La ceramica e la scultura etrusca

8.5 La ceramica e la scultura etrusca

La produzione ceramica

Nell’epoca villanoviana la produzione ceramica è caratterizzata dall’uso dell’impasto (argilla non depurata, modellata a mano e cotta), con il quale vengono prodotti contenitori di uso sia domestico sia funerario. Questi ultimi sono costituiti di norma da urne in terracotta a forma di capanna, come si è visto trattando dell’architettura civile, oppure da vasi biconici (46), cioè coperti da una ciotola rovesciata o da un elmo bronzeo; la decorazione è eseguita a incisione e  a impressione con motivi geometrici, come meandri semplici e spezzati, riquadri e metope, motivi angolari e svastiche. Col tempo i vasi cinerari si arricchiscono di appendici plastiche a tutto tondo, come nel cinerario di Montescudaio, risalente all’VIII secolo a.C. (47). Sul coperchio è rappresentata una scena di banchetto, con un commensale seduto a un tavolo riccamente imbandito; accanto vi è una donna (forse una schiava) e a terra un grosso contenitore, forse per il vino; sull’ansa è posta una figurina seduta. Un notevole impulso al perfezionamento dell’arte ceramica è dato dalle prime importazioni dalla Grecia: agli inizi dell’VIII secolo a.C. dall’Eubea e, in seguito, da Corinto. Inoltre, alcune maestranze greche e greco-orientali si trasferiscono a Vulci, a Tarquinia e a Cerveteri, dove aprono botteghe che producono una ceramica di imitazione – detta ceramica etrusco-corinzia – destinata a un pubblico più allargato.
A ceramisti di formazione ellenica, operanti a Cerveteri nella prima metà del VII secolo a.C., si deve probabilmente l’invenzione del bucchero (► p. 202), una ceramica nera, sia all’interno sia in superficie, ottenuta grazie a un particolare procedimento di cottura; prodotta esclusivamente in ambito etrusco, è l’unica a essere esportata fuori dall’Etruria. Da Cerveteri la produzione si estende a Tarquinia, Vulci, Orvieto e Chiusi, e forse anche ad altri centri che possono contare su botteghe locali. Utilizzato per realizzare vasellame destinato ai banchetti, si distingue, in base allo spessore, in bucchero sottile – come quello del kýathos o coppa su alto piede con ansa sormontante del VII secolo a.C. (48) – e in bucchero pesante, di epoca successiva.
Con l’importazione di ceramiche da Atene, si diffondono anche in Etruria le tecniche a figure nere e a figure rosse. Tra i maggiori esponenti della tecnica a figure nere, si ricorda il Pittore di Micali, di formazione ionica, trasferitosi a Vulci alla fine del VI secolo a.C. Tra le opere attribuite a questo ceramografo vi è un’anfora (49) decorata con due fasce, una sulla spalla e una sul corpo, con rappresentazioni di animali reali e animali fantastici, questi ultimi particolarmente cari al repertorio etrusco.
La ceramica etrusca è caratterizzata anche da tipiche produzioni locali: i crateri a colonnette volterrani (kelébai), la cosiddetta ceramica argentata e quella a vernice nera. Le kelébai, sebbene ispirate nella forma al cratere a colonnette di tradizione greca, hanno funzione prevalentemente funeraria. Uno tra gli esemplari più noti è la kelébe conservata a Perugia e datata alla seconda metà del IV secolo a.C. È un vaso eponimo (che cioè dà il nome al proprio autore) del Pittore di Esione (50): vi è rappresentato Eracle che libera Esione, figlia del re di Troia, dalla roccia cui era stata incatenata.
La ceramica argentata, invece, prodotta nelle città di Falerii e Orvieto, non presenta elementi dipinti, bensì decorazioni stampate a rilievo, ed è rivestita da una pellicola bianco-grigia che intendeva imitare l’effetto cromatico delle superfici dei vasi in metallo pregiato. Anche la produzione a vernice nera, una ceramica fine dal colore nero uniforme, molto brillante, presenta talvolta riflessi iridescenti che ricordano i materiali metallici. È prodotta, con alcune varianti, in Etruria e in molte aree del Mediterraneo.

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La scultura in pietra

Le prime sculture in pietra risalgono alla fase Orientalizzante e sono legate al culto degli antenati. Nella camera superiore del tumulo della Pietrera di Vetulonia, per esempio, una serie di sculture in arenaria riproduce figure maschili e femminili in atteggiamenti rituali. Tra i monumenti in pietra che avevano la funzione di segnacoli tombali, invece, vi sono le stele in rilievo volterrane e fiesolane del VI secolo a.C. e i cippi funerari chiusini (51).
Vulci si distingue per la scultura monumentale in pietra, e in particolare per una classe di sculture in nenfro (una varietà di tufo grigio), che venivano poste a guardia dei sepolcri degli aristocratici e raffiguravano centauri, pantere, arieti e leoni. Di produzione vulcente è il gruppo del Fanciullo che cavalca l’ippocampo (52), simbolo dell’attraversamento dell’Oceano verso l’aldilà. Il volto del fanciullo, in stile ionico, è caratterizzato dal sorriso e dagli occhi a mandorla, i capelli sono formati da massa unica e il tutto è reso armonioso dalle linee curve e sinuose del corpo del fanciullo e di quello del pesce, di cui si è perduta la testa, probabilmente equina. La produzione in pietra comprende anche i sarcofagi di Tarquinia, Cerveteri e Chiusi, da dove provengono anche le tipiche statue-cinerario chiusine, tutte opere che risentono ancora dell’arte classica. Lo stile ellenistico, invece, influenza le maestranze volterrane che si specializzano nella creazione di urnette cinerarie in alabastro, materiale tipico della zona di Volterra (53).
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I bronzi

