Alla scoperta dei testi

T1

Il pianto di Gilgamesh

  • Tratto da tavola VIII, vv. 1-55
  • Lingua originale accadica

Dall’incontro tra Gilgamesh ed Enkidu, il figlio della steppa, è nata una grande amicizia, che ha reso i due eroi inseparabili. Insieme compiono imprese memorabili, come l’uccisione del mostro Khubaba e del Toro celeste. Gli dèi, tuttavia, riuniti in assemblea, decidono di far morire uno dei due amici, Enkidu, perché colpevole insieme a Gilgamesh di aver superato i limiti dell’agire umano. Dopo dodici giorni di agonia Enkidu si solleva dal letto e chiama a gran voce Gilgamesh. L’eroe disperato rivolge allora all’amico uno straziante lamento funebre.

Quando l’alba spuntò,

Gilgamesh così parlò al suo amico:


«Enkidu, amico mio, tua madre la gazzella,1

e tuo padre l’asino selvatico ti hanno generato;


5      con il latte degli onagri2 essi ti hanno nutrito;

e gli animali della steppa ti hanno guidato per tutti i pascoli.


I sentieri, o Enkidu, (che ti hanno portato fino) alla Foresta dei Cedri3

piangano per te, non smettano giorno e notte.


Piangano per te gli anziani della spaziosa città, Uruk l’ovile;4

10    pianga per te colei che alza la mano, per benedirci dopo la morte;


piangano per te gli abitanti della montagna, della collina;

l’ampia steppa pianga per te come fosse tuo padre;

i campi piangano per te come fossero tua madre;


piangano per te i cipressi e i cedri,

15    in mezzo ai quali noi abbiamo infuriato la nostra rabbia;


piangano per te gli orsi, le iene, i leopardi, le tigri, le gazzelle e i caprioli,

i leoni, i tori, i cervi, gli stambecchi, tutti gli animali della steppa.

Pianga per te il sacro fiume Ulaia,5 sulle cui sponde noi orgogliosamente passeggiavamo;

pianga per te il puro Eufrate,6

20    al quale noi abbiamo offerto acqua dai nostri otri;


piangano per te i giovani uomini della spaziosa città, Uruk l’ovile,

che guardavano ammirati la lotta: (cioè) noi, quando abbiamo abbattuto il Toro celeste.7


Pianga per te il contadino piegato sul suo aratro,

colui che esaltava il tuo nome con i dolci alalà.8


25    Pianga per te il banditore della spaziosa città, Uruk l’ovile,

che esaltava il tuo nome nominandoti per primo;


pianga per te il bovaro, il capo pastore,

che ti dava da bere birra e miele;


pianga per te la tua balia,

30    che usava cospargere di olio le tue natiche;


piangano per te gli anziani,

che avvicinavano alle tue labbra il nettare;


pianga per te la prostituta sacra,9

per la quale hai unto il tuo capo con olio buono;


35    piangano per te i tuoi suoceri;

pianga la famiglia della moglie, sigillo delle tue decisioni;


piangano per te i tuoi fratelli,

che, come sorelle, possano essi sciogliere i loro capelli su di te.10


Per te, Enkidu, (assieme a) tua madre e tuo padre,

40    io piangerò amaramente nella loro steppa.


Ascoltatemi, o giovani uomini, ascoltatemi!

Ascoltatemi, o anziani di Uruk, ascoltatemi!


Io piangerò per Enkidu, l’amico mio,

emetterò amari lamenti come una lamentatrice.11


45    L’ascia del mio fianco, l’arma del mio braccio,

la spada della mia guaina, lo scudo del mio petto,


i miei vestiti festivi, la mia cintura regale,12

uno spirito cattivo è venuto e me li ha portati via.

Amico mio, mulo imbizzarrito, asino selvatico delle montagne, leopardo della steppa,

50    Enkidu, amico mio, mulo imbizzarrito, asino selvatico delle montagne, leopardo della steppa,


noi, dopo esserci incontrati, abbiamo scalato assieme la montagna,

abbiamo catturato il Toro celeste e lo abbiamo ucciso,

abbiamo abbattuto Khubaba, l’eroe della Foresta dei Cedri,


ed ora qual è il sonno che si è impadronito di te?

55    Tu sei diventato rigido, e non mi ascolti!».


Epopea classica, tavola VIII, vv. 1-55, trad. di G. Pettinato, Rusconi, Milano 1992

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a TU per TU con il testo

È difficile consolare qualcuno per la scomparsa di una persona cara. All’inizio è il dolore nella sua forza fisica a prendere il sopravvento: il pianto può assumere forme violente, che vanno dallo strapparsi i capelli al battersi il petto, manifestazioni queste che sembrano nascere dal tentativo di condividere la sofferenza con chi non c’è più, di annullarsi insieme al defunto. Pur con i suoi limiti, anche la poesia ha escogitato alcune strategie per alleviare il dolore: una tra queste è la litania, una forma di preghiera caratterizzata da una successione di affermazioni predefinite, in genere ripetute con leggere variazioni. Ti sei mai accorto che le preghiere hanno spesso un andamento cantilenante? Non è casuale. Il presupposto è che un ritmo rassicurante, ripetuto molte volte, trasmetta serenità anche in un animo afflitto e attraverso lunghi elenchi sottolinei la condivisione dei momenti belli e difficili dell’esistenza. La morte ci priva di qualcuno, ma allo stesso tempo la coralità e la partecipazione degli altri ci fanno sentire che non siamo soli.

