Contesti d’arte - volume 1

Skopas

Nato nell'isola di Paro e attivo, come il contemporaneo Prassitele, tra il 375 e il 330 a.C., Skopas venne definito maestro del pathos, ossia della rappresentazione dell'intensità dei sentimenti e delle passioni

Frontoni del Tempio di Atena Alèa

Di tutta la sua produzione oggi conserviamo in originale solo i frammenti dei frontoni realizzati per il Tempio di Atena Alèa a Tegea, in Arcadia, di cui fu anche architetto. La scelta del soggetto raffigurato mostra un allontanamento dal modello classico, legato ai grandi miti delle divinità olimpiche: Skopas predilige le narrazioni mitiche locali, che gli permettono di rappresentare eroi più vicini alla natura umana e alle sue passioni. Proviene dal frontone occidentale dedicato alle imprese dell'eroe locale Telefo (figlio di Eracle e Auge) una testa di guerriero con elmo (48): le superfici sono tese e rigonfie, i particolari del volto sono ravvicinati tra loro, la bocca è dischiusa nello sforzo, mentre l'approfondimento delle orbite e il volgersi verso l'alto degli occhi infossati conferiscono allo sguardo un'intensa espressione. Con tali espedienti Skopas crea un nuovo linguaggio espressivo, intenso e patetico, con cui probabilmente era resa nel frontone la concitazione della lotta mitica.

Menade

La torsione che Skopas applicava alla solidità dei corpi è evidente nella piccola statua di Menade (seguace del culto orgiastico di Dioniso) (49), celebre copia romana conservata a Dresda. Il furore dionisiaco del soggetto ben si presta alla ricerca espressiva di Skopas, che rovescia all'indietro la testa della fanciulla e ne scompiglia la capigliatura, mentre anche il succinto chitone si apre al ritmo tumultuoso della danza.

Pothos

Skopas realizzò per il santuario di Afrodite nella città di Megara statue raffiguranti Eros, Imeros e Pothos (tre aspetti dell’amore) che testimoniano anch’esse una nuova sensibilità per la rappresentazione dei sentimenti umani. Restano solo copie marmoree della statua di Pothos (50), in cui la divinità viene umanizzata e ritratta in un atteggiamento di languore e abbandono che ricorda lo stile prassitelico, accentuato però dalle gambe incrociate, dalla testa che ricade all’indietro e dagli occhi incavati a esprimere un desiderio nostalgico.

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Leochares

Lo scultore Leochares, ateniese come Prassitele e attivo forse fino al penultimo decennio del IV secolo a.C., fu celebre per aver saputo dare alle sue creazioni il senso del divino. Dalle fonti letterarie si sa che egli seguì la tradizione classica nella realizzazione di sculture dedicate agli dèi olimpici: uno Zeus per l'Acropoli di Atene, uno per il suo porto, il Pireo, e un Ganimede (fanciullo rapito da Zeus trasformatosi in aquila), forse raffigurato da una copia conservata nei Musei Vaticani (51). Fu poi particolarmente apprezzato dal re di Macedonia Filippo II, per il quale realizzò, tra il 338 e il 336 a.C., le statue crisoelefantine che riproducevano il sovrano e i familiari nel Philippeion di Olimpia (il tempio circolare dedicato da Filippo dopo la vittoria di Cheronea).
Ma soprattutto Leochares è ricordato per aver realizzato in più occasioni, per le città di Atene e di Siracusa, sculture che avevano come soggetto il dio Apollo, da cui la tradizionale attribuzione a Leochares del celebre Apollo del Belvedere ( p. 145).

Il Mausoleo di Alicarnasso

Quando, nel 377 a.C., il governatore della provincia persiana della Caria, Mausolo, decise di farsi costruire un monumento funebre, chiamò ad Alicarnasso (l’odierna Bodrum, in Turchia) i più importanti artisti dell’epoca.
La costruzione dell’immenso edificio fu affidata agli architetti greci Pizio e Satiro per il progetto, e ad alcuni dei maggiori scultori del tempo per la decorazione: vi lavorarono Leochares, Skopas, Timoteo e Briasside. Quando Mausolo mori, nel 353 a.C., il monumento non era ancora finito e i lavori furono seguiti dalla sorella (e moglie) Artemisia. Alto più di 40 metri e costruito in marmo bianco, il mausoleo, di cui oggi non rimangono che poche rovine, era considerato una delle sette meraviglie del mondo ed è sulla base delle descrizioni antiche e sui frammenti che ne rimangono (inglobati nel vicino Castello di San Giovanni) che è stato possibile ricostruirne l’aspetto generale. Su un alto  zoccolo diviso in tre gradoni si ergeva un vero e proprio tempio, circondato da una peristasi di dieci colonne ioniche per lato, sopra la quale una piramide anch’essa a gradoni culminava nella quadriga di Mausolo (52).
La decorazione scultorea era ricchissima: oltre 360 statue a tutto tondo, tra animali e figure umane, e tre fregi, che correvano intorno al basamento e ai piedi della quadriga. Dell’intero complesso decorativo si è conservata solo una minima parte, ossia alcune lastre del fregio con l'Amazzonomachia (53): troppo poco per poter distinguere i diversi interventi dei quattro scultori. Nonostante i combattenti compongano gruppi piramidali, nei quali prevalgono le linee diagonali, con un equilibrio nell’organizzazione dello spazio che rimanda alla tradizione classica, il movimento delle figure, la drammaticità della lotta e la resa fluttuante dei drappeggi hanno fatto pensare alla mano di un artista innovatore come Skopas. Tra le statue a tutto tondo le uniche due ben conservate, a lungo interpretate come le raffigurazioni di Mausolo e Artemisia, sono probabilmente due figure di dignitari o di antenati del re che ornavano gli spazi tra le colonne (54). Le forme solide e compatte del presunto Mausolo, avvolte in un panneggio pesante, gli conferiscono un grande realismo, accentuato dalla resa del volto pieno, con forti arcate sopracciliari e grandi masse carnose incorniciate dalla barba e da una capigliatura fluente.

Contesti d’arte - volume 1
Contesti d’arte - volume 1
Dalla Preistoria al Gotico