T2 - Il cavallo di legno e l’ultima notte di Troia

T2

Il cavallo di legno e l’ultima notte di Troia

  • Tratto da Eneide, libro II, vv. 1-57, 199-267

Dopo il proemio, la narrazione vera e propria inizia in medias res: la dea Giunone, nemica giurata dei Troiani, suscita una tempesta che travolge Enea e i suoi compagni. Essi da anni vagano per i mari alla ricerca di una nuova patria, che gli oracoli indicano in Italia. Gettati dalle onde sulle coste libiche, sono accolti dalla regina di Cartagine, Didone (libro I).

A sette anni di distanza dalla distruzione di Troia, Enea, ospite a banchetto dai Cartaginesi, comincia a raccontare su richiesta di Didone i fatti di quelle tragiche ore. Pur inizialmente esitante, l’eroe trae forza dalla consapevolezza che la sua città non è stata vinta con il valore, bensì mediante un perfido inganno, ordito dai Greci e voluto dal Fato.

Tacquero tutti e tenevano attento lo sguardo.

Allora dall’alto giaciglio il padre Enea cominciò:

«Mi chiedi, o regina, di rinnovare un dolore indicibile,

il modo tenuto dai Danai nel distruggere la potenza troiana

5      e il regno sventurato, tristissimi fatti dei quali

fui testimone e protagonista. Chi mai a raccontarli,

mirmidone o dolope o soldato del duro Ulisse,

frenerebbe le lagrime? E già l’umida notte discende

dal cielo e le stelle al tramonto conciliano il sonno.

10    Ma se desideri tanto di conoscere le nostre vicende

e di udire brevemente l’estremo travaglio di Troia,

sebbene l’animo inorridisca al ricordo e sempre si sia

abbandonato al pianto, comincerò.

Stremati dalla guerra e respinti dai fati,

15    i capi dei Danai, trascorsi ormai tanti anni,

per divina arte di Pallade costruiscono un cavallo

a misura di monte e ne intessono i fianchi di abete;

simulano un voto per il ritorno, la fama si sparge.

Qui rinchiudono di frodo nel fianco oscuro prescelti

20    corpi di eroi designati a sorte, e le vaste

profonde caverne del ventre riempiono d’uomini armati.

Davanti è Tenedo in vista, famosa isola,

florida e ricca durante il regno di Priamo,

ora soltanto una baia, una sosta malfida alle navi;

25    qui, spintisi al largo, si celano nella riva deserta.

Pensammo che fossero partiti con il vento diretti a Micene».

Allora tutta la Teucria si scioglie da un lungo dolore.

Si aprono le porte; piace l’andare, e il dorico

campo e i luoghi deserti vedere e la libera spiaggia.

30    Qui la schiera dei Dolopi, qui di Achille crudele la tenda,

qui la flotta, qui usavano combattere schierati.

Parte al dono esiziale per la vergine Minerva stupisce,

ed ammirano la mole del cavallo; e per primo Timete

esorta a introdurlo tra le mura e a collocarlo sulla rocca,

35    si trattasse d’inganno, o già comportasse così

il destino di Troia. Ma Capi e quelli che hanno in mente

un migliore pensiero, vogliono che si getti in mare il tranello

dei Danai, il dono sospetto, o si arda appiccandovi fiamme,

o si forino le cavità del ventre e si esplorino i nascondigli.

40    Il popolo incerto si divide in opposti pareri.

Per primo accorre, davanti a tutti, dall’alto

della rocca Laocoonte adirato, seguito da una grande turba;

e di lungi: “Sciagurati cittadini, quale così grande follia?

credete partiti i nemici? o stimate alcun dono

45    dei Danai privo d’inganni? Così conoscete Ulisse?

O chiusi in questo legno si tengono nascosti Achei,

o questa macchina è fabbricata a danno delle nostre mura,

per spiare le case e sorprendere dall’alto la città,

o cela un’altra insidia: Troiani, non credete al cavallo.

