MATERIALI E TECNICHE: I sistemi costruttivi

MATERIALI E TECNICHE

I sistemi costruttivi

Durante l’età repubblicana gli architetti e gli ingegneri romani, che in massima parte sono rimasti anonimi, si dedicano non solo a perfezionare tecniche più antiche – ispirandosi in primo luogo ai modelli greci – ma anche a testarne di nuove.
Sono soprattutto la sperimentazione e l’impiego di nuovi materiali, insieme alla particolare attenzione data all’utilità degli edifici, a differenziare la storia dell’architettura romana da quella greca.

I materiali

La capacità di sfruttare le materie prime locali – come per esempio il travertino, una pietra chiara che ricorda il marmo greco, e il tufo, una pietra più scura ma molto tenera, quindi facile da lavorare –, la messa a punto di nuove modalità nell’uso del mattone e soprattutto, a partire dal II secolo a.C., il largo impiego dell’opus caementicium (opera cementizia) sono gli elementi che contraddistinguono le tecniche costruttive dei Romani.

Sperimentata già dalla fine del III secolo a.C. e messa ampiamente in pratica dal II secolo a.C., la tecnica dell’opus caementicium comporta una vera e propria rivoluzione dei sistemi costruttivi. Si tratta di una tecnica edilizia che consiste nel riempire lo spazio tra due paramenti murari (cioè le parti a vista dei muri) con una mescolanza di malta (calce mista a sabbia o pozzolana) e caementa (pietre o ghiaia) che, solidificandosi, viene a costituire un corpo unico con i mattoni o le “tufelle” (i blocchi di tufo) dei paramenti. Tra le prime realizzazioni in opus caementicium va ricordato il Santuario della Fortuna Primigenia a Palestrina ( p. 217).

Una volta realizzati i paramenti murari, la loro superficie poteva essere rivestita di lastre di altri materiali, come il marmo e il travertino.

Il mattone

Nonostante l’immagine tradizionale di Roma antica come città di marmo, in realtà molte delle architetture urbane di età imperiale furono realizzate in mattoni: basti pensare alla Domus Aurea, al Foro e ai Mercati traianei o alle Terme di Caracalla. L’uso massiccio dell’opus testaceum negli edifici romani dell’epoca, destinati a essere rivestiti da intonaco o lastre di marmo, non è altro che il risultato del successo del mattone come materiale da costruzione. Il mattone cotto infatti, prodotto su scala industriale, era più facile da reperire, trasportare e mettere in opera. Lo studio delle dimensioni, della qualità e dei bolli (veri e propri marchi di fabbrica) dei mattoni contribuisce spesso a fornire la datazione di una struttura, anche se possono intervenire variazioni regionali o scelte personali del costruttore. Le tipologie più diffuse sono costituite dai grandi mattoni quadrati, impiegati così come erano o divisi in elementi rettangolari o più spesso triangolari: il bessalis (2/3 di piede per lato, da bessalis, “di otto”, cioè 8 parti di un tutto diviso in 12 parti, ossia i 2/3), il sesquipedalis (1 piede e mezzo per lato, da sesqui, “una mezza volta in più” e pedalis, “della misura di 1 piede”) e il bipedalis (2 piedi di lato, da bis, “due volte” e pedalis). L’uso dei mattoni interi o dei loro sottomultipli permetteva un efficace adattamento alle diverse necessità delle strutture, tanto che essi si trovano impiegati non solo per l’alzato degli edifici, ma anche per pavimenti, archi, pilastrini per suspensurae (pavimentazioni sospese) e addirittura colonne.

I paramenti murari

II paramento murario era chiamato in modi diversi a seconda del tipo di materiale impiegato e della diversa disposizione dei conci (cioè dei blocchi di pietra o dei mattoni).

a. Opus incertum: muratura realizzata con piccole pietre di grandezza e forma diverse.
b. Opus reticulatum:  muratura in cui le pietre (o i mattoni) piramidali sono inserite con la punta nella malta e le basi quadrate a vista, ruotate di 45 gradi, a formare un reticolato.
c. Opus vittatum: muratura composta da pietre di forma omogenea, in genere piccoli blocchetti, accostati in filari orizzontali.
d. Opus testaceum (da testa, "mattone cotto"): prevede l'utilizzo dei soli mattoni, di varie misure, ed è il paramento più usato dai Romani. Per le costruzioni più antiche, dove era impiegato il mattone crudo (in latino later), si parla invece di opus latericium .
e. Opus mixtum: "opera mista", perché raggruppa nello stesso paramento vari tipi di muratura (paramento in reticolato con ammorsatura a dente, cintura e ghiere in mattoni).
f. Opus poligonale: muratura formata da grandi blocchi di forma irregolare che vengono sovrapposti senza l’uso di malta.
g. Opus quadratum: muratura formata da grandi blocchi squadrati a parallelepipedo, impilati in filari uniformi.
h. Opus spicatum: muratura in cui le pietre (o i mattoni) di forma rettangolare sono disposte a spina di pesce.
i. Opus africanum: tecnica proveniente dall’Africa del Nord che prevede l’uso di catene portanti verticali formate da grandi pietre, che vengono poste sia in verticale sia in orizzontale; filari orizzontali di pietre più piccole riempiono infine gli spazi tra i filari portanti.

L'arco

Le grandi opere architettoniche e infrastrutturali romane non sarebbero state possibili senza l’impiego dell’arco e della volta. Come si è visto, l’arco non è invenzione romana; era già conosciuto (ma poco usato) dai Greci, e impiegato dagli Etruschi per gli ingressi monumentali. Sono tuttavia i Romani a sfruttare al massimo le potenzialità di questo elemento architettonico, impiegando l’arco a tutto sesto, cioè semicircolare, nelle loro costruzioni.

Dal punto di vista strutturale, l’arco offre grande stabilità e consente quindi la costruzione di edifici più alti. Grazie all’arco, inoltre, è possibile aprire una luce (la distanza tra gli elementi verticali di sostegno) più ampia rispetto a quella consentita dall’uso di un architrave, che non potrebbe reggere lo stesso peso senza spezzarsi. Infine, è possibile “scavalcare il vuoto” attraverso ponti, acquedotti e grandi porte.

La volta

Dall’applicazione dell’arco e dell’opus caementicium deriva la volta, la cui superficie curva permette la realizzazione di lunghi condotti e la copertura di sale molto grandi. I tipi di volta usati dai Romani furono prevalentemente la volta a botte e la volta a crociera, che è il risultato dell’intersezione di due volte a botte. Entrambe erano usate prevalentemente per la copertura di ambienti a pianta rettangolare.

Le più antiche volte in cementizio conosciute sono quelle della Porticus Aemilia (in latino porticus è femminile), un complesso di magazzini costruito tra il 193 e il 174 a.C. presso il porto fluviale di Roma – il cosiddetto Emporio – poco dopo l’Aventino. In seguito saranno usate arcate e volte in cementizio anche per ponti e acquedotti, sino ad arrivare alle grandi realizzazioni dell’epoca di Augusto e dei primi anni dell’Impero.

La cupola

Il modello dell’arco e della volta, unitamente alla tecnica della muratura in cementizio, ha permesso ai Romani di elaborare il sistema della copertura a cupola. La cupola nasce dalla rotazione completa di un arco intorno al proprio asse mediano ed è usata come copertura sia per gli edifici a pianta circolare sia per quelli a pianta quadrata: dal I secolo d.C. cupole e semicupole diventano elementi architettonici molto diffusi a Roma e in tutta l’area di influenza romana.

Contesti d’arte - volume 1
Contesti d’arte - volume 1
Dalla Preistoria al Gotico