L’architettura romana e i suoi modelli

9.2 L'architettura romana e i suoi modelli

Le immense ricchezze che giungono a Roma a seguito delle conquiste militari, tra la fine del III e gli inizi del II secolo a.C., spingono la classe dirigente romana ad adeguare l’aspetto della città allo splendore delle maggiori capitali del mondo ellenistico. Talvolta sono gli stessi generali vittoriosi a finanziare la creazione di nuovi complessi monumentali, tra cui, in particolare, i portici colonnati, spesso costruiti su più piani come nelle città ellenistiche, e le basiliche, nate come sedi per le assemblee, per la gestione degli affari e per l’amministrazione della giustizia.

I portici

II primo portico di tipo ellenistico viene fatto erigere nel 168 a.C. dal pretore (e poi console) Gneo Ottavio, a seguito del suo trionfo in Macedonia. L’edificio, che da lui prendeva il nome di Porticus Octavia (da non confondere con la Porticus Octaviae, di epoca posteriore), era a doppia navata, e nei capitelli in bronzo, probabilmente importati dalla Grecia, mostrava il nuovo gusto per il lusso degli ornamenti architettonici.
Dopo l’esempio della Porticus Octavia, nel Campo Marzio viene fatto costruire, dal censore Quinto Cecilio Metello Macedonico, un quadriportico a due navate (14) per recingere un tempio preesistente dedicato a Giunone Regina (del 179 a.C., ma poi rimaneggiato) e un nuovo tempio dedicato a Giove Statore ("colui che ferma"). La recinzione porticata, una soluzione innovativa per Roma, si richiama direttamente ai modelli ellenistici. Anche il Tempio di Giove Statore rappresenta una novità: iniziato nel 146 a.C. e inaugurato forse nel 131 a.C., è il primo tempio marmoreo costruito a Roma, per il quale Metello fa venire dalla Grecia l’architetto Ermodoro di Salamina. Il tempio aveva sei colonne sulla facciata e un colonnato sui due lati lunghi; era privo di colonne, invece, il lato posteriore, che si adeguava in questo modo alla tradizione italica (peripteros sine portico). La Porticus Metelli verrà sostituita alla fine dell’età repubblicana dalla più maestosa Porticus Octaviae, che prende il nome dalla sorella di Ottaviano Augusto, Ottavia.

Le basiliche e il nuovo aspetto del Foro

Le maggiori trasformazioni urbanistiche avvengono nel cuore della città, nell’antico Foro, le cui prime costruzioni, legate alle attività politiche, religiose, giuridiche e commerciali, risalivano al VII secolo a.C. Nel corso del II secolo il Foro viene attorniato dai colonnati di ben quattro basiliche (15), grandi edifici dalla pianta rettangolare, divisi all’interno in navate da file di colonne. La prima, la Basilica Porcia, è voluta nel 184 a.C. dal censore Marco Porcio Catone, che la fa costruire su terreni da lui stesso acquistati; sorgeva accanto alla sede del Senato e doveva servire soprattutto per i grandi processi (sarà distrutta da un incendio nel 52 a.C.). Sui lati lunghi del Foro vengono edificate altre due basiliche: la Basilica Sempronia, fatta erigere nel 170 a.C. da Tiberio Sempronio Gracco (padre dei due tribuni della plebe Gaio e Tiberio), al cui posto sorgerà poi la Basilica Giulia; e la Basilica Emilia. Infine, sul lato breve del Foro che dà sul Campidoglio, sorge nel 121 a.C. la Basilica Opimia, finanziata da Lucio Opimio.

LE FONTI

A proposito del fascino che i tesori artistici di provenienza greca esercitavano sulla classe aristocratica, Catone (politico e generale romano, 234-149 a.C.) mette in guardia: «Spesso mi avete udito parlare contro le spese delle donne, spesso di quelle degli uomini e non soltanto dei privati ma anche dei magistrati, denunciando i due opposti vizi, avarizia e lusso, che travagliano la città, pesti che mandarono in rovina tutti i grandi imperi. E quanto più le sorti della Repubblica divengono felici e propizie di giorno in giorno – siamo già passati in Grecia e in Asia, ricolmi di tutte le lusinghe e di tutti piaceri viziosi e abbiamo steso le mani anche su tesori regali – tanto più inorridisco temendo che quelle ricchezze abbiano conquistato noi, anziché essere conquistate da noi. Infeste, credetemi, per questa città sono le statue portate da Siracusa. Già troppo sento lodare le opere di Corinto e di Atene e ridere delle immagini fittili degli dèi dei Romani! Io preferisco quei dèi propizi e spero che lo saranno se faremo in modo che possano rimanere nelle loro sedi.» (Livio, Ab urbe condita, XXXIV, 4)

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Basilica Emilia

L’unica delle quattro basiliche del Foro sopravvissuta fino all’età imperiale è la Basilica Emilia (16-17), voluta nel 179 a.C. dai censori Marco Emilio Lepido e Marco Fulvio Nobiliore e più volte restaurata dalla famiglia Emilia, di cui perpetuava il nome. Aveva tre navate, di cui quella centrale rialzata per permettere l’apertura di finestre per l’illuminazione; il lato che dava sul Foro aveva due ordini sovrapposti di sedici arcate ciascuno, sostenute da pilastri con semicolonne, per una lunghezza complessiva di 70 metri.