50    Di qualunque cosa si tratti, ho timore dei Danai

anche se recano doni. Disse, e avventò con vigore

gagliardo la grande asta al fianco della fiera ed al ventre

dalle curve giunture. Quella s’infisse vibrando e dall’alvo

percosso risuonarono le cavità e diedero un gemito le caverne.

55    E se i fati degli dèi, se la nostra mente non era funesta,

egli ci aveva sospinti a violare il nascondiglio argolico con il ferro;

oggi Troia si ergerebbe, e tu, alta rocca di Priamo, dureresti ancora”.

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Nel frattempo alcuni pastori conducono al re Priamo un giovane di nome Sinone, che si presenta come un greco caduto in odio a Ulisse. Egli racconta che i Greci, decisi a tornare in patria, avevano ricevuto un oracolo che imponeva loro un sacrificio umano come condizione per una felice navigazione: vittima designata doveva essere lui stesso, che però era riuscito a fuggire nascondendosi nell’erba di un bacino d’acqua melmosa. Sinone rivela inoltre ai Troiani che, qualora il cavallo venga portato sulla rocca, la città diverrebbe inespugnabile; in caso contrario i Greci tornerebbero vincitori. Quando i Troiani ormai credono al suo racconto, si verifica un nuovo evento infausto.

Qui un nuovo avvenimento, più grande

200 e molto più orrendo, si offre agli sventurati, e turba i cuori

sorpresi. Laocoonte, sacerdote tratto a sorte a Nettuno,

immolava un grande toro presso le are solenni.

Ma ecco da Tenedo in coppia per le profonde acque tranquille

– inorridisco a raccontarlo – due serpenti con immense volute

205 incombono sul mare, e parimenti si dirigono alla riva;

i petti erti tra i flutti e le creste sanguigne

sovrastano le onde; tutta l’altra parte

sfiora il mare da tergo e incurva in spire gli enormi dorsi;

scroscia il gorgo schiumante. E già approdavano,

210 e iniettati di sangue e di fuoco gli occhi che ardevano,

lambivano con lingue vibrate le bocche sibilanti.

Fuggiamo esangui a quella vista. I serpenti con marcia sicura

si dirigono su Laocoonte; e prima l’uno e l’altro

serpente avvinghiano i piccoli corpi dei due figli

215 e li serrano, e a morsi si pascono delle misere membra;

poi afferrano e stringono in grandi spire

lui che sopraggiunge in aiuto e brandisce le armi;

avvintolo due volte alla vita, e attortisi al collo

due volte con le terga squamose, sovrastano con il capo

220 e con l’alte cervici. Egli si sforza di svellere

i nodi con la forza delle mani, cosparso le bende di sangue

corrotto e di nero veleno, e leva orrendi clamori

alle stelle: quali i muggiti d’un toro ferito che fugge

dall’ara, e scuote via dal collo la scure malcerta.

225 Strisciando in coppia i due draghi fuggono verso l’alto

santuario e muovono verso la rocca della crudele Tritonide;

si acquattano ai piedi della dea e sotto il cerchio dello scudo.

Allora a tutti s’insinua nei petti tremanti

un nuovo timore, e dicono che Laocoonte ha pagato

230 giustamente il delitto, poiché ha violato con la punta

il legno sacro, e avventato al fianco la lancia delittuosa.

Gridano che si deve condurre al tempio il simulacro

e pregare il nume della dea.

Apriamo una breccia nelle mura e spalanchiamo la cinta della città.

235 Tutti si accingono all’opera e pongono sotto le zampe

scorrevoli rulli e gettano canapi al collo.

Sale la fatale macchina i muri, gravida

d’armi. Giovinetti intorno e intatte fanciulle

cantano inni e godono di toccare la fune.

240 Quella entra e scorre minacciosa in mezzo alla città.

O patria, o Ilio, dimora degli dei, e gloriose in guerra

mura dei Dardanidi! Quattro volte s’arrestò sul limitare

della porta, e quattro volte dal ventre risuonarono le armi.

Tuttavia insistiamo incuranti, e accecati dalla follia,

245 e collochiamo il mostro infausto sulla sacra rocca.

Anche allora Cassandra dischiude le labbra ai fati

futuri, per ordine del dio giammai creduta dai teucri.

Noi sventurati, nel nostro ultimo giorno,

per la città coroniamo i templi degli dei di festosa fronda.

250 Ruota frattanto il cielo e dall’Oceano sorge la notte,

avvolgendo nella vasta ombra la terra e l’etere

gli inganni dei Mirmidoni; sparsi per le case i Teucri

tacquero; il sonno avvince le membra stanche.

E già la falange argiva andava a navi schierate

255 da Tenedo, per gli amici silenzi della tacita luna

e dirigendosi alle note rive, quando la regia

nave innalzò segnali di fiamma, e protetto dagli iniqui

fati degli dei, Sinone disserra furtivo

i Danai rinchiusi nel ventre e il serrame di pino. Il cavallo

260 aperto li rende all’aria, ed escono lieti dal concavo

legno Tessandro e Stenelo capi e lo spietato Ulisse,

discesi giù per una fune, e Acamante e Toante,

e il Pelide Neottolemo, e per primo Macaone,

e Menelao, e lo stesso fabbricatore dell’inganno, Epeo.

265 Invadono la città sepolta nel sonno e nel vino;

uccidono le sentinelle, accolgono tutti i compagni

dalle porte spalancate, e congiungono le complici schiere.


Publio Virgilio Marone, Eneide, libro II, vv. 1-56, 199-267, trad. di L. Canali, Mondadori, Milano 2014

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a TU per TU con il testo

Capita che la vita riservi un segno o un evento difficile da interpretare, inatteso e sorprendente, oppure semplicemente una scelta difficile rispetto a una situazione imprevista. In questi casi possiamo affannarci a cercare nel passato o nel nostro repertorio di esperienze qualche aiuto che aumenti la nostra capacità di comprensione, oppure assecondare il desiderio di voltare pagina, cambiare e affrontare una nuova fase della nostra vita. Non è difficile immaginare che dinanzi al cavallo di legno i Troiani fossero agitati da propositi e preoccupazioni opposte: da una parte la paura della novità, dall’altra il desiderio del cambiamento.

Che cosa fare? Lasciar prevalere la dimensione razionale, incarnata da Laocoonte, quella che ci invita a diffidare, a essere cauti, a riflettere? O quella più istintiva, che accoglie come un dono del cielo la possibilità di ricacciare indietro anni di sacrifici e dolori e gettarci in braccia a un futuro ignoto ma gravido di belle promesse? In fondo, questo è il senso più profondo della nostra esistenza: davanti ai bivi o alle porte che si aprono e si chiudono, ci rimane la dura ma inevitabile facoltà di scegliere. Ben sapendo che alcune decisioni possono essere irreversibili: sta a noi non ignorare, come invece hanno fatto i Troiani, il rumore delle armi nel ventre del cavallo e governare anche gli slanci più folli della nostra volontà, senza inibirli certo, ma disciplinandoli.

Analisi

La circostanza in cui Virgilio incastona nel poema il racconto della notte fatale di Troia è il banchetto offerto a Enea presso la corte di Didone: evidente è il richiamo alla situazione analoga dell’Odissea, allorché Odisseo, ospite dei Feaci, è invitato da Alcinoo a rivelare le sue passate peripezie. Come già in Omero, la tecnica del flashback (o analessi) consente una rilettura sentimentale della vicenda, filtrata dal ricordo e dalla prospettiva personale del narratore interno Enea, uno sconfitto di quella tragica storia, costretto dal Fato alla fuga: non casuale e stridente è il contrasto tra la notte serena di Cartagine in cui avviene il racconto e quella violenta e drammatica di Troia (vv. 8-9).

A causa dell’alto grado di partecipazione emotiva ai fatti che deve riferire, l’eroe sembra quasi schermirsi (Mi chiedi, o regina, di rinnovare un dolore indicibile, v. 3) e chiede pertanto comprensione per le lacrime inevitabili, che del resto spargerebbe anche un qualsiasi guerriero greco impegnato nel conflitto (vv. 6-13). L’intero libro sarà segnato, infatti, dalla solidarietà di Virgilio nei confronti dei Troiani sconfitti, vittime del Fato e di un crudele inganno, ma anche da un atteggiamento di condanna della guerra e delle sue più atroci conseguenze.

Nelle parole di Enea l’inizio della fine per Troia arriva con la costruzione di un cavallo di legno, alto quanto una montagna, presentato dai Greci come un voto agli dèi per propiziare il ritorno in patria. In realtà l’interno del cavallo è pieno dei migliori uomini armati, mentre il resto dell’esercito con la flotta si è nascosto presso l’isola di Tenedo, in posizione riparata (vv. 13-25). Nel frattempo nulla può impedire la diffusione di un clima di festa tra i Troiani, che escono dalle mura, visitano curiosi i luoghi in cui erano accampati i Greci e cominciano, infine, a interrogarsi sul significato dell’enorme costruzione (vv. 26-39).

Quando il popolo di Troia è già diviso sul da farsi, l’intervento del sacerdote Laocoonte insinua atroci sospetti sulla situazione in sé insolita e non priva di segni di pericolo. Diversamente da quanti vedevano con favore il colosso di legno, Laocoonte mette in guardia i concittadini dal credere che i Greci siano davvero partiti (Troiani, non credete al cavallo. / Di qualunque cosa si tratti, ho timore dei Danai / anche se recano doni, vv. 48-50). In questo passaggio il discorso diretto conferisce ulteriore drammaticità alla scena rievocata da Enea.

A convincere finalmente i Troiani a introdurre la statua di legno in città è però la morte raccapricciante di Laocoonte e dei suoi figli innocenti, uno tra i momenti più drammatici dell’Eneide. Mentre il sacerdote troiano svolge un sacrificio a Nettuno, infatti, all’improvviso emergono dal mare due serpenti con occhi iniettati di sangue e di fuoco, che avvinghiano i corpicini dei due figli, dilaniandoli atrocemente sotto gli occhi del padre che brandisce le armi in loro difesa, ma viene orrendamente stritolato (vv. 199-224). Per tragica ironia della sorte, il sacerdote che stava svolgendo il sacrificio di un toro si trova così a essere egli stesso vittima, come dimostra il fatto che i due serpenti spariscono dietro lo scudo della statua di Minerva, quasi a sottolineare il valore prodigioso dell’evento e il carattere di una morte decisa dal Fato. I Troiani presenti e inorriditi pensano che Laocoonte sia stato punito in questo modo dagli dèi per aver violato con la punta della lancia il cavallo di legno consacrato a Minerva (vv. 228-231).

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A questo punto, nulla può dissuadere la folla dal proposito di condurre il cavallo al tempio cittadino, nonostante una latente tensione che aumenta fino al tragico epilogo. In un’atmosfera concitata, presto divenuta di aperta festosità, infatti, tutti danno un contributo alla non facile impresa di issare la fatale macchina (v. 237), descritta però da Virgilio come un autentico mostro; mentre giovinetti e fanciulle intonano inni e fanno a gara a toccare la fune, passa inascoltato persino il rumore prodotto dalle armi dei guerrieri nel ventre del cavallo. Troia è in preda a una follia collettiva, contro la quale si fa sentire, impotente, la voce profetica di Cassandra (Quattro volte s’arrestò sul limitare / della porta, e quattro volte dal ventre risuonarono le armi. / Tuttavia insistiamo incuranti, e accecati dalla follia, / e collochiamo il mostro infausto sulla sacra rocca, vv. 242-245).

Superata l’ultima difficoltà, l’acme dell’impresa ordita dai Greci arriva solo più tardi, quando in piena notte la città è vinta dal sonno e dal vino. Mentre il resto dell’esercito sulle navi avanza da Tenedo alla volta di Troia, il greco Sinone apre il ventre della statua e libera i Greci nascosti: ha così avvio, in pieno silenzio, la presa della città (vv. 250-267).

Laboratorio sul testo

COMPRENDERE

1. A chi si rivolge Enea nel suo racconto?

  •     Ai sacerdoti punici. 
  •     Alla madre Venere. 
  •     A Didone e agli altri commensali. 
  •     Ai suoi compagni. 


2. Enea sembra rifiutarsi di narrare le ultime ore di Troia. Perché?


3. Qual è la reazione iniziale dei Troiani alla vista del cavallo di legno?


4. Chi tra i Troiani è favorevole all’introduzione del cavallo in città?

  •     Capi. 
  •     Timete. 
  •     Laocoonte. 
  •     Priamo. 


5. I Troiani ricevono vari segnali circa la pericolosità del cavallo. Riordinali in base alla loro esatta successione, numerandoli da 1 a 4.

  • La profezia di Cassandra.
  • Il colpo prodotto dalla lancia di Laocoonte che fa rimbombare le cavità del cavallo.
  • Il monito di Laocoonte.
  • Il rumore delle armi dei guerrieri nascosti.


6. Quale divinità ha mandato i due serpenti?

  •     Giunone. 
  •     Nettuno. 
  •     Minerva. 
  •     Apollo. 


7. Come viene interpretata dai Troiani la morte di Laocoonte e dei figli?

ANALIZZARE E INTERPRETARE

8. Come viene presentato il cavallo nella narrazione che fa Enea? Rintraccia tutte le espressioni che vi si riferiscono. Che significato veicolano, secondo te?


9. La morte straziante di Laocoonte è efficacemente descritta con una similitudine. Quale? Che cosa stava facendo Laocoonte nel momento in cui sono apparsi i due serpenti?


10. La descrizione dei serpenti comporta il dispiegamento di un patrimonio lessicale ricco e dettagliato. Individua e trascrivi gli aggettivi riferiti a ciascuno degli elementi seguenti. Su quali caratteristiche insiste maggiormente il poeta, secondo te?


a) volute

 


b) creste

 


c) dorsi

 


d) bocche

 


e) spire

 


f) terga

 


g) veleno

 


11. La narrazione dell’ingresso del cavallo è accompagnata da un’apostrofe di Enea alla sua città. Individuala. Che cosa esprime, secondo te?

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COMPETENZE LINGUISTICHE

12. Il lessico. Il termine etere (v. 251) è una parola poetica, sinonimo di cielo, che si è conservata in alcuni usi legati alla scienza e alla tecnologia. Quali? Fai una ricerca sul vocabolario.


13. Il linguaggio figurato. L’endiadi. Ai vv. 221-222 si legge di Laocoonte: cosparso le bende di sangue / corrotto e di nero veleno. Il concetto espresso è che il sacerdote ha le bende cosparse della bava nera e velenosa dei serpenti; per restituire questa immagine si fa ricorso a due nomi (sangue e veleno) invece che a uno solo. Tale procedimento retorico si chiama endiadi, termine di origine greca che vuol dire letteralmente “una cosa sola attraverso due”: è una figura che serve ad amplificare il concetto espresso. In genere costituiscono un’endiadi due termini coordinati invece che posti in rapporto di subordinazione, come due sostantivi al posto di un sostantivo determinato da un aggettivo o da un complemento. Con l’aiuto dell’insegnante, stabilisci il significato delle seguenti endiadi.


a) «amaro e noia» (G. Leopardi)

b) «o delli altri poeti onore e lume» (D. Alighieri)

c) «bello di fama e di sventura» (U. Foscolo)

d) «movesi ’l vecchierel canuto e bianco» (F. Petrarca)

PRODURRE

14. Scrivere per raccontare. Immagina di essere un guerriero greco che si trova all’interno del cavallo e di vivere in prima persona l’intera vicenda. Che sensazioni metteresti in primo piano? Scrivi un breve racconto (massimo 20 righe) che vada dall’ingresso nel cavallo fino alla notte fatale di Troia, inserendo i termini: noia, colpo, timore, sospettare, respirare.

LETTERATURA E NON SOLO: SPUNTI DI RICERCA INTERDISCIPLINARE

STORIA

Il brano presenta il sacerdote Laocoonte impegnato nel sacrificio di un toro per il dio Nettuno. Il mondo antico attribuiva grande importanza a questi aspetti del rito: basti pensare alla genesi del termine ecatombe, termine che nel mondo greco indicava il sacrificio di cento buoi. Funzione non secondaria avevano le pratiche divinatorie, consistenti nella predizione del futuro attraverso l’interpretazione di segni prodigiosi, spesso legati a sacrifici animali. Con l’aiuto dell’insegnante di Storia indaga il significato dei seguenti termini relativi alla religione romana: auspicium, augurium, prodigium, suovetaurilia.

