annibale di offrire una rinnovata continuità con l’arte del Rinascimento.