L’autore: Virgilio

1. L’autore: Virgilio

A differenza dell’Iliade e dell’Odissea, punto d’arrivo di una tradizione poetica secolare, l’Eneide rappresenta il frutto del lavoro di un solo autore, la cui esistenza è storicamente documentata: Publio Virgilio Marone.

Nato nel 70 a.C. ad Andes, piccolo centro della pianura Padana non distante da Mantova, identificato con l’odierna frazione di Pietole, Virgilio era figlio di una famiglia di agricoltori, di condizioni relativamente modeste, che gli permise tuttavia di andare a studiare a Cremona e a Milano. Attorno al 50 a.C. si trasferì a Roma per frequentare le scuole di retorica e intraprendere la professione di avvocato, che si rivelò però poco congeniale alla sua natura timida e riservata. Giovanissimo, cominciò piuttosto ad appassionarsi alla filosofia e alla poesia, che nella cultura del tempo era ispirata soprattutto all’amore e alla natura.

Quando rientrò a Mantova, infatti, cominciò a impegnarsi nell’ideazione e nella stesura di una raccolta di dieci componimenti in esametri, le Bucoliche o Ecloghe: il primo termine, di origine greca, allude all’ambientazione pastorale, mentre il secondo alla natura di carmi scelti, formalmente raffinati. Le Bucoliche si presentano per la maggior parte in forma di dialogo tra pastori e mandriani e riflettono un ideale di vita semplice e agreste, seppure vi si trovino anche riferimenti ad argomenti politici e sociali, che risentono del periodo appena trascorso delle guerre civili.

Trasferitosi a Napoli, alla scuola dei filosofi Filodemo e Sirone, Virgilio apprese i precetti della filosofia epicurea, una scuola di pensiero che si proponeva di alleviare i dolori e le paure dell’esistenza umana attraverso la ricerca del piacere come fonte di felicità. Frattanto nel 39 a.C., ormai trentenne, ottenne dalla pubblicazione delle Bucoliche la prima grande notorietà, che gli permise l’accesso al circolo di Mecenate. Intellettuale e uomo d’affari di origine etrusca, questi iniziava allora a costituire un circolo culturale di poeti e artisti – tra cui Orazio, lo stesso Virgilio, Properzio – ai quali garantiva agiatezza economica in cambio del sostegno alla politica dell’amico Ottaviano, destinato a diventare di lì a poco imperatore con il titolo di Augusto (“accresciuto”, protetto dagli dèi).

Nel clima politico movimentato degli anni precedenti la battaglia di Azio, che nel 31 a.C. decretò la sconfitta di Antonio e Cleopatra e la vittoria di Ottaviano, Virgilio continuò a scrivere versi su temi ispirati alla vita dei campi: le Georgiche, pubblicate nel 29 a.C., contenevano indicazioni sulla coltivazione della terra e l’allevamento degli animali, in particolare le api. Virgilio dimostrava così la sua sintonia con la politica culturale di Ottaviano, tesa a riscoprire le tradizioni contadine italiche e a recuperare la morale sana e frugale delle epoche antiche.

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I tempi ormai erano maturi per l’ideazione del suo capolavoro, l’Eneide, un poema epico che doveva fondere la gloriosa tradizione letteraria greca, inaugurata da Omero, con la più giovane poesia latina. La storia di Enea, recuperata dal mito troiano, serviva a nobilitare l’origine dei Romani, ricollegandola a quella dei Troiani, esuli a seguito della presa della loro città. Giunto in Italia dopo mille peregrinazioni, infatti, Enea avrebbe fondato Lavinio e, alcuni anni dopo, suo figlio Ascanio avrebbe fatto edificare la più recente Alba Longa, città natale di Romolo, fondatore di Roma. Ascanio, inoltre, aveva anche il nome di Iulo, in quanto capostipite della gens Iulia, di cui faceva parte Ottaviano Augusto.

La celebrazione della Roma repubblicana e di quella augustea procedevano, dunque, di pari passo, senza limitare o vincolare l’estro creativo di Virgilio, sinceramente convinto che la restaurazione della repubblica fosse l’unica soluzione per uno Stato come quello romano prostrato da un secolo di guerre civili.

Ormai prossimo al completamento della sua più grande fatica letteraria, all’età di 52 anni Virgilio intraprese un viaggio in Grecia per visitare i luoghi percorsi da Enea che aveva descritto nei suoi versi. Tuttavia, l’incontro ad Atene con Augusto di ritorno dall’Oriente lo convinse a tornare anzitempo. Colpito da una forte insolazione e ammalatosi gravemente, fu costretto a fermarsi a Brindisi, dove morì pochi giorni dopo, nel 19 a.C.