SPUNTI PER DISCUTERE IN CLASSE

Il prodigio che si abbatte su Laocoonte convince definitivamente i Troiani che il cavallo di legno è un bene. L’impatto di un fenomeno inspiegabile, di natura soprannaturale, evidentemente è sufficiente a vincere ogni resistenza. Quale sarebbe la reazione dell’uomo di oggi? Quale spazio hanno ancora esseri mostruosi e fantastici nel nostro immaginario e nel nostro modo di esprimerci? Discutine in classe con i compagni.

 >> pagina 304 

PASSATO E PRESENTE

Il Laocoonte: storia di una statua attraverso i secoli

La mitica vicenda della morte di Laocoonte e dei suoi figli non ha ispirato solo i versi dell’Eneide, ma anche un celeberrimo gruppo statuario scolpito nel marmo, conservato nei Musei Vaticani. Realizzato nella seconda metà del I secolo a.C. dagli scultori Agesandro, Polidoro e Atanodoro di Rodi, esso rappresenta Laocoonte e i suoi due figli mentre cercano di liberarsi dalle spire del serpente marino che li sta stritolando: eccezionali risultano la resa anatomica dei corpi, il patetismo dei volti, l’equilibrio formale della composizione e in generale l’alta drammaticità espressa dall’intera scena. La storia del ritrovamento di questo capolavoro e delle sue peripezie attraversa i secoli ed è degna di essere brevemente narrata.

Quando fu rinvenuto il 14 gennaio 1506 da tal Felice de Fredis, mentre scavava in una vigna sul colle Oppio, non lontano dal Colosseo, si intuì subito che si trattava di un pezzo di straordinaria importanza e non di semplici anticaglie. Papa Giulio II inviò sul luogo del rinvenimento due architetti e scultori del calibro di Michelangelo Buonarroti e Giuliano da Sangallo il Giovane e il gruppo marmoreo fu ben presto identificato con quello di cui parla Plinio il Vecchio (I secolo d.C.) nella Naturalis Historia, in cui si ricorda che tale statua era conservata nella casa dell’imperatore Tito. Il papa acquistò la scultura dallo scopritore e la collocò nel cortile del Belvedere: tale evento è considerato l’atto fondativo dei Musei Vaticani.

Qui restò fino al 1798, quando a seguito dell’entrata a Roma delle truppe napoleoniche essa fu confiscata e portata come bottino di guerra al museo del Louvre a Parigi insieme a moltissimi altri capolavori. Quando, dopo il Congresso di Vienna del 1815, la maggior parte delle opere d’arte depredate dai francesi fu restituita agli Stati italiani, anche il Laocoonte tornò nei Musei Vaticani grazie ad Antonio Canova, il più celebre scultore del tempo inviato da papa Pio VII a occuparsi delle restituzioni. Tuttavia non tornò integro: infatti il 23 novembre 1815 il carro che lo trasportava si rovesciò a causa del ghiaccio sul colle alpino del Moncenisio e la caduta provocò una rottura trasversale della scultura e il distacco dell’intera metà inferiore.

Riportato a Roma, il Laocoonte fu restaurato e finalmente riesposto nel 1816. Ma l’intervento più importante sul gruppo scultoreo avvenne nel secolo seguente. Infatti al momento della scoperta la figura di Laocoonte era mancante del braccio destro e fu integrata nel Cinquecento con l’arto disteso verso l’alto. Nel 1905, tuttavia, fu scoperto nella bottega di uno scalpellino romano il braccio poi riconosciuto come l’originale pertinente alla statua, alla quale fu riunito nel 1959: diversamente da quello di restauro esso è piegato, proprio come Michelangelo aveva immaginato che dovesse essere.

L’emozione della lettura - volume C
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