Tabularium

Ai tempi di Silla, tra l’80 e il 78 a.C., la prospettiva del Foro viene chiusa a nord-ovest dal grandioso Tabularium, che ospitava gli archivi pubblici in cui erano conservate le leggi e gli atti ufficiali, incisi su tabulae in bronzo (da cui il nome). L’edificio, posto sul Campidoglio, con i suoi 70 metri e più di lunghezza creava uno sfondo scenografico alla piazza. Aveva uno zoccolo in opus quadratum in tufo e pietra gabina, sormontato da una grande galleria a volta che si apriva verso il Foro in una serie di grandi arcate a tutto sesto, tre delle quali ancora visibili (18). Le arcate erano inquadrate da semicolonne doriche in pietra gabina, con capitelli e architrave in travertino, sopra le quali correva almeno un altro piano a colonne di ordine corinzio in travertino.

I santuari italici

Il confluire di grandi ricchezze nelle mani delle famiglie aristocratiche provoca il fenomeno dell’imitazione di modelli architettonici ellenistici anche fuori da Roma, nel Lazio, dove vengono eretti alcuni grandiosi santuari. È il caso, per esempio, del Santuario di Giove a Terracina, del Santuario di Giunone a Gabii, di quello di Giunone Sospita (Salvatrice) a Lanuvio e di Ercole Vincitore a Tivoli.

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Santuario della Fortuna Primigenia

Un importante esempio di questa tendenza architettonica è il Santuario della Fortuna Primigenia a Palestrina (Praeneste(19-20), costruito negli ultimi decenni del II secolo a.C. su ispirazione di edifici ellenistici a terrazze, come il Santuario di Atena Lindia sull'isola di Rodi. Di impianto fortemente scenografico, articolato su sei terrazze artificiali edificate simmetricamente rispetto a un asse centrale, l'edificio si arrampica per 90 metri sul monte Ginestro. Le terrazze sono collegate da rampe e scalinate di accesso; i muri di fondo delle terrazze sono realizzati in opus caementicium rivestito da opus poligonale e opus incertum. Le volte sono state ampiamente impiegate nelle strutture portanti o di fondazione e nelle nicchie, per poi essere mascherate con elementi rettilinei allo scopo di emulare l'aspetto dei modelli greci.
L’accesso al santuario avveniva direttamente dal Foro della città, tramite una serie di scalinate laterali, poste tra giganteschi muri, che portavano sino alla terza terrazza; da qui si accedeva a due rampe coperte che salivano alla terrazza successiva. Ci si ritrovava quindi nuovamente all’aperto, a una sensibile altezza, sulla quarta terrazza, dove aveva sede il culto oracolare, con il profondo pozzo sacro. La terrazza era chiusa verso il monte da un portico di ordine dorico, interrotto da due esedre (spazi semicircolari all’aperto) porticate con colonne ioniche, da cui il nome di "terrazza degli emicicli". Dal centro del portico partiva infine la ripida scalinata che portava alla quinta e poi alla sesta terrazza, detta "piazza della Cortina". Era un vasto piazzale a U, delimitato su tre lati da un doppio portico di ordine corinzio e con una cavea teatrale al centro del lato di fondo. La cavea era coronata da un doppio portico corinzio semicircolare, chiuso sul fondo da un muro, sopra il quale sorgeva un piccolo tempio a pianta circolare, con la statua della dea Fortuna in bronzo dorato. La dea (di cui è stata ritrovata la testa in marmo bianco) era raffigurata nell’atto di allattare Giove e Giunone, ed era collocata nell’emiciclo orientale del santuario. Questa connessione tra luogo di culto e cavea teatrale si ritrova anche in altri santuari laziali, e passerà in alcuni luoghi sacri romani.
GUIDA ALLO STUDIO
L’architettura pubblica a Roma
  • Influenza ellenistica tra III e II secolo a.C.
  • Risistemazione del Foro
  • Portici colonnati su più livelli
  • Basiliche che ospitano attività politiche, religiose, giuridiche e commerciali
  • Maestosi santuari terrazzati dedicati alle divinità

Contesti d’arte - volume 1
Contesti d’arte - volume 1
Dalla Preistoria al Gotico