L’Eneide non era ancora conclusa, come dimostrano alcuni versi incompleti, e il suo autore aveva disposto che, nel caso in cui non ne avesse terminato la composizione, il manoscritto venisse bruciato. Fu Augusto stesso a impedirlo. I resti mortali di Virgilio furono invece sepolti a Napoli nell’area oggi nota come Parco Vergiliano a Piedigrotta. Sulla tomba fu posto il celebre epitaffio: Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenet nunc Parthenope; cecini pascua, rura, duces («Mi generò Mantova, la Calabria [il Salento] mi rapì, ora mi custodisce Partenope [Napoli]; cantai i pascoli [le Bucoliche], i campi [le Georgiche], i condottieri [l’Eneide]»).

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PASSATO E PRESENTE

Virgilio a Napoli

Il valore eccezionale della poesia dell’Eneide e delle altre opere determinò una fama precoce del loro autore, destinato a diventare un classico studiato a scuola già in epoca imperiale. Nel Medioevo, a favorire la venerazione per il poeta fu anche la lettura cristiana che si dava della sua opera: il riferimento, nella quarta Bucolica, a un bambino divino che avrebbe salvato il mondo fu letto come una prefigurazione profetica della nascita di Gesù.

Il nome di Virgilio, in realtà, sarebbe andato incontro a una fortuna ancora più complessa nella città di Napoli, luogo della sua sepoltura. Già nel I secolo d.C. sulla tomba del poeta accorrevano visitatori come se si trattasse di un tempio, al punto da generare nel Medioevo la credenza popolare che il bene della città dipendesse dalla protezione accordata da Virgilio, visto sempre più come un profeta e persino come un mago. Il luogo stesso della sepoltura, infatti, invitava a speculazioni sulle doti eccezionali del poeta. Nei pressi della tomba si trova una galleria lunga circa 700 metri, la cosiddetta grotta di Posillipo, che collega due quartieri di Napoli, Mergellina e Fuorigrotta. Secondo una credenza popolare, essa sarebbe stata realizzata da Virgilio in una sola notte grazie alle sue conoscenze di magia.

Queste e altre leggende legate al mito di Virgilio dopo l’antichità sono state raccolte da un grande studioso dell’Ottocento, Domenico Comparetti, autore del libro Virgilio nel Medioevo (1872). Una di queste, per esempio, voleva che il giardino situato sul Monte Vergine, ricco di erbe mediche, fosse anticamente appartenuto proprio a Virgilio; un’altra, già antica, attribuiva l’imprendibilità della città partenopea alla presenza delle ossa di Virgilio e di quelle dei due santi protettori, Agrippino e Gennaro. La fama dei poteri taumaturgici (cioè miracolosi) del poeta si era diffusa anche a Pozzuoli, dove si diceva che Virgilio avesse fatto costruire delle terme a uso pubblico, utili alla cura di ogni malattia. Da questo punto di vista, sono particolarmente interessanti le notizie riferite da Corrado di Querfurt, cancelliere dell’imperatore Enrico VI, in una lettera del 1194 che tratta delle impressioni del suo viaggio in Italia. Per rimediare al pericolo rappresentato dal Vesuvio – scrive Corrado – il poeta latino avrebbe posto contro il vulcano una statua di bronzo rappresentante un uomo con l’arco teso pronto a scoccare una freccia. Quando un contadino fece partire la saetta, questa colpì l’orlo del cratere e determinò il risveglio del vulcano prima sopito proprio grazie allo stratagemma escogitato da Virgilio.

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2. I temi del poema

La scelta della materia troiana comportava il richiamo a un repertorio mitico di origine greca molto noto anche a Roma: già il poeta latino Ennio (239- 169 a.C.) aveva cantato nel poema epico-storico intitolato Annales la recente storia di Roma repubblicana ricollegando a Enea l’origine della città.

Il personaggio di Enea, quindi, non costituisce un’invenzione: Virgilio, però, gli conferì un carattere originale facendone l’eroe della pietas. Questo termine indica secondo Cicerone «la giustizia nei confronti dei genitori», da cui consegue un atteggiamento devoto nei confronti degli dèi e della patria, che contraddistingueva gli antichi Romani rispetto ai Greci.

La pietas fa perciò di Enea un eroe molto diverso dal violento Achille e dall’astuto Odisseo: il troiano assume piuttosto le caratteristiche tipiche del cittadino romano, tra cui il rispetto della parola data (fides) e l’obbedienza all’autorità, nel suo caso rappresentata perlopiù dal Fato, il destino. Il termine latino fatum deriva dal verbo fari, “dire”, e significa “ciò che è stato detto, cioè stabilito per sempre”: si tratta di un’entità astratta, superiore alla stessa volontà degli dèi – che le sono soggetti – la quale indirizza l’intera materia narrata nell’Eneide. Il protagonista dovrà più di una volta rinunciare a passioni e interessi personali per assecondare i disegni superiori del Fato.

