L’architettura privata: case e ville

9.3 L'architettura privata: case e ville

La dimora patrizia

I recenti scavi tra il Foro romano e il Palatino hanno fornito molte nuove notizie sulle dimore dei patrizi più facoltosi e potenti della Roma repubblicana. La casa meglio conservata è la cosiddetta Domus 3 (21), il cui primo impianto risale agli ultimi anni del VI secolo a.C., tra la fine del periodo regio e gli inizi dell’età repubblicana. Vicinissima al Foro, aveva la porta d’ingresso in mezzo a una fila di botteghe, sulla via Sacra (la strada che, attraversando il Foro romano, saliva al Campidoglio).
Come già spiegava Vitruvio nel De architectura, la domus (22), la casa cittadina dell’aristocratico, doveva mostrare il prestigio del suo proprietario, che vi svolgeva le attività pubbliche connesse al suo ruolo sociale. La casa doveva quindi avere, innanzitutto, ambienti di rappresentanza destinati a ricevere i  clientes di ceto inferiore e i propri pari, con cui trattare di politica e affari.
Alla tipica struttura della domus romana si accedeva attraverso un vestibulum e uno stretto locale d’ingresso, chiamato fauces ("gola"). Da qui si giungeva nell’ambiente centrale, l’atrio, di forma quadrata e parzialmente coperto. Era questo il vero cuore della casa, che in origine ospitava il focolare, da cui deriva forse il suo nome (l’aggettivo latino ater significa "scuro"). Al centro dell’atrio una vasca, l'impluvium, raccoglieva l’acqua piovana, scaricandola in una cisterna sotterranea. In prossimità dell’ingresso si apriva un altro grande ambiente, il tablinum, uno spazio di rappresentanza in cui il proprietario, seduto su un seggio, riceveva i clientes, mentre in un’altra grande stanza, il triclinium, venivano invece ricevuti gli ospiti di riguardo durante i banchetti. A destra e a sinistra dell’impluvium si aprivano le alae, ambienti in cui si svolgeva la vita quotidiana. Da una delle alae, in genere, si poteva accedere a un lungo spazio scoperto, l'hortus (il giardino), utilizzato per coltivare fiori e frutta; dal II secolo a.C. si diffonde invece, su modello ellenistico, l’uso del peristilium, un grande giardino porticato. Intorno all’atrio trovavano posto anche le camere da letto (cubicula), lo spazio per i lavori femminili e gli ambienti di servizio (cucine, dispense, latrine).

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Le abitazioni comuni

In tutte le città, oltre a quella della domus, era diffusa un’altra tipologia di casa, decorosa anche se abbastanza comune, in cui dimoravano famiglie abbienti di origine non patrizia. Molti esempi di queste abitazioni comuni, descritte anche da Vitruvio, si trovano con poche varianti a Pompei, la città della costa campana distrutta dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. 

Casa del Chirurgo 

Tra le abitazioni più antiche di Pompei vi è la Casa del Chirurgo (23-24), così chiamata per la professione del suo proprietario, di cui sono stati rinvenuti gli strumenti durante gli scavi. Lo schema è in realtà lo stesso della Domus 3 di Roma, sebbene gli ambienti siano meno numerosi e di dimensioni più modeste: l’atrio centrale, scoperto, è qui l’ambiente più spazioso, ed è separato dalla strada da strette fauces. Simmetrico all’ingresso si trova il tablinum, aperto sull’atrio così come le alae, ridotte di dimensioni ma sempre con l’uso di locali comuni. Dall’atrio prendevano luce anche tutte le altre stanze. Attraverso il tablinum si accedeva al cortile posteriore, poi trasformato con l’aggiunta di depositi e altri ambienti. 
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Casa del Fauno 

La più grande delle dimore pompeiane a oggi conosciuta è la cosiddetta Casa del Fauno, che prende il nome dalla statuetta bronzea originale del Fauno (che in realtà rappresenta un satiro danzante) posta al centro dell’impluvium (25).
Questa grande casa, con ingresso su via della Fortuna, presenta elementi propri delle ricche dimore greco-ellenistiche. È dall’ambiente greco, infatti, che si diffonde nell’edilizia privata romana il peristilio, lo spazio interno alla domus circondato da colonnati e ornato di statue.
Sappiamo che i proprietari della Casa del Fauno, che inizialmente abitavano in una casa molto simile a quella del Chirurgo, avevano in seguito comprato anche alcuni lotti edificati adiacenti, realizzando una grande dimora dotata di due fauces, due atrii, due serie di ambienti circostanti agli atrii, adibiti nel primo caso ad ambienti di rappresentanza, e nel secondo caso a stanze di servizio (26).
Nel corso del II secolo a.C. i proprietari comprarono altre case, che abbatterono per costruire lo splendido peristilio, sul quale si apriva anche un lussuoso ambiente ornato dal mosaico con la Battaglia di Alessandro. In seguito realizzarono un grande giardino, intorno al quale furono disposti piccoli ambienti di servizio. Anche il giardino sarà poi circondato da 46 colonne doriche, in laterizi rivestiti di stucco. L’atrio, con i suoi 16 metri di lunghezza, è a oggi il più grande ritrovato in tutta Pompei.
Tra gli interventi realizzati durante l’ampliamento della struttura vi è la costruzione di un nuovo ingresso, in corrispondenza dell’atrio tetrastilo (con quattro colonne), che rende indipendente l’area privata dell’abitazione.
Alle pareti della villa sono stati rinvenuti resti di decorazione pittorica del I stile pompeiano, caratterizzato da fasce orizzontali e decorazioni ( p. 250).

