Per l’alternanza scuola-lavoro

Professione archeologia

Che cos’è l’archeologia? 

L’archeologia è una disciplina che si occupa dello studio delle civiltà del passato per poterne ricostruire la storia, attraverso le tracce che sono giunte fino a noi. L’arco temporale che viene preso in considerazione dagli studi archeologici è compreso fra la comparsa degli esseri umani sulla Terra e i giorni nostri.

Cenni di storia dell’archeologia

Antiquaria 

Fino al 1700 la parola “archeologia” era spesso utilizzata per indicare la passione, tipica degli antiquari, di collezionare oggetti e manufatti antichi, senza però considerare il contesto in cui quegli oggetti erano stati prodotti.

Archeologia classica 

A partire dal XVIII secolo, in seguito al lavoro del tedesco Johann Joachim Winckelmann (1717-1768), le opere d’arte antica vennero studiate attraverso la definizione di stili estetici; alla produzione greca del V secolo a.C., definita “classica”, fu riservato il primato per perfezione e armonia delle forme e fu utilizzata, quindi, come termine di paragone per le altre. Così, per oltre due secoli, la ricerca archeologica classica fu spesso vincolata alla ricerca del bello e del monumentale, procedendo con la messa in luce dei soli materiali considerati meritevoli di studio.

Archeologia preistorica

I primi a porre l’attenzione sui metodi di scavo furono gli archeologi preistorici dei primi anni del XIX secolo. Essi, non disponendo di fonti scritte che guidassero le loro ricerche, dovettero sviluppare un metodo di studio e di raccolta dei dati materiali rinvenuti che consentisse di ricostruire i contesti storici a cui essi erano appartenuti: lo scavo stratigrafico.
Si creò così una contrapposizione che, seppur in maniera meno marcata, esiste ancora oggi fra l’archeologia classica, legata alla storia dell’arte e alle materie umanistiche, e l’archeologia preistorica, assimilabile più alla geologia e alle materie scientifiche in genere.
Nello studio dei manufatti vennero create delle classificazioni tipologiche (vedi “Metodi di ricerca”) grazie alle quali era possibile suddividere le diverse culture e l’evoluzione delle stesse. In questo ambiente emerse una figura fondamentale nel panorama archeologico mondiale: Vere Gordon Childe (1892-1957), che teorizzò sia il concetto di “cultura archeologica” sia quello di “rivoluzione neolitica”.

New archaeology 

La vera rivoluzione in campo di ricerca archeologica si ebbe a partire dagli anni Sessanta del Novecento. Cercando di individuare delle leggi alla base dei comportamenti dell’essere umano applicabili a qualunque civiltà, i new archaeologists avevano come obiettivo (utopistico) quello di trasformare l’archeologia in una Scienza, spinti anche dall’ottimismo scientifico che si viveva in quegli anni grazie alle scoperte e agli sviluppi tecnologici (DNA, calcolatori, datazione col radiocarbonio…). Grande importanza fu data alla relazione che intercorre fra le civiltà antiche e l’ambiente in cui si sono sviluppate, cercando di risalire ai processi che hanno influito sui cambiamenti delle civiltà stesse: clima, sfruttamento delle risorse, caratteristiche geomorfologiche, trasformazioni naturali o artificiali dei territori. Per questo la New archaeology viene chiamata anche “archeologia processuale”.

 › pagina 461 

Post-processualismo 

L’eccessiva attenzione materialistica e matematico-scientifica che veniva data dall’archeologia processuale rappresentava uno schema eccessivamente rigoroso, all’interno del quale le società antiche venivano analizzate come un’entità monolitica. A partire dagli anni Ottanta, quindi, molti archeologi iniziarono a considerare le società come un insieme di individui, dando molta importanza a idee, credenze e significati che collegano l’uomo con le cose da lui prodotte.