Tra le migliori realizzazioni della bronzistica figurano i Bronzi di Brolio (54), risalenti alla tarda fase Orientalizzante e forse di fattura chiusina. Si tratta di statuette-cariatidi a foggia di figura femminile o di guerrieri, usate come sostegno per vasi.
Della grande statuaria fanno invece parte la Lupa capitolina e la Chimera d’Arezzo. La Lupa capitolina (55), conservata ai Musei Capitolini, è stata oggetto di un recente restauro, a seguito del quale si è messa in dubbio la sua origine etrusca. L’ipotesi attualmente accreditata tra archeologi e storici dell’arte è che si tratti del calco di un’opera antica realizzato in epoca medievale. Sono sicuramente aggiunte di fine Quattrocento inoltre, le figure dei due gemelli, Romolo e Remo, che secondo il mito sarebbero stati allattati dalla lupa.
Si pensa sia stata realizzata da un’équipe di artigiani, con partecipazione di maestranze magno-greche ed etrusche, la Chimera di Arezzo (56), una statua del mitico mostro che gli Etruschi avevano ereditato dalla mitologia greca. Offerta alla divinità Tinia, il cui nome è inciso sulla zampa, la Chimera ha il corpo e la testa di leone (a grandezza quasi naturale), un serpente al posto della coda e una testa di capra sul dorso. Le fauci sono spalancate e le zampe anteriori distese, nella posa tipica dell’animale che si ritrae per difendersi dal nemico, probabilmente il mitico eroe Bellerofonte, incaricato dal re di Licia di ucciderla.
La bronzistica etrusca comprende anche la ritrattistica, che fa riferimento a quella greca e romana. In questo campo, i massimi esiti sono dati da alcune teste in bronzo (frammenti di statue andate perdute) e dalla statua di Aule Meteli, meglio noto come l'Arringatore (57). Il bronzo, datato tra la fine del II e gli inizi del I secolo a.C., ritrae un uomo etrusco divenuto cittadino romano, come mostra la toga che indossa, con il braccio destro sollevato, e rappresenta un chiaro esempio di interpretazione, in ambito etrusco, dei canoni stilistici e formali della romanità.
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La coroplastica

Le prime grandi realizzazioni di  coroplastica, compiute per decorare il Palazzo di Murlo, risalgono al VI secolo a.C. La statua acroteriale nota come il "cow-boy", per via del cappello a falda larga, simboleggiava secondo alcuni studiosi la figura di un antenato (58) ed era inserita, con altre statue simili, tra creature fantastiche, come sfingi e grifi, che mostrano influssi ionici mediati dalla colonia greca di Metaponto.
In ambito funerario, l’influenza ionica è evidente anche nella produzione di vasi cinerari dell’area chiusina: i canopi (59). Inizialmente questi vasi venivano "umanizzati" tramite l’applicazione di una maschera sul coperchio; in seguito, modellando il coperchio in forma di testa umana o conferendo all’intero vaso le sembianze di un personaggio seduto su un trono.
Anche le scuole etrusche ceretane (cioè di Cerveteri) risentono degli influssi stilistici ionici. A un maestro che opera a Cerveteri, forse di origine metapontina, vanno infatti attribuiti due grandi pseudo-sarcofagi degli sposi conservati nei musei di Villa Giulia e del Louvre. In quest’ultimo (60), i due sposi sono distesi sulla kline, il tipico letto su cui si consumavano i pasti; le figure appaiono stilizzate e si ispirano ai koúroi della Grecia arcaica, cui assomigliano anche per il sorriso e gli occhi a mandorla.
GUIDA ALLO STUDIO
La ceramica etrusca
  • Vasi cinerari e di utilizzo domestico
  • Uso dell’impasto
  • Decorazioni geometriche a incisione e a impressione
  • Invenzione del bucchero
  • Tecnica a figure nere e a figure rosse
La scultura etrusca

Culto degli antenati

  • Pietra: Cippi funerari, sculture in nenfro e sarcofagi
  • Bronzo: Statuette-cariatidi e ritrattistica
  • Terracotta: Vasi cinerari e pseudo-sarcofagi

Contesti d’arte - volume 1
Contesti d’arte - volume 1
Dalla Preistoria al Gotico