Le insulae

È invece rimasto poco delle abitazioni dei plebei meno abbienti, che costituivano la stragrande maggioranza della popolazione. Dalle fonti letterarie sappiamo che vivevano in piccoli appartamenti in affìtto, spesso fatiscenti, oppure in pergulis, cioè in soppalchi ricavati nei retrobottega, oppure, ancora, direttamente nei magazzini e nelle stalle in cui durante il giorno svolgevano la propria attività lavorativa.
Gli edifici destinati alla plebe, le insulae (che potremmo oggi chiamare "caseggiati"), raggiungevano altezze notevoli ed erano edificati uno addossato all’altro per risparmiare materiale nella costruzione delle pareti. Molte parti erano in legno, non vi era alcun rispetto delle norme igieniche e, soprattutto, erano privi di canne fumarie: tutti elementi che li rendevano soggetti a crolli e a incendi. Un importante esempio di questo tipo di costruzione è stato rinvenuto negli scavi di Ostia Antica. Questa insula – detta Caseggiato di Diana (27) per la presenza nel cortile di una terracotta raffigurante la divinità – risale al II secolo d.C. ed è costituita da una serie di botteghe al piano terra e da un alzato di due piani, dove erano situate le abitazioni. La latrina e la fontana da cui attingere l’acqua erano in comune a tutti i condomini.
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Le ville aristocratiche

Alla domus patrizia corrispondeva, fuori dallo spazio urbano, la villa. Molte ville si trovavano all’interno di vaste proprietà rurali; altre erano appena fuori dalle mura cittadine. In un caso o nell’altro, la villa aveva una doppia vocazione: era centro della produzione agraria e luogo di soggiorno del proprietario, il dominus. Di conseguenza aveva spesso una pars rustica, dove si svolgevano le attività produttive, e una pars dominica, destinata al riposo e allo svago del proprietario, oltre che all’esibizione del suo status sociale.
Nel corso del II secolo a.C. la produzione agricola si orientò essenzialmente verso colture intensive come la vite e l’olivo. Parallelamente, crebbe il gusto per la vita di campagna, da dove il dominus poteva curare direttamente i propri interessi economici o dedicarsi alla cultura o allo svago, le due componenti essenziali dell’otium, il tempo dedicato alla vita privata e agli studi.

Villa dei Misteri 

Molte ville di età repubblicana erano costruite in posizione dominante su una basis villae, una superficie piana realizzata artificialmente e poggiata su portici a volta, con lo scopo di garantire la tenuta del terreno. Tale era per esempio la struttura della cosiddetta Villa dei Misteri (28), situata poco fuori dalle porte di Pompei e risalente, nel suo impianto originario, alla fine del II-inizi del I secolo a.C.
Il corpo centrale è una grande costruzione a pianta quadrangolare, con l’accesso dalla parte più elevata. Sullo stesso asse sono posti il vestibolo, il grande peristilio, fulcro dell’intera costruzione, e quindi l’atrio, munito di impluvium, attorno al quale erano disposti gli ambienti residenziali, compresa la stanza con gli affreschi, il cui soggetto misterico ha dato il nome alla villa ( p. 251). Un portico circondava la villa su tre lati e dava sulla terrazza panoramica, da cui si godeva la vista del mare. La pars rustica occupava tutto il lato dalla parte dell’ingresso, e quindi della strada. Comprendeva magazzini per gli attrezzi agricoli e ambienti per la produzione del vino, come un grande vano con i torchi e la cella vinaria, dove era conservato il prodotto.