L’archeologia oggi 

Ancora oggi permangono differenti approcci teorici all’indagine archeologica, ma l’obiettivo dell’archeologia rimane quello di studiare le società del passato attraverso lo studio delle tracce materiali pervenuteci, comprendendo le relazioni che esse hanno avuto fra di loro e con l’ambiente in cui si sono sviluppate. Alla base di questa ricerca si trova il concetto di “contesto”: come si collocano gli oggetti materiali rinvenuti all’interno di uno spazio e di una fascia temporale determinati in un coerente rapporto reciproco dal punto di vista culturale e funzionale.
La ricostruzione del contesto parte proprio dall’oggetto. Solo tramite corrette tecniche di recupero un oggetto è in grado di trasformarsi in un reperto, il quale attraverso un corretto metodo di analisi può diventare un documento. Lo studio dei documenti e il confronto con altre realtà può produrre interpretazioni del contesto, permettendo così un’ipotesi ricostruttiva.
L’oggetto in sé può assumere funzioni e simbologie differenti, a seconda del contesto in cui si trova. Solo attraverso un corretto utilizzo dei metodi della ricerca archeologica è possibile ottenere un maggior numero di informazioni che possano portare a una ricostruzione più plausibile, raramente certa, del contesto indagato.
Come un medico, che dallo studio dei sintomi di un paziente cerca di risalire a una malattia, o come un investigatore, che attraverso l’analisi degli indizi deve ricostruire le dinamiche di un delitto, allo stesso modo un archeologo, attraverso l’osservazione e il confronto dei reperti aspira alla ricostruzione storica di un contesto. Come uno scienziato egli raccoglie i dati, conduce esperimenti, formula ipotesi e le verifica confrontandole con altri dati e, infine, costruisce un modello. Solo attraverso l’uso corretto delle metodologie di ricerca l’archeologo può avvicinarsi alla ricostruzione storica del contesto indagato, procedendo per esclusione.

Metodi di ricerca 

Il lavoro dell’archeologo è suddivisibile in tre fasi:

  • studio preliminare; 
  • raccolta dei dati sul campo;
  • rielaborazione dei dati raccolti durante lo scavo.
In base alle esigenze specifiche del contesto di indagine, l’archeologo deve applicare le tecniche più adatte alla raccolta del maggior numero di dati, con il minor dispendio di denaro e di tempo. I principali metodi di indagine sono cinque.
  • Ricognizione topografica Raccolta dei dati attraverso l’osservazione della superficie, senza dover intaccare il terreno. 
  • Stratigrafia Scavo del terreno che procede con la rimozione degli strati accumulati nel tempo, nell’ordine inverso rispetto a quello di formazione. 
  • Tipologia Analisi sui manufatti volte a scoprire l’evoluzione e la trasformazione degli oggetti nel tempo, mettendo in relazione quelli con forme o funzioni simili. 
  • Scienze naturali Studio dei reperti botanici (semi, pollini) e zoologici (ossi animali) rinvenuti e delle componenti geologiche dei manufatti e dei paesaggi. 
  • Archeometria Analisi fisiche e chimiche dei reperti che permettono di trarre informazioni riguardanti l’età di fabbricazione e le tecnologie produttive dei manufatti.
 › pagina 462 

La campagna di scavo archeologico 

Nell’immaginario collettivo, l’archeologo è colui che, armato di cappello a tesa larga e avvolto in nubi di polvere, sovrintende ai lavori di scavo per mettere in luce magnifici e misteriosi manufatti. In realtà, gli oggetti che egli riporta alla luce non sono il fine delle sue indagini, ma i mezzi per poter giungere al suo vero scopo: la ricostruzione storica.
A tal proposito occorre fare una considerazione spietata, ma veritiera: l’archeologia, per poter ricavare il maggior numero di informazioni e per poter giungere a una plausibile ricostruzione storica, deve procedere con la distruzione del contesto studiato. Per questo motivo, ogni passaggio durante l’opera di scomponimento degli strati archeologici, necessita di un’accurata registrazione e documentazione che possa permettere, anche a distanza di anni, di effettuare delle rielaborazioni dei dati a fronte di nuove scoperte e di perfezionarne o cambiarne la ricostruzione storica.

Ricerche e indagini preliminari 

Per capire come in realtà un archeologo lavori sul campo, bisogna tener presente che non esiste un modo univoco di operare, poiché ogni scelta deve essere compiuta considerando le caratteristiche ambientali e climatiche del luogo indagato, oltre che le risorse economiche a disposizione.

  • Studi preliminari Prima di iniziare la vera attività di scavo in un determinato territorio è necessario compiere alcuni studi preliminari, consultando sia la documentazione di eventuali ritrovamenti precedenti, sia le fonti e i documenti storici. 
  • Ricognizioni topografiche Fra le tecniche non invasive in ambito archeologico, le più diffuse sono senza dubbio le ricognizioni di superficie, che prevedono la suddivisione in fasce dell’area che si vuole indagare; ciascuna fascia viene percorsa da un archeologo per individuare i reperti emergenti in superficie, registrandone così quantità e distribuzione.
Un’altra tecnica non invasiva è l’analisi delle fotografie scattate a seguito di una ricognizione aerea, grazie alla quale è possibile individuare anomalie nella distribuzione della vegetazione o del terreno (non percepibili da terra) che possono indicare la presenza di strutture o di buchi nel sottosuolo. Questo tipo di ricognizione negli ultimi anni ha conosciuto una maggiore diffusione grazie allo sviluppo dei droni.

Un altro tipo di ricognizione non invasiva è la ricognizione con georadar: questa macchina, battendo l’area oggetto di indagine, invia nel sottosuolo onde elettromagnetiche che, in base alle differenti risposte del segnale, captano e registrano la presenza di un ostacolo o di un avvallamento presenti sotto terra.

 › pagina 463 

Lo scavo stratigrafico 

Di derivazione geologica, lo scavo stratigrafico rappresenta la più grande conquista dell’archeologia moderna. Le logiche che stanno alla base del metodo stratigrafico trascendono l’epoca e la cultura indagate. Alla base del metodo stratigrafico vi è il concetto di “unità stratigrafica” (US). Con questo termine vengono nominate tutte le realtà registrabili durante le fasi di scavo: strato geologico, strato di crollo, struttura umana, tracce di rimozione della terra (unico esempio di traccia immateriale con cui deve operare l’archeologo), tombe. Le principali fasi dello scavo sono quattro.

  • Lavorare con la terra La terra si presenta a un archeologo come un libro da sfogliare: gli strati in cui si imbatte corrispondono a pesanti pagine da sfogliare o rimuovere. I manufatti e le componenti presenti in ogni strato sono le lettere che riempiono la pagina e forniscono le informazioni necessarie per poter capire le relazioni che intercorrono fra le pagine. A differenza del libro, la lettura degli strati comincia dalla fine per procedere a ritroso nel tempo fino al principio della storia. Per poter interpretare le tracce contenute nella terra, l’archeologo procede con una pulizia della superficie dello strato utilizzando la cazzuola inglese (trowel); per rimuovere lo strato e accelerare le operazioni di movimento della terra si ricorre anche al piccone e al badile. La procedura di rimozione prosegue fino all’emersione di una nuova US, che può differenziarsi dall’US rimossa per consistenza della matrice (argillosa, sabbiosa), composizione (presenza di laterizi, frammenti ceramici, carboni, ossi animali, sassi, monete…) e colore. 
  • Raccogliere informazioni Ogni volta che l’archeologo riconosce una nuova US deve procedere con la sua registrazione: inserisce in un elenco il numero identificativo dell’US (US 1, US 2, US 3…). A ogni US presente sull’elenco deve corrispondere una scheda di US. La scheda rappresenta il documento d’identità dell’US: al suo interno l’archeologo procede con una descrizione dello strato; specifica secondo quali criteri ha potuto distinguere l’US da quelle contigue; segnala a quali profondità inizia e termina lo strato; indica le relazioni fisiche (per esempio da quale US era coperta e quale US copre) e temporali (per esempio si è formata prima dell’US che la copriva e dopo quella che copre) tra l’US e quelle contigue. 
  • Rilievo fotografico Visto che per procedere con le indagini l’archeologo è costretto a rimuovere gli strati, è indispensabile che ogni singola US venga documentata, oltre che con la scheda di US, anche attraverso la fotografia. Le caratteristiche delle foto archeologiche devono poter permettere di fare elaborazioni del contesto anche a chi consulta le immagini a distanza di anni, dopo che esso è stato distrutto. All’interno della foto sarà quindi indispensabile inserire un riferimento metrico e geografico, per indicare le dimensioni e la posizione dello strato. Inoltre, per evitare le deformazioni dovute all’obiettivo della macchina fotografica, le foto devono essere scattate zenitalmente: l’angolo che si forma fra oggetto scattato e punto di presa deve essere un angolo retto. 
  • Rilievo archeologico Accanto ai tradizionali metodi di rilievo su lucido con matita, grazie agli sviluppi tecnologici soprattutto in campo architettonico e ingegneristico, il rilievo archeologico viene effettuato utilizzando macchine che permettono di registrare su computer i punti rilevati, per rielaborarli e disegnarli digitalmente grazie a software di disegno digitale (CAD). Strumenti come il laser scanner hanno permesso rilievi di dettaglio inimmaginabile fino a vent’anni fa. Grazie ad alcuni software informatici è infatti possibile operare sui modelli tridimensionali effettuati con il laser scanner, “rivestendoli” con le fotografie e ricreando così l’oggetto del rilievo nelle tre dimensioni digitali.
 › pagina 464 