Analisi

Dopo una vita di avventure mirabolanti, Gilgamesh è chiamato ad affrontare la prova più dura: la perdita dell’amico Enkidu. Il discorso che l’eroe rivolge al defunto ha i connotati dello sfogo più disperato, ma contiene in sé anche l’antidoto della memoria: ricordare il passato che non c’è più nell’ultima occasione prima dei funerali restituisce con la forza del ricordo i giorni piacevoli condivisi. Gilgamesh ripercorre così le tappe della vita dell’amico, dalle origini selvagge alle grandi prove vissute insieme. La scelta dei dettagli messi in rilievo è una splendida prova del tipo di poesia, fatta di elementi naturalistici e concreti, che caratterizza l’epopea mesopotamica: per esempio, Enkidu è stato nutrito da piccolo con il latte degli asini selvatici e ha trascorso l’infanzia insieme agli animali della steppa (vv. 5-6).

Gilgamesh invoca a partecipare al lutto l’intera umanità (gli anziani di Uruk, gli abitanti delle montagne, delle colline, della steppa), ma non si ferma agli uomini, perché coinvolge anche le piante, gli animali, i fiumi come l’Ulaia e l’Eufrate (vv. 7-20). La litania, scandita dalla ripetizione anaforica del verbo piangere, ha una dimensione ecumenica, cioè è rivolta al mondo intero. Nella seconda metà del brano infatti c’è una precisa elencazione di tutte le figure umane chiamate a piangere la morte di Enkidu: il contadino, il banditore, il bovaro, la balia, gli anziani, la prostituta sacra, i suoceri, i fratelli, giovani e anziani (vv. 21-42). Una volta richiamata l’attenzione di tutti i soggetti invocati, Gilgamesh annuncia l’intenzione di piangere lui stesso per l’amico: l’eroe e sovrano manifesta così la sua debolezza solo dopo aver coinvolto tutti nel dolore (Io piangerò per Enkidu, l’amico mio, / emetterò amari lamenti come una lamentatrice, vv. 43-44).

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Avvalendosi di un lessico affettuoso che attinge dal mondo della natura, congeniale al selvaggio defunto, Gilgamesh chiama infine l’amico mulo imbizzarrito, asino selvatico delle montagne, leopardo della steppa (vv. 49-50) e rievoca ancora le imprese più grandi affrontate insieme, come la cattura del Toro celeste e l’uccisione del mostro Khubaba, custode della foresta dei Cedri (vv. 51-53). La memoria si scontra, tuttavia, con l’asprezza di un presente immodificabile: Enkidu non c’è più, è diventato rigido, e non può ascoltare le parole appassionate dell’amico (ed ora qual è il sonno che si è impadronito di te? Tu sei diventato rigido, e non mi ascolti!, vv. 54-55). L’esperienza della morte serve così a insegnare per la prima volta al protagonista dell’epopea i limiti entro cui è costretta l’esistenza umana.

Laboratorio sul testo

COMPRENDERE

1. Quali imprese compiute insieme all’amico sono rievocate da Gilgamesh?


2. Ai vv. 41-42 Gilgamesh chiede di essere ascoltato da uomini, piante e animali. Che cosa vuole comunicare loro?


3. Come viene definito Enkidu da Gilgamesh?

ANALIZZARE E INTERPRETARE

4. Con quali termini viene descritta la città di Uruk, di cui Gilgamesh è re?


5. L’epopea di Gilgamesh è il prodotto di una civiltà fluviale. A che proposito sono citati i fiumi della regione?


6. Individua le figure legate rispettivamente alla vita cittadina e al mondo della natura che Gilgamesh coinvolge nel pianto per Enkidu.


a) città:

 


b) campagna:

 


7. Nei versi finali del lamento di Gilgamesh, attraverso quale metafora è descritta la morte?

COMPETENZE LINGUISTICHE

8. Storia delle parole. Al v. 24 si legge che il contadino esaltava il nome di Enkidu con i suoi dolci alalà. Derivata dal greco, la parola alalà è un grido di guerra di origine onomatopeica, introdotto nella letteratura italiana da Giovanni Pascoli, ma diffusa soprattutto da Gabriele d’Annunzio, cui si deve la formula eia eia alalà. Usata in sostituzione di hip hip urrah!, essa fu fatta propria dal fascismo, che la consacrò a grido collettivo d’esultanza. Con l’aiuto di opportuni strumenti di ricerca, raccogli alcuni esempi di parole che hanno origine onomatopeica e scrivi una frase per ciascuna.

PRODURRE

9. Scrivere per descrivere. Facendo ricorso anche tu a un lessico attinto al mondo degli animali e della natura, come definiresti in modo affettuoso un amico? Scrivi un breve testo (massimo 10 righe) in cui proponi un repertorio di animali a te cari e i significati simbolici che associ a ciascuno.

SPUNTI PER DISCUTERE IN CLASSE

La partecipazione al dolore è un grande esempio di civiltà: in italiano per esprimere questo concetto si parla di condoglianza, parola usata per lo più al plurale, che indica il condolersi con qualcuno per una grave perdita. In che modo si può essere vicini a una persona che ha subìto un lutto? Che valore ha la partecipazione al dolore altrui, secondo te? Rifletti in classe su questi temi con l’insegnante e con i compagni.

L’emozione della lettura - volume C
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