Giulio Romano

5.5 Giulio Romano

Giulio Romano (Roma 1492-Mantova 1546) è lo pseudonimo di Giulio Pippi. Molto giovane entra a far parte della bottega di Raffaello di cui diviene l’assistente di fiducia, partecipando alla decorazione delle Stanze Vaticane. In particolare a lui si deve la realizzazione complessiva, insieme ad altri aiuti, degli affreschi della Sala di Costantino, incarico ricevuto dopo la morte di Raffaello, nel 1520. Nel 1524 Giulio Romano si trasferisce a Mantova, al servizio del marchese Federico Gonzaga, sovrintendendo come architetto a tutte le costruzioni cittadine e divenendo il regista di tutte le imprese decorative gonzaghesche: nello spazio di due decenni, Giulio trasforma la città di Mantova, segnando una decisa svolta nella storia delle arti figurative nell’Italia padana e nell’Europa delle corti. Oltre alla realizzazione del suo capolavoro architettonico, Palazzo Te, concepisce la decorazione di numerose sale nel Palazzo Ducale, costruisce il cortile della Cavallerizza nello stesso palazzo e ristruttura l’interno della cattedrale. Sempre a Mantova edifica la sua dimora privata, piccolo ed elegante edificio, tra i più significativi esempi di residenza d’artista del Rinascimento. Nel 1546, a suggello di un prestigioso percorso professionale, giunge l’invito di papa Paolo III ad assumere la direzione dei lavori della Fabbrica di San Pietro alla scomparsa di Antonio da Sangallo il Giovane, ma nello stesso anno muore anche Giulio Romano.

Palazzo Te 

Il palazzo (10) nasce ai margini della città di Mantova, sull'isola di Teieto da cui deriva il suo nome, nel luogo in cui i Gonzaga avevano le stalle dei loro famosi cavalli: Giulio Romano lo progetta a partire dal 1526 come una residenza per gli svaghi della corte e per ospitare nobili visitatori. Il palazzo si sviluppa attorno a un cortile centrale di forma quadrata, secondo la struttura delle ville romane suburbane (11). Dall’ingresso, che si apre nella facciata occidentale, si entra in un vestibolo a quattro colonne (12), fino a giungere, dopo un cortile d'onore  (14), a una loggia affacciata su un giardino decorato da peschiere. Le facciate (13) sono tutte caratterizzate da un paramento a bugnato rustico, plasmato con l'intonaco, a suggerire l'idea di una struttura possente, in cui però l'architetto sembra quasi giocare con gli elementi del lessico classicista, combinandoli in modo da creare stupore nell'osservatore in una continua serie di licenze dalle regole che quasi paiono ironicamente mettere in discussione la stabilità dell'edificio. All'interno del palazzo, Giulio Romano coordina tutta la fastosa decorazione di affreschi e stucchi con l'aiuto di una ricca bottega di cui tiene saldamente il comando, secondo gli insegnamenti fondamentali del suo maestro Raffaello. Ogni ambiente è diverso dal successivo: in misura ancora maggiore rispetto all'esterno, lo scopo della decorazione è creare sorpresa e ammirazione.

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Affreschi di Palazzo Te 

Risponde a questa finalità la decorazione della Sala di Psiche, il cui soggetto mitologico allude alla storia personale di Federico II Gonzaga che nel palazzo incontrava la sua amante, Isabella Boschetti, al riparo dallo sguardo indiscreto della madre Isabella d'Este.
Nel soffitto e nelle lunette, infatti, tra cornici in stucco dorato, si dispiega la vicenda di Psiche e di Amore, la cui relazione è osteggiata dalla madre del dio, Venere. La ricchezza dell'insieme è data dalla varietà delle raffigurazioni e dal complesso e mai banale senso di lettura delle scene, ma anche dalla tecnica esecutiva: la volta è infatti realizzata con una struttura in legno, rivestita da un sottile strato di intonaco e decorata con pittura a olio di grande lucentezza e intensità cromatica.
Tutte le pareti invece sono eseguite ad affresco con molte rifiniture a tempera e si organizzano intorno a una scena centrale di banchetto, in cui è celebrato il trionfante amore della coppia finalmente ricongiunta: sullo sfondo di un variegato paesaggio, che apre illusionisticamente le pareti della stanza verso una campagna attraversata da acque, come il vero territorio mantovano intorno al palazzo, Psiche e Amore, nudi, siedono su un triclinio all'antica, tra divinità, animali, stoviglie e suppellettili preziose (15)
Completa la decorazione un lunga iscrizione in caratteri capitali che corre sotto le lunette e che spiega la funzione ricreativa del palazzo: «Federico II Gonzaga quinto marchese di Mantova capitano generale della Santa Romana Chiesa e della Repubblica Fiorentina ordinò di costruire [questo edificio] per l'onesto ozio dopo le fatiche per ritemprare le forze nella quiete».
In questa sfarzosa decorazione si leggono in controluce tutti i modelli di Giulio Romano: chiara è la citazione della Camera degli Sposi ( pp. 142-143), affrescata da Andrea Mantegna cinquant'anni prima proprio a Mantova e soprattutto del suo celebre scorcio disotto in su, ma non mancano riferimenti all'illusionismo di Correggio e soprattutto alle preziose decorazioni romane della bottega di Raffaello, di cui vengono imitati i colori vivaci, l'estrema varietà di pose e atteggiamenti, la libertà di invenzione nel concepire storie complesse tratte da mitologie classiche.

Sala dei Giganti 

Nell'angolo nordoccidentale del palazzo la Sala dei Giganti rappresenta uno dei vertici della produzione pittorica dell'artista (16). I lavori alla decorazione durano cinque anni, dal 1531 al 1536. Nel 1532 era probabilmente già completata la volta e fu mostrata a Carlo V in visita a Mantova. Il tema scelto, con il racconto mitologico dei Giganti atterrati da Giove, è tratto direttamente dal poema antico delle Metamorfosi di Ovidio ed è un diretto richiamo alla storia cinquecentesca. Giove, infatti, rappresenta l'imperatore Carlo V e i Giganti sono i principi italiani che non vogliono riconoscere il potere imperiale.
Giulio Romano riesce a realizzare una decorazione con la quale smaterializza completamente l'architettura della sala, in maniera tale che l'osservatore venga proiettato all'interno della scena: senza che infatti vi sia alcuna intelaiatura prospettica a guidare lo sguardo o a dividere le scene, gli affreschi coprono tutte le pareti e il soffitto, creando un ampio spazio aperto di grande effetto scenografico.
La parte centrale della volta (17) è illusionisticamente risolta come un edificio a pianta centrale, circolare, completo di cupola, che non esiste nella realtà fisica della stanza ma che dà all'osservatore l'impressione di essere reale. Al di sotto, in una corona di nubi, nell'Olimpo, Giove sta fulminando i Giganti, attorniato dalle altre divinità. L'aquila, simbolo del dio, rafforza il significato politico dell'affresco, perché il nobile animale era presente nello stemma imperiale. Si possono osservare anche diversi richiami a "imprese" della famiglia Gonzaga. Elementi significativi dell'architettura dipinta sono inoltre le colonne e la trabeazione del tempio dei Giganti, che sta crollando a causa dell'ira di Giove.
Le espressioni concitate e turbate di alcuni dei protagonisti della scena sembrano evocare il gruppo marmoreo del Laocoonte, scoperto a Roma nel 1506 e che esercita su Giulio Romano – al pari di quanto accade agli artisti suoi contemporanei – una notevole influenza. La sala ha, purtroppo, subìto alcune modificazioni rispetto alla versione originale: è stato sostituito il pavimento irregolare in ciottoli che richiamava direttamente gli affioramenti rocciosi dipinti sulle pareti e che costituiva un continuum rispetto a queste ultime e alla volta. Inoltre non è più presente il camino, rimosso perché fonte di infiltrazioni d'acqua: con il suo fuoco acceso doveva completare lo spettacolare effetto della stanza che, secondo una fortunata espressione, «sembra risuonare di urla scomposte».
Ormai famoso e uomo di fiducia dei duchi di Mantova, Giulio Romano, accanto alle grandi imprese architettoniche e decorative di Palazzo Te e del Palazzo Ducale, sovrintende a ogni tipo di attività legata alla corte: organizza feste, progetta scenografie teatrali, disegna suppellettili e argenterie. Svolge anche un ruolo fondamentale per la pianificazione urbana della città di Mantova: nominato "superiore delle strade", è responsabile della manutenzione, della difesa e del decoro della città, che in questi anni cerca di affermare una supremazia culturale sugli altri centri della Penisola.
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Trionfo di Tito e Vespasiano 

Negli anni Trenta e Quaranta del Cinquecento si allontana parzialmente dai modi del suo maestro Raffaello per dare vita a una pittura che risente anche di influssi michelangioleschi e veneti. Un esempio significativo di questa tendenza, peraltro già emersa durante la realizzazione degli affreschi della Sala di Costantino nelle Stanze Vaticane, è la tavola con il Trionfo di Tito e Vespasiano (18). I due imperatori, incoronati d’alloro e alla guida di una biga trainata da quattro cavalli, stanno per transitare sotto un arco di trionfo, forse allusione diretta all’Arco di Tito, nel Foro Romano. La Vittoria alata sta per poggiare sulle loro teste delle corone dorate, mentre una folla di personaggi, tra cui un soldato, li precede. Sullo sfondo sono tratteggiati un dolce paesaggio lacustre e delle nubi scure, incombenti.
Di derivazione raffaellesca è certamente l’interesse per le antichità, restituite con accuratezza archeologica, come si vede nella resa delle semicolonne e dell’intradosso dell’arco oltreché, soprattutto, nella decorazione lignea della biga. Tuttavia la trattazione anatomica dei corpi è più possente – emblematico è il caso dei cavalli – e dichiara una palese derivazione dai modi di Michelangelo, così come l’acceso colorismo presente nelle vesti mostra un’approfondita conoscenza della coeva pittura veneta, a sottolineare il fondamentale ruolo di sintesi tra varie tendenze artistiche svolto da Giulio Romano.
GUIDA ALLO STUDIO
Giulio Romano
  • Allievo di Raffaello
  • Architetto e pittore
  • Architetto alla corte dei Gonzaga: trasforma la città di Mantova
  • Rielaborazione delle regole classiche
  • Grande effetto scenografico
  • In campo pittorico: influssi michelangioleschi e veneti

Contesti d’arte - volume 2
Contesti d’arte - volume 2
Dal Gotico internazionale al Rococò