D’altra parte, l’apparente passività dei personaggi dell’Eneide, tragicamente soggetti al destino, costituisce la conseguenza di una concezione dolorosa della storia e dell’esistenza umane. Nel libro I, per esempio, Enea contempla commosso alcune rappresentazioni di episodi della guerra di Troia scolpite in un tempio cartaginese e afferma sconsolato: Sunt lacrimae rerum et mentem mortalia tangunt («Sono le lacrime delle cose e le cose mortali toccano la mente», v. 462). Per rendere questa immagine inedita, lo scrittore Vittorio Sermonti traduceva la prima parte del verso: «piange la storia»; prima di lui il latinista Augusto Rostagni: «la storia è lacrime».

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Un importante aspetto dell’originalità di Virgilio rispetto al modello omerico è anche nel motivo encomiastico teso a glorificare un’intera famiglia, la gens Iulia. Enea, infatti, è figlio della dea Venere e di Anchise: in tal modo, l’intera famiglia imperiale cui appartenevano Giulio Cesare e il nipote adottivo Ottaviano Augusto è ricondotta a un antenato divino.

Lo sguardo di Virgilio sulla storia, tuttavia, non si limita alla celebrazione dell’esistente: l’Eneide è un poema che narra di guerre, ma esprime soprattutto un grande desiderio di pace, caratteristico dell’indole dell’autore e di un’intera età, il periodo storico successivo alle guerre civili che avevano afflitto la società romana prima della presa del potere di Ottaviano.

3. La struttura

L’Eneide è un poema scritto in esametri e diviso in dodici libri. Virgilio volle dimostrare il suo rispetto verso il modello omerico dividendo l’opera in due blocchi di sei libri ciascuno, il primo ispirato all’Odissea, il secondo all’Iliade.

La metà odissiaca (libri I-VI) tratta soprattutto il tema del viaggio compiuto dai Troiani per raggiungere l’Italia: non diversamente da Odisseo, Enea deve affrontare una lunga serie di peregrinazioni e di pericoli, come quelli rappresentati dalle Arpie, dalle tempeste, dalla discesa agli Inferi. Riconduce all’Odissea anche la ripresa dello schema fortunato dei racconti ad Alcinoo (libri IX-XII dell’Odissea), ovvero di quella lunga interruzione alle vicende nel corso della quale il protagonista racconta le sue peripezie passate nel corso di un banchetto, attraverso un flashback. Nell’Eneide si verifica lo stesso nei libri II e III, allorché Enea, sollecitato da Didone, riferisce le sue avventure degli ultimi sette anni a partire dalla notte della caduta di Troia fino allo sbarco in terra libica.

Mentre Odisseo, però, conduceva un viaggio di ritorno in patria, Enea è alla ricerca di una nuova patria, con tutte le implicazioni psicologiche e sentimentali che la condizione dell’esule comporta. L’Odissea si configura come il poema del ritorno, con il suo incanto e le sue gioie, l’Eneide come il poema della fuga, con la speranza di una nuova terra, che spesso nasconde però anche disperazione e incertezza.

La metà iliadica (libri VII-XII), invece, è ispirata all’Iliade per il prevalere della materia bellica, annunciata già nel VI libro dalla Sibilla cumana (la sacerdotessa che conduce Enea agli Inferi), quando predice bella, horrida bella («guerre, guerre orrende»). Così, la descrizione dello scudo di Enea nel libro VIII richiama quella dello scudo di Achille nel libro XVIII dell’Iliade.

Le guerre della seconda metà dell’Eneide vedono combattere i Troiani guidati da Enea da un lato, i Rutuli con il re Turno dall’altro. La differenza è nell’obiettivo: il poema omerico cantava l’assedio dei Greci desiderosi di impadronirsi di Troia, poi destinata alla distruzione; l’Eneide è invece il poema che canta le guerre affrontate da chi, come Enea e i Troiani, vuole fondare una nuova patria.

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4. Il tempo e lo spazio

I riferimenti cronologici nell’Eneide sono scarsi e imprecisi: le sole informazioni deducibili riguardano gli anni, ben sette, compresi tra la caduta di Troia e l’arrivo di Enea a Cartagine, e la durata di alcuni eventi, come la visita agli Inferi, svoltasi in una sola giornata.

Le indicazioni temporali più frequenti, piuttosto, sono relative ai momenti della giornata o alle stagioni, ma si tratta di un tempo interiorizzato, funzionale alla descrizione di stati d’animo. Per esempio, un celebre notturno del libro IV (vv. 522 e sgg.) fa emergere il contrasto chiaroscurale tra il sonno tranquillo che avvolge gli animali e l’ansia che invece affligge Didone, innamorata di Enea. Nox erat («Era la notte»): bastano due parole dall’immensa capacità evocativa a ricreare una condizione emotiva.

All’indefinitezza sfumata del tempo si oppone, invece, la dettagliata documentazione degli spazi. La geografia dell’Eneide è meno vasta ma più precisa di quella dell’Odissea, antecedente illustre per la sua apertura alla dimensione del viaggio: Enea si muove dall’Asia Minore verso occidente e ognuna delle tappe del suo itinerario è identificabile con un luogo reale, fatta eccezione forse per gli Inferi, il cui accesso è tuttavia localizzato presso il lago d’Averno, a Cuma.