L’archeologo professionista 

In Italia la figura professionale dell’archeologo è direttamente controllata dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (Mibact). Il controllo ministeriale è affidato a 39 Soprintendenze territoriali di archeologia, belle arti e paesaggio e all’Istituto centrale per l’archeologia. Gli archeologi, assunti tramite bandi nazionali, lavorano direttamente per il Mibact all’interno di questi enti. L’accesso a questi bandi è aperto solo a coloro che hanno effettuato il seguente percorso di studi: laurea triennale in Scienze dei beni culturali, laurea magistrale in Archeologia e diploma di dottorato o, in alternativa, diploma della Scuola di specializzazione. Oltre al lavoro di controllo e monitoraggio svolto all’interno delle Soprintendenze, il Mibact può assumere archeologi per la gestione di siti, parchi archeologici e musei. Accanto alla carriera all’interno di enti dei beni culturali, le possibilità lavorative in ambito archeologico comprendono la carriera universitaria, come professore o ricercatore, oppure come libero professionista.
In questi casi il lavoro svolto è spesso legato a campagne di scavo che avvengono in maniera e in situazioni totalmente differenti: lo scavo di ricerca e gli scavi d’emergenza e di salvataggio.

Scavi di ricerca 

Si svolgono in contesti tutelati e possono essere oggetto di campagne periodiche. Sono spesso diretti da professori o ricercatori universitari che impiegano i fondi a disposizione per proseguire le indagini in siti già oggetto di scavo, ampliando o approfondendo l’area di indagine. La forza lavoro di questi scavi è composta in prevalenza da studenti universitari che durante questi stage apprendono le tecniche sul campo.

Scavi d’emergenza e di salvataggio 

La maggior parte degli archeologi operanti in Italia è impegnata negli scavi di emergenza o di salvataggio. Durante i lavori di grandi infrastrutture (metropolitane, autostrade, metanodotti...) le ditte esecutrici dei lavori hanno l’obbligo di fare ricorso ad archeologi liberi professionisti o ditte archeologiche perché affianchino, controllino e documentino il lavoro delle ruspe durante le operazioni di scavo. Qualora durante queste attività emergano evidenze archeologiche, l’archeologo deve interrompere i lavori e, consultando la Soprintendenza, decidere se procedere con uno scavo archeologico per documentare e rimuovere gli strati archeologici. Lo scavo di salvataggio viene sempre affidato a liberi professionisti o ditte archeologiche, in questo caso chiamati a intervenire per sistemare o documentare le evidenze archeologiche danneggiate in seguito a eventi particolari quali alluvioni, erosioni, frane.

Una disciplina in continua evoluzione 

L’archeologia, come abbiamo visto, ha molti aspetti interdisciplinari: infatti, dalla collaborazione fra gli archeologi e gli antropologi forensi (che studiano i resti umani per risalire alle cause del decesso) si sono aperte interessanti ricerche sugli scheletri antichi. Al contempo l’archeologo può essere chiamato a svolgere scavi in casi giudiziari, per riconoscere e classificare le tracce che permettono di ricostruire la scena di un crimine.

 › pagina 465 

L’archeologia entra a scuola

La legge 110 del 2014 recita: 


«Art. 9-bis. Professionisti competenti ad eseguire interventi sui beni culturali. 1. […] Gli interventi operativi di tutela, protezione e conservazione dei beni culturali nonché quelli relativi alla valorizzazione e alla fruizione dei beni stessi, […] sono affidati alla responsabilità e all’attuazione, secondo le rispettive competenze, di archeologi, archivisti, bibliotecari, demoetnoantropologi, antropologi fisici, restauratori di beni culturali e collaboratori restauratori di beni culturali, esperti di diagnostica e di scienze e tecnologia applicate ai beni culturali e storici dell’arte, in possesso di adeguata formazione ed esperienza professionale». 


La possibilità di sviluppare progetti di alternanza scuola-lavoro in ambito archeologico è quindi vincolata alla presenza di personale qualificato che abbia le competenze e l’esperienza professionale per poter operare sui beni archeologici. Molti enti, quali parchi, musei, università e associazioni oggi danno la possibilità agli studenti di vivere delle esperienze che li mettano a contatto diretto con le attività legate all’archeologia. 


Di seguito viene proposta un’attività cooperativa che, senza intervenire su beni tutelati, consente di mettere in pratica le metodologie dell’indagine archeologica, costituendo una base di partenza per un eventuale progetto nell’ambito dell’alternanza scuola-lavoro.

COMPITO DI REALTÀ

CREARE E SCOMPORRE UN CONTESTO ARCHEOLOGICO

Luogo in cui svolgere l’attività Spazio aperto, per esempio il cortile della scuola. 

Strumenti necessari Otto assi di legno (per creare due vasche), fogli di cellofan resistente, fogliame, terriccio, argilla espansa, strumenti per scavare (palette, sessole), fogli di carta millimetrata, matite da disegno, gomme, bussola, riga, bastone graduato, metro a stecca, computer, telefono con fotocamera.

Fasi di lavoro – Lavorare in gruppo

Fase 1 In classe, anche utilizzando gli strumenti informatici, predisponete tre tabelle a quattro colonne per registrare le informazioni (numero identificativo, data, descrizione, nomi dei compilatori delle tabelle) relative a unità stratigrafiche, disegni e foto. Create un modello di scheda di “Unità stratigrafica” (US) che dovrà prevedere le seguenti voci:

  • numero identificativo dell’US; 
  • descrizione; 
  • oggetti rinvenuti all’interno dell’US; 
  • criteri che permettono di distinguere l’US emergente da quella che si sta scavando (colore, consistenza, materiali); 
  • relazione con le altre US (copre o è coperta, taglia o è tagliata, riempie o è riempita); 
  • nomi dei compilatori.

Stampate o fotocopiate due serie di tabelle e una ventina di schede US.


Fase 2 Dividete la classe in due gruppi omogenei, ciascuno dei quali dovrà creare il contesto di indagine per l’altro gruppo:

  • si stende il foglio di cellofan e si formano i bordi della vasca con le quattro assi; 
  • all’interno della vasca si crea un contesto stratigrafico disponendo a strati i materiali (terriccio, argilla espansa, fogliame ecc...) e posizionando all’interno di ogni strato degli oggetti (monete, chiavi, oggetti personali o di uso comune).

Fase 3 Ciascun gruppo lavora sul contesto di indagine predisposto dall’altro gruppo e attribuisce una denominazione al proprio scavo. Distribuite all’interno del gruppo i seguenti compiti:

  • realizzare le fotografie di ogni US a partire dallo strato superficiale riportando le informazioni nella relativa tabella; ricordate che in ogni scatto devono essere presenti un foglio in cui vengono indicati l’oggetto, l’autore e la data della fotografia, un riferimento metrico (posizionando vicino al bordo interno della vasca il bastone graduato, oppure il metro a stecca) e un riferimento geografico (posizionando un segnale che indichi il Nord, individuato mediante la bussola); 
  • misurare le dimensioni della vasca e disegnare il rilievo di ogni US su un foglio di carta millimetrata, in una scala di riduzione prestabilita; per indicare sul disegno l’esatta posizione di ogni oggetto rinvenuto occorre misurare la sua distanza da un angolo prestabilito della vasca con l’aiuto del metro a stecca e della riga (immaginate che l’angolo scelto sia l’origine di un piano cartesiano e i lati della vasca siano l’ascissa e l’ordinata); ricordate che sul foglio devono essere indicati il numero, l’oggetto, l’autore e la data del disegno e che le informazioni vanno riportate nella relativa tabella; 
  • rimuovere un solo strato alla volta, riportando le informazioni nella relativa tabella; 
  • compilare la scheda di US. 

Fase 4 Ciascun gruppo (utilizzando eventualmente gli strumenti digitali) prepara una relazione riportando le fasi di lavoro, la suddivisione dei compiti all’interno del gruppo e i tempi impiegati elaborando una ricostruzione “storica” del contesto analizzato sulla base dei dati raccolti. La relazione dovrà essere completata con le tabelle, le schede, le fotografie e i disegni. 


Fase 5 Ciascuno studente elabora una scheda di autovalutazione dell’attività svolta.

Contesti d’arte - volume 1
Contesti d’arte - volume 1
Dalla Preistoria al Gotico