IL RESTAURO: Il Crocifisso di Cimabue

IL RESTAURO

Il Crocifisso di Cimabue

Nella notte del 4 novembre del 1966, il fiume Arno ruppe gli argini, raggiungendo le case, le biblioteche, i musei e le chiese di Firenze. Il crocifisso di Santa Croce, realizzato da Cimabue tra il 1270-1280, fu quasi completamente sommerso, riportando danni che interessarono circa il 70% della pittura. Le due restauratrici – le dottoresse Ornella Cosazza e Paola Bracco dell’Opificio delle Pietre dure di Firenze – si trovarono davanti a una scelta difficile: integrare la pittura andata persa, grazie alla documentazione fotografica relativa all’opera, realizzando però un falso, frutto di mani diverse; o lasciare ciò che era rimasto, comprese le lacune di quanto perduto, ma rispettando quanto rimaneva dell’opera originale.
Fu in quell’occasione che si mise a punto uno dei capisaldi del restauro moderno: la tecnica dell’astrazione cromatica. Si tratta di una metodologia di intervento attuabile quando la lacuna è molto estesa e non è possibile avanzare una precisa ipotesi ricostruttiva. Con sottili pennellate (un tratteggio che segue l’andamento di quelle originali) si attua una sorta di collegamento neutro tra una zona superstite e l’altra, andando a ricomporre l’armonia generale dell’opera. Si tratta di una tonalità neutra che, utilizzando combinazioni di colori puri ad acquerello (giallo, rosso, verde o blu e nero) si accorda nel complesso con l’intonazione cromatica dell’opera. I colori sono applicati singolarmente: per primo il giallo con andamento fitto e verticale, successivamente il rosso con una stesura obliqua, poi il verde o il blu (a seconda dell’effetto che si vuole ottenere), e infine il nero, con inclinazione ancora diversa in modo da creare una sorta di intreccio. Per ogni lacuna della stessa opera la miscela deve essere la stessa, mentre l’orientamento del tratteggio potrà variare accordandosi con la figurazione rimasta.
«Agimmo con un pennellino finissimo e collegammo le parti rimaste in migliori condizioni alle lacune maggiori. Erano tratti debolissimi e finissimi che non dovevano assolutamente urtare l’originale ma condurre l’occhio a cogliere nell’insieme ciò che Cimabue ci voleva trasmettere.» (O. Cosazza)

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Contesti d’arte - volume 1
Contesti d’arte - volume 1
Dalla Preistoria al Gotico