La prima tappa del viaggio dell’eroe è la Tracia, regione meridionale dei Balcani, prospiciente la costa asiatica su cui sorge Troia. Delo, dove Enea approda successivamente per consultare l’oracolo di Apollo, è l’isola centrale delle Cicladi, arcipelago che trae il proprio nome dalla disposizione circolare (in greco kyklos, “cerchio”) attorno a Delo stessa. L’itinerario mediterraneo prosegue con Creta, luogo della mitica nascita di Giove. Anche l’episodio mitologico delle Arpie è localizzato precisamente, presso le isole Strofadi, nel mar Ionio.

La realtà contemporanea fa irruzione nel poema con il passaggio ad Azio, luogo della vittoria nel 31 a.C. di Ottaviano su Antonio, ma anche il tempio di Minerva avvistato nel Salento rappresenta un riferimento geografico preciso. Il rapporto di Virgilio con la geografia del mito, fatto di rispetto per la tradizione ma anche di un suo parziale superamento, è chiarito ancora di più dalla prima tappa siciliana di Enea, sulla costa orientale dell’isola. I Troiani vedono da lontano Polifemo, ormai accecato, che lancia un grido mettendoli in fuga. L’autore colloca, in questo modo, il viaggio di Enea in un momento successivo a quello di Odisseo ed evita di soffermarsi su un episodio che aveva già avuto la sua gloria letteraria.

La seconda metà del poema è caratterizzata dai riferimenti alla geografia italica e laziale, in cui la precisione va di pari passo con il bisogno dell’autore di indicare le più antiche origini di centri e luoghi dell’Italia a lui contemporanea: ne sono un esempio Gaeta, che prende nome dalla nutrice di Enea, ivi sepolta, e capo Palinuro, così chiamato dal nome del timoniere troiano caduto in mare in quel tratto di costa.

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5. La trama

Dopo il proemio ( T1, p. 291), in cui Virgilio in prima persona definisce la materia del suo canto, la narrazione inizia in medias res: la dea Giunone, da sempre ostile ai Troiani, scatena una tempesta che colpisce Enea e il suo seguito, in viaggio da sette anni dopo la distruzione della città natale. Scampati al naufragio, l’eroe e l’equipaggio superstite approdano in maniera fortunosa sulle coste della Libia.

All’indomani dello sbarco, la dea Venere, madre di Enea, appare al figlio sotto le sembianze di una cacciatrice, rivelandogli di trovarsi a Cartagine, la città che una regina fenicia di nome Didone, esule da Tiro dopo che il fratello Pigmalione ha assassinato suo marito Sicheo, sta costruendo per il suo popolo. Enea, avvolto da una nube che lo rende invisibile, osserva i ferventi lavori di costruzione di Cartagine e assiste all’arrivo di Didone al tempio. Dopo aver constatato l’accoglienza benevola che la regina riserva ad alcuni compagni che credeva dispersi in mare, anch’egli manifesta la sua presenza. Didone invita gli stranieri nella propria reggia e indice un banchetto in loro onore. Venere, intanto, temendo gli inganni di Giunone, escogita un tranello per assicurarsi la benevolenza della regina: fa assumere a Cupido, dio dell’amore, le sembianze del figlioletto di Enea, Ascanio, e accende di passione il cuore della sovrana (libro I).

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Durante il convivio Didone chiede a Enea di raccontare le sue peripezie. Un dolore indicibile, regina, tu vuoi che rinnovi: il lungo flashback dell’eroe inizia proprio dalla caduta di Troia 1. Enea narra di Ulisse, dell’inganno del cavallo di legno ( T2, p. 296), delle profezie inascoltate di Laocoonte e di Cassandra, della morte del re Priamo e dell’incontro fortuito con Elena, che è tentato di uccidere per vendicare i tanti lutti di cui la ritiene responsabile; e ancora, della fuga precipitosa ( T3, p. 305) con il padre Anchise e il figlio Ascanio, della perdita della moglie Creusa (libro II).

Il racconto continua: lasciata la patria dopo aver costruito una flotta di venti navi, i Troiani salpano alla volta della Tracia 2. Qui tuttavia, dopo aver compiuto i riti di fondazione di una nuova città, Enea assiste a un funesto presagio: mentre strappa i rami di una pianta di mirto per adornare un altare, vede gocce di sangue nero colare dalle fronde e ode la voce di Polidoro, il più giovane dei figli di Priamo. Questi gli racconta di essere stato tradito e assassinato da Polimestore, re della regione, che gli avrebbe dovuto offrire protezione in cambio di un ricco tesoro. Commosso e inorridito dalla triste sorte di Polidoro, Enea rende omaggio al defunto e abbandona la terra maledetta. Raggiunge dunque l’isola di Delo 3, dove l’oracolo di Apollo gli rivela la sua missione: per fondare una nuova città e una nuova stirpe, egli deve cercare l’“antica madre”. Credendo si tratti dell’isola dove era nato Teucro, capostipite dei Troiani, Enea si dirige a Creta 4, sconvolta però da una terribile pestilenza. I Penati, le divinità protettrici della famiglia, gli appaiono in sogno e gli svelano che l’“antica madre” è in realtà l’Italia, da cui proviene il mitico Dardano.

