ANALISI D'OPERA - Auriga di Delfi

Analisi D'opera

Auriga di Delfi

  • 478-470 a.C.
  • bronzo, con inserti in pasta vitrea e lamina di rame, h 180 cm
  • Delfi, Museo Archeologico (dal Tempio di Apollo a Delfi)

L'Auriga indossa una lunga e pesante veste, stretta in vita, che copre interamente la figura creando ampie pieghe diritte: questo era l'abbigliamento tipico dell'auriga, con cui si ritrova rappresentato anche nelle scene vascolari del periodo.       

L’Auriga di Delfi è considerato il più antico tra i grandi bronzi giunti fino a noi. Si è conservato perché sepolto da una frana delle rupi Fedriadi, che sovrastano il Santuario di Apollo a Delfi, dove è stato scoperto nel 1896. La presenza di altri frammenti e di una base ha indotto a credere che non si trattasse di una statua isolata, ma di una scultura facente parte di un gruppo che comprendeva un carro da corsa trainato da cavalli e altri personaggi. Il gruppo statuario raffigurava molto probabilmente la sfilata di un auriga vincitore ai Giochi Pitici, che si svolgevano a Delfi ogni quattro anni. La dedica fatta incidere sulla base da Polyzalos, tiranno di Gela, permette di datare l’opera tra il 478 e il 470 a.C., mentre secondo una delle interpretazioni della firma dello scultore l’opera sarebbe da attribuire a Sothadas di Tespie.

Descrizione

L’Auriga, raffigurato in piedi a grandezza naturale, è mutilo del braccio sinistro; nella destra tiene ancora le redini. La leggera inclinazione della testa e la posizione dei piedi, obliqui rispetto al volto, dimostrano una ricerca di movimento che si inserisce bene in questo periodo di affrancamento dall’arcaismo. Tuttavia, la posizione eretta rende statica la figura, che nel complesso riassume tutti i caratteri dello stile severo: il cranio robusto e tondeggiante; le tese superfici del volto, colto nel fiore della giovinezza, che non lasciano trasparire emozioni ed espressività; la cesellatura delle ciocche aderenti alla testa, fissate dalla benda e poi libere in riccioli intorno alle tempie; il volto reso realistico dai particolari senza che la sua perfezione ne venga compromessa; l’architettonica semplicità del chitone; la tensione dei muscoli dell’avambraccio e dei tendini delle caviglie, nonché la precisione dei dettagli dei piedi.
Fusa in parti separate e poi assemblata, la statua è un esempio delle possibilità offerte dalla lavorazione del bronzo. Il bronzo permetteva infatti un raffinato e accurato lavoro di cesello nella resa dei particolari o – se questi erano realizzati con metalli diversi dal bronzo – il loro inserimento nella statua. Nel caso dell’Auriga, è stato usato il rame per le labbra, rese a intarsio, e per le ciglia e le sopracciglia, formate da sottili lamine; la benda sul capo è stata decorata inserendo argento e rame all’interno di scanalature praticate nel bronzo (ageminatura); le cavità oculari, infine, sono state riempite di pasta di vetro smaltata.

Forma, funzioni e idee

Per comprendere a pieno l’opera va ricordato il ruolo che il mondo greco riconosce alla competizione sportiva in generale, e al tema della corsa in particolare.
Il filosofo Eraclito paragona il Cosmo a uno stadio in cui il Giorno e la Notte corrono una doppia corsa, sotto il controllo di un arbitro mediatore, il Sole, definito garante e principe dell’ordine universale. A questo si aggiunge il significato metaforico che la corsa con la quadriga assume nella Sicilia delle tirannidi: il tiranno, che è guida della comunità, partecipa alle corse per rendere manifesto il suo valore, la sua abilità nel condurre e guidare il carro, nonché il suo coraggio come atleta (cui tradizionalmente il mondo greco attribuisce anche qualità morali).
Quella dell’auriga dunque è un’immagine che ha un valore anche politico: se da un lato celebra la vittoria del tiranno nella competizione, dall’altro ne rafforza l’immagine di guida e comando, svolgendo quindi un ruolo di propaganda e legittimazione del potere monarchico.

Contesti d’arte - volume 1
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Dalla Preistoria al Gotico