Villa di Settefinestre 

Tra le ville della tarda età repubblicana va annoverata anche quella di Settefinestre, vicino a Orbetello, nella Toscana meridionale (29). Fu edificata attorno al 40 a.C., quando le piccole proprietà agricole erano ormai quasi del tutto scomparse in favore di un sistema di ville rustiche basato sull’agricoltura intensiva e sull’uso degli schiavi. Situata su un poggio nell’immediato entroterra della colonia di Cosa, dominava una proprietà che comprendeva 125 ettari di terreno arativo e altrettanti di bosco e pascolo. L’impianto originario prevedeva una netta divisione tra pars dominica e pars rustica. Ouest’ultima si sviluppava attorno a una grande corte, con ambienti destinati ai magazzini, agli alloggi delle maestranze, al ricovero degli attrezzi agricoli e ai processi produttivi: i torchi e il serbatoio vinario connesso alla cantina ne testimoniano la principale attività.
Al di là della grande corte si accedeva al nucleo centrale della zona residenziale, leggermente sopraelevata dalla basis villae e impostata su un asse centrale con atrio e peristilio. Su due lati correva un portico con colonne ioniche e mosaici in bianco e nero, che si apriva a ovest su un giardino porticato, e verso nord su un secondo giardino con un recinto a torrette, che imitava le mura urbane.
Intorno alla fine del I secolo d.C., abbandonata la coltivazione della vite a favore di un ritorno alla cerealicoltura e all’allevamento, la villa perse il proprio carattere di residenza con un incremento degli ambienti destinati alla produzione, a testimonianza di come i proprietari ne affidassero ormai la conduzione a personale subordinato. Gli scavi archeologici attestano l’abbandono definitivo della struttura dalla fine del II secolo d.C., destino comune a molte altre ville rustiche delle campagne italiche.
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Le ville marittime e lacustri

Dal desiderio di godere della vista del mare nacque un’altra tipologia di villa: quella marittima. Sappiamo dalle fonti letterarie che Scipione ne aveva una presso Pozzuoli, mentre Mario, Pompeo e Cesare possedevano ville a Baia, presso Napoli. Sulle coste del Lazio e della Campania abbondano ancora i resti di queste costruzioni, ma sono presenti un po’ ovunque, anche sulle sponde dei laghi. Talvolta erano dotate di impianti artificiali per allevare i pesci, le cosiddette peschiere.

Villa dei Papiri 

La cosiddetta Villa dei Papiri (30), forse appartenuta a Lucio Calpurnio Pisone, fu una delle prime a essere scavata a Ercolano, alla metà del Settecento. Essa ha restituito moltissimi tesori, tra cui una ricca biblioteca di papiri (alla quale deve il nome), pregiate sculture in marmo e in bronzo, mosaici e affreschi. All’epoca, la villa si trovava ancora sepolta sotto la colata di lava solidificata che ne aveva imprigionato le strutture, ed era raggiungibile solo attraverso una serie di pozzi e cunicoli. Scavi più recenti hanno confermato le ipotesi elaborate nel Settecento circa la sua struttura e la sua pianta e, negli anni Novanta del secolo scorso, si è proceduto a un nuovo scavo a cielo aperto; ancor più recentemente, infine, sono iniziate operazioni volte a risanare la villa dalle infiltrazioni d’acqua proveniente dal terreno. Costruita nel I secolo a.C. su una serie di terrazze per una lunghezza di più di 250 metri, la villa si trovava allora lungo la linea di costa a strapiombo sul mare. Era composta da più zone: un grande peristilio rettangolare, al quale, a ovest, si appoggiavano alcune strutture in direzione di un terrazzo che terminava in un belvedere circolare; un corpo centrale formato da atrio, tablino e peristilio; vari ambienti sul lato orientale.

Villa di Catullo 

La cosiddetta Villa di Catullo a Sirmione (31), chiamata anche "Grotte di Catullo", è un esempio di villa tardorepubblicana che si inserisce nella categoria delle residenze signorili di tipo chiuso, su sostruzioni (strutture sotterranee di sostegno) anche se presenta analogie con le ville marittime disposte su terrazze. Costruita sulla punta estrema della penisola di Sirmione, sul Lago di Garda – il più importante di tutta l'Italia settentrionale –, la Villa prende il nome dal poeta Catullo (Verona 84 a.C.-Roma 54 a.C.), che trascorse parte della sua vita nella zona e che cantò la città di Sirmione nei suoi versi. Il nome "grotte" deriva invece dall’usanza rinascimentale di definire grotte le rovine sepolte, nelle quali si entrava come in cavità naturali. Il complesso fu edificato alla fine del I secolo a.C., dopo la demolizione di un edificio più antico, su una superficie di più di 2 ettari. L’orientamento e la forma rettangolare, con due avancorpi sui lati brevi, permettevano di godere della vista panoramica verso il lago. I resti oggi visibili si trovano su più livelli e testimoniano l’importante lavoro di progettazione che ha permesso, con sostruzioni e tagli della roccia, di edificare la villa.
GUIDA ALLO STUDIO
Domus patrizie
  • Case cittadine dei patrizi
  • Rispecchiano il prestigio del proprietario
  • Contengono ambienti di rappresentanza
Case comuni
  • Case delle famiglie abbienti non patrizie
  • Molto diffuse e dignitose
  • Dimensioni modeste
Insulae
  • Case dei plebei meno abbienti
  • Strutture alte e addossate l’una all’altra
  • Molte parti in legno
Ville di campagna, marittime e lacustri
  • Di proprietà dei patrizi
  • Centri di produzione agraria
  • Luoghi di soggiorno per lo svago e l’otium del dominus

Contesti d’arte - volume 1
Contesti d’arte - volume 1
Dalla Preistoria al Gotico