I Troiani riprendono così il mare. Colpiti da una tempesta, approdano alle isole Strofadi 5, dove mostri con la testa di donna e il corpo di uccello, le Arpie, insozzano le loro mense e fanno funeste profezie. Da lì si spostano ad Azio 6 e poi a Butroto, nell’Epiro 7: qui incontrano Andromaca, vedova di Ettore e ora sposa di Eleno, un sacerdote di Apollo che fornisce loro preziose informazioni per raggiungere la meta. Grazie ai suoi consigli, i Troiani sfuggono a varie insidie, tra cui i mostri marini Scilla e Cariddi e il ciclope Polifemo; raggiungono quindi Drepano 8, in Sicilia, dove Anchise muore. Da lì ripartono e vengono colpiti dalla tempesta che li fa giungere proprio a Cartagine 9 (libro III).

Con la fine del racconto di Enea, si chiude il flashback e la narrazione riprende il normale ordine cronologico. Didone sente il cuore ardere di passione per l’eroe: confessa i propri sentimenti alla sorella Anna, dichiarandosi pronta – pur tra mille remore – a tradire il voto di fedeltà pronunciato sulla tomba del marito Sicheo ( T4, p. 312).

Giunone e Venere si accordano per favorire l’unione tra Enea e Didone. Durante una battuta di caccia i due, sorpresi da un temporale, riparano all’interno di una grotta e si abbandonano alla passione. Subito la Fama, mostro alato da mille occhi e mille lingue, diffonde la notizia raggiungendo anche i pretendenti che la regina ha respinto, tra cui Iarba, re dei Getuli. Quest’ultimo, non sopportando di essere scavalcato da uno straniero, invoca la vendetta di Giove: il padre degli dèi invia così Mercurio per ricordare a Enea la sua missione e per ingiungergli di lasciare Cartagine.

Seppur a malincuore, l’eroe troiano arma la flotta di nascosto perché non ha il coraggio di comunicare a Didone la sua partenza imminente. La regina, scoperto il piano, lo affronta disperata ( T5, p. 319): gli ricorda il loro amore e lo prega almeno di ritardare il viaggio, ma Enea non cede. Distrutta per la perdita dell’uomo che ama, e ormai convinta di non avere alternativa al suicidio per lavare la vergogna di aver violato la fedeltà al defunto marito, Didone fa preparare un rogo; all’alba, mentre le navi troiane si allontanano dal porto, maledice il traditore e si uccide ( T6, p. 326; libro IV).

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Il viaggio conduce la flotta troiana di nuovo in Sicilia: qui Enea indice giochi funebri in onore del padre Anchise a un anno dalla sua scomparsa. Nel frattempo Giunone istiga le donne troiane che, stanche per il continuo peregrinare in mare, bruciano le navi: l’incendio è domato solo grazie a un temporale mandato da Giove. Anchise intanto appare in sogno al figlio e gli chiede di scendere agli Inferi (libro V).

Enea riprende la navigazione e sbarca in Italia, in Campania, nei pressi di Cuma 10, dove si trova l’antro della Sibilla (libro VI). Questa preannuncia all’eroe le sanguinose guerre che lo attenderanno e poi lo conduce nell’Ade. Giunti all’Acheronte – il fiume infernale dove si aggirano le anime in pena, i cui corpi giacciono insepolti (tra cui il suo nocchiero Palinuro) – i due incontrano Caronte, il nocchiero dell’oltretomba che sbarra loro il passaggio: solo quando gli mostrano il ramo d’oro sacro a Proserpina, regina degli Inferi, Caronte permette l’ingresso. Superato anche Cerbero – l’infernale cane a tre teste, placato dalla Sibilla con una focaccia di miele e sonnifero – Enea e la sacerdotessa percorrono l’Antinferno, dove si trovano anche le anime dei neonati e dei suicidi: tra esse, l’eroe scorge Didone e cerca di parlarle, ma la regina gli volge sdegnosamente le spalle, lasciandolo a piangere disperato. Oltrepassato anche il Tartaro, sede delle anime dei malfattori, finalmente Enea raggiunge il padre, che gli spiega il destino delle anime nell’aldilà e gli mostra i suoi discendenti romani, tra cui Romolo, Cesare e Augusto, che saranno creatori di un impero universale ( T7, p. 332; libro VI).

Anchise congeda il figlio che, rincuorato, risale con la Sibilla nel mondo dei vivi. Dopo una breve sosta a Gaeta 11 – dove muore Caieta, la nutrice dell’eroe – i Troiani giungono nel Lazio, alla foce del Tevere 12. All’inizio della seconda metà del poema, Virgilio invoca di nuovo una Musa, questa volta Erato, protettrice della poesia amorosa, per indicare che proprio per l’amore di una donna si scatenerà la guerra imminente.

