MATERIALI E TECNICHE: La correzione degli effetti ottici

MATERIALI E TECNICHE

La correzione degli effetti ottici

Gli architetti greci ricorrevano, nella costruzione dei templi, a correzioni che ovviavano a problemi sorti dalla rigida applicazione di uno schema astratto o a deformazioni apparenti della struttura dovute alla percezione visiva propria dell'occhio umano.

Il conflitto angolare

Nell'ordine dorico i triglifi dovevano essere sempre in asse con la colonna sottostante, ma, poiché il fregio doveva terminare con un triglifo, la colonna angolare sarebbe fuoriuscita dalla trabeazione per metà (a). Per attenuare questo problema – detto "conflitto angolare" – erano possibili diversi accorgimenti, tra cui l'allargamento dell'ultima metopa (b) o, lasciando le metope invariate, il leggero spostamento delle ultime due colonne dalla loro posizione in asse con il triglifo verso la colonna precedente (c). In questo modo la correzione era "distribuita" su tre colonne e dunque era poco percepibile.

La curvatura dello stilobate

Il piano d'appoggio delle colonne (e di conseguenza la trabeazione) erano leggermente convessi; se fossero stati perfettamente piani, infatti, l'occhio umano li avrebbe percepiti concavi a causa di un'illusione ottica creata dalla presenza delle colonne verticali (d).

Le colonne

Le colonne poste ai lati del tempio erano leggermente inclinate verso l'interno. Anche in questo caso, se fossero state dritte un effetto ottico deformante le avrebbe fatte apparire divergenti verso l'esterno (e). Le colonne più esposte alla luce, inoltre, avevano un diametro maggiore di quelle poste in zone più buie, allo scopo di correggere l'impressione che le colonne in piena luce siano più sottili di quelle in penombra.
Infine, l'entasi, ossia il rigonfiamento del fusto della colonna a un terzo del suo sviluppo, evita che essa appaia, a chi osserva da lontano, più stretta al centro (f).

Contesti d’arte - volume 1
Contesti d’arte - volume 1
Dalla Preistoria al Gotico