Enea, consapevole di essere giunto al termine del suo peregrinare, invia subito un’ambasciata al re del luogo, Latino, che lo accoglie benevolmente e gli offre in moglie sua figlia Lavinia, memore di un oracolo che aveva previsto le nozze della figlia con un principe straniero e la nascita di una stirpe gloriosa.

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Ma Giunone, contrariata nel vedere la prosperità dei Troiani, richiama la furia Alletto ( T8, p. 340) affinché porti discordia prima nell’animo di Amata, moglie di Latino, e poi in quello di Turno, re dei Rutuli, al quale Lavinia era stata promessa.

Il primo pretesto utile scatena la guerra: solo il re Latino si mostra contrario al conflitto; è Giunone a prendere le sue veci e spalancare le porte del tempio di Giano, gesto che a Roma indicava l’inizio ufficiale di una guerra (libro VII).

Enea necessita di un esercito: in sogno gli appare il dio Tiberino che gli suggerisce di allearsi con Evandro, principe di una cittadina del Palatino. Questi, proveniente da una regione greca dell’Arcadia, mostra all’eroe il Palatino, il Campidoglio e altri luoghi destinati a una grande storia; gli offre dunque un contingente di truppe guidate dal figlio Pallante. Gli suggerisce inoltre di cercare altri alleati anche tra gli Etruschi, nemici del feroce tiranno Mesenzio, alleato di Turno. Nel frattempo il dio Vulcano, su richiesta di Venere, forgia uno scudo per Enea, sul quale raffigura le scene della futura storia di Roma (libro VIII).

Informato dell’assenza di Enea, Turno decide di attaccare il campo troiano. Vista la difficile situazione, due valorosi amici troiani, Eurialo e Niso, si avventurano in una pericolosa sortita notturna per raggiungere Enea e informarlo del pericolo; penetrando di nascosto tra le linee nemiche, fanno strage dei nemici addormentati, ma vengono sorpresi e uccisi ( T9, p. 345; libro IX).

Intanto Enea, a capo dei contingenti arcadi ed etruschi, fa ritorno e i combattimenti riprendono ancor più sanguinosi sulle rive del Tevere. Particolarmente commoventi sono le morti di Pallante, ucciso da Turno, e di Lauso, figlio di Mesenzio, colpito da Enea, che sconfigge anche il padre (libro X).

Viene concordata una tregua per seppellire i caduti (libro XI). Nel corso di un consiglio del regno, sono rivolte critiche a Turno, che annuncia l’aiuto di un nuovo alleato, il popolo dei Volsci. A guidarlo è la giovane e valorosa Camilla, che dimostra il suo coraggio, ma viene precocemente uccisa mentre insegue un nemico per impossessarsi delle sue armi. L’evento determina il ritiro dei Volsci e l’avanzata dei Troiani (libro XI).

Turno, allora, temendo per il suo esercito, sfida a duello Enea (libro XII). Questi sigla con Latino le condizioni di pace che dovranno seguire lo scontro: se vincerà Turno, i Troiani si ritireranno nella città di Evandro; in caso contrario, Troiani e Latini fonderanno un unico, nuovo popolo.

Giunone interviene suscitando Giuturna, la ninfa sorella di Turno, affinché trovi un modo per violare il patto: questa ci riesce, con uno stratagemma, e lo scontro riprende furiosamente. Enea viene ferito ma, grazie a un miracoloso medicamento portatogli da Venere, può tornare presto sul campo di battaglia e scontrarsi con Turno ( T10, p. 354). Giove e Giunone assistono allo scontro e stringono un patto solenne: la dea abbandona Turno al suo destino, a condizione che il nuovo popolo che nascerà dall’unione di Troiani e Latini porti usanze, lingua e nome di questi ultimi. Enea ferisce con la lancia il suo avversario e lo finisce con furore, vendicando Pallante. La guerra è terminata. I Troiani si possono stabilire nel Lazio (libro XII).

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6. I personaggi

L’Eneide è il poema di un vincitore, Enea, che nella sua vita ha subìto però molte prove dolorose: esule da Troia, vagabondo nel Mediterraneo alla ricerca di una nuova patria, egli conosce il significato della sconfitta. Molti dei personaggi virgiliani devono il loro fascino proprio al destino di vinti della storia cui li condanna spesso un imprudente coraggio giovanile, complice del Fato. Per esempio, la vergine Camilla, giovane alleata di Turno, è uccisa a tradimento da un guerriero etrusco; Pallante, figlio di Evandro, è ucciso da Turno; Lauso, giovane figlio di Mezenzio, cade per mano di Enea; i guerrieri troiani Eurialo e Niso muoiono durante una sortita notturna al campo nemico.

Nella caratterizzazione dei personaggi dell’Eneide prevale, pertanto, una dimensione privata e sentimentale, ancora più evidente nelle figure parentali, che in parte li distanzia dagli eroi omerici: il re Evandro è disperato alla notizia della morte del giovane figlio; persino il tiranno etrusco Mezenzio, odiato da tutti, dimostra un tale amore verso il figlio Lauso che non può accettarne la morte e cade lui stesso in battaglia per vendicarlo. Le donne non sono da meno nella manifestazione del dolore: valga l’esempio di Anna, sorella devota di Didone, o quello dell’inconsolabile madre di Eurialo.

Il poema offre una galleria particolarmente ricca di personaggi femminili: dopo la scomparsa della moglie troiana Creusa, spicca la passionale Didone, che si uccide per amore del pio Enea, costretto a obbedire ai piani del destino più che al proprio cuore. Infine, la moglie di Latino, Amata, molto legata al giovane Turno, primo pretendente della figlia Lavinia, si dà la morte quando ha notizia dell’assedio finale della sua città.

Ciò non toglie che alla fine sui sentimenti vincano le dure leggi della guerra, che comportano la necessità di distinguere vincitori e vinti: a Enea che sta per concedere pietà a Turno nel duello finale si riaffaccia il ricordo dell’invendicato Pallante, che lo spinge a vibrare il colpo mortale sull’avversario. Pur a malincuore, Virgilio obbedisce così alle leggi del genere epico, che non ammette la possibilità del perdono. Non a caso l’ultimo verso del poema è dedicato all’anima di Turno morente, che fugge “indignata” nel regno delle ombre. Come ha scritto lo studioso Alfonso Traina, il lamento finale esprime evidentemente la voce di tutti i giovani morti nell’Eneide, ma anche l’ansia del mondo antico, che nella morte vede solo il transito verso un opaco ed evanescente mondo di ombre.

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Gli dèi

  • Alletto: una delle Furie, invocata da Giunone per seminare discordia tra Latini, Troiani e Rutuli.
  • Giove: padre degli dèi, figlio di Saturno (il greco Crono), è il dio della luce, del cielo chiaro e del fulmine. Spesso ricorda a Enea i suoi doveri verso il destino.
  • Giunone: moglie di Giove, anche lei è schierata contro i Troiani per via del giudizio di Paride. È la protettrice del matrimonio e spesso viene rappresentata come gelosa e vendicativa.
  • Minerva: la greca Atena, nata dalla testa di Giove, ha anche l’epiteto di “Pallade”. È schierata contro i Troiani, dopo l’offesa ricevuta da Paride, che le ha preferito Venere.
  • Nettuno: dio del mare, fratello di Giove, ha il potere di comandare i flutti, scatenare temporali e far scaturire sorgenti con un colpo di tridente. Un antico rancore determina il suo odio verso i Troiani.
  • Venere: dea dell’amore e della bellezza, secondo il mito sarebbe nata dalla schiuma del mare sull’isola di Cipro. È la madre di Enea, che protegge nel corso di tutto il poema. La sua simpatia per i Troiani risale al giudizio di Paride, che l’aveva preferita a Minerva e Giunone.

Troiani e alleati

  • Anchise: padre di Enea, pur inizialmente restio, segue il figlio nella fuga da Troia, ma muore in Sicilia. Indica al figlio in visita agli Inferi le anime dei discendenti, tra cui Romolo, Cesare e Augusto.
  • Ascanio o Iulo: figlio di Enea e Creusa, è destinato a diventare il capostipite della gens Iulia, da cui discenderà Ottaviano Augusto.
  • Creusa: prima moglie di Enea, a cui il Fato impedisce di seguire il marito nella fuga.
  • Enea: principe troiano, figlio di Venere e Anchise, è il protagonista del poema, destinato dal Fato a portare la stirpe troiana a Roma per fondare una nuova civiltà.
  • Eurialo e Niso: guerrieri troiani legati da un fortissimo legame di amicizia, organizzano una sortita notturna per avvertire Enea dell’imminente arrivo di truppe latine, ma sono colti dai nemici e uccisi.
  • Evandro: re proveniente dalla regione greca dell’Arcadia e stabilitosi sul Palatino, regna con bontà introducendo nel Lazio la scrittura, la musica e il culto degli dèi.
  • Laocoonte: sacerdote troiano di Apollo, si oppone all’introduzione del cavallo di legno nelle mura, ma viene ucciso con i figli da un mostro marino.
  • Palinuro: timoniere di Enea, viene gettato in mare dal dio Sonno nei pressi del promontorio campano che poi prese il suo nome.
  • Pallante: figlio di Evandro, viene ucciso da Turno, che si impossessa della sua cintura. Il ricordo di Pallante, suscitato dalla vista della cintura, determina la decisione di Enea di punire Turno con la morte nel duello finale.

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Gli Italici

  • Amata: moglie di Latino e madre di Lavinia, ama Turno come un figlio e si oppone alle nozze di Lavinia con Enea.
  • Camilla: giovane guerriera volsca, interviene a favore dei Rutuli, ma viene uccisa a tradimento da un etrusco alleato di Enea.
  • Latino: re dei Latini, padre di Lavinia. Accoglie in maniera ospitale i Troiani di Enea ed è contrario alla guerra tra gli Italici e i Troiani.
  • Lauso: giovane figlio di Mezenzio, viene ucciso da Enea, che gli tributa grandi onori.
  • Lavinia: figlia di Latino, promessa sposa di Turno, è però destinata da un’antica profezia a sposarsi con uno straniero. Con Enea fonderà la città di Lavinio.
  • Mezenzio: tiranno etrusco, famoso per la sua empietà, viene ucciso in duello da Enea.
  • Turno: re dei Rutuli, promesso sposo di Lavinia prima dell’arrivo dei Troiani. Nel duello finale viene ucciso da Enea, che non gli perdona l’uccisione del giovane Pallante.

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LA VOCE DEI MODERNI

Dante e Virgilio

La fortuna moderna dell’Eneide è legata anche al nome di Dante Alighieri (1265-1321), che fece di Virgilio la sua guida per il viaggio nei primi due regni oltremondani, tributando al poeta latino un omaggio destinato ad amplificare notevolmente la presenza del poema nella cultura occidentale. Da allora, i nomi di Dante e Virgilio costituiscono un binomio intramontabile. Nel canto I della Divina Commedia Virgilio, mandato da Beatrice, si presenta al poeta smarritosi nella selva del peccato, la celebre «selva oscura», per condurlo attraverso i cerchi dell’Inferno e le cornici del Purgatorio. Dante riconosce in Virgilio la sua guida letteraria e morale:


Tu se’ lo mio maestro e ’l mio autore,

tu se’ solo colui da cu’ io tolsi

lo bello stilo che m’ha fatto onore.

(Inferno, I, vv. 85-87)

Tu sei il mio maestro e il mio modello, tu sei il solo da cui io derivai il bello stile che mi ha reso famoso.


Nel canto II, Dante chiede lumi a Virgilio circa il senso del viaggio cui è chiamato da Dio e fa riferimento ai precedenti illustri ai quali non osa compararsi, tra cui proprio Enea:


Tu dici che di Silvio il parente,

corruttibile ancora, ad immortale

secolo andò, e fu sensibilmente.

(Inferno, II, vv. 13-15)

Tu dici che il padre di Silvio (Enea), ancora in vita, andò nell’aldilà in carne e ossa.


La differenza, esplicitata a chiare lettere nei versi successivi (vv. 16-24), è che Enea aveva un alto compito assegnatogli dalla Provvidenza, la fondazione di Roma ( T7, p. 332), capitale di un impero universale e poi della cristianità, in quanto sede del papato. Il viaggio di Dante, invece, è voluto da Dio per permettere al poeta di avere visione della sorte ultraterrena dell’umanità a lui contemporanea: la sua esperienza nell’Inferno, nel Purgatorio e nel Paradiso è necessaria perché il poeta possa salvarsi e predicare la verità, agevolando la redenzione politica e religiosa del mondo cristiano.


Però, se l’avversario d’ogne male

cortese i fu, pensando l’alto effetto

ch’uscir dovea di lui e ’l chi e ’l quale,


non pare indegno ad omo d’intelletto;

ch’e’ fu de l’alma Roma e di suo impero

ne l’empireo ciel per padre eletto:


la quale e ’l quale, a voler dir lo vero,

fu stabilita per lo loco santo

u’ siede il successor del maggior Piero.

(Inferno, II, vv. 16-24)

Perciò, se il nemico di ogni male, Dio, fu cortese verso di lui (Enea), l’uomo e i suoi meriti non sembrano indegni a un uomo dotato di intelletto, se si pensa all’alto risultato che doveva essere prodotto da lui; infatti egli fu scelto nell’Empireo, il luogo più alto del Paradiso, come fondatore della nobile Roma e del suo impero: e Roma e il suo impero, a voler dire il vero, furono stabiliti come la santa sede dove risiede il successore del primo papa (Pietro).

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7. Lo stile

Se l’Iliade e l’Odissea erano il prodotto di una lunga tradizione aedica affidata perlopiù all’oralità, l’Eneide nasce invece come il capolavoro di un poeta che ha la possibilità di leggere su rotoli di papiro la letteratura precedente, di scrivere, correggersi e riscrivere: il pieno dominio della scrittura è la vera grande novità dell’epica latina, più recente di quella greca. La diversa situazione compositiva spiega, pertanto, le differenze di stile rispetto ai poemi omerici, che rendono il poema virgiliano per molti aspetti più simile all’idea di opera letteraria che abbiamo noi, vista come risultato di un laborioso processo di raffinamento formale.

Il verso è lo stesso dell’epica greca, l’esametro, pur con alcune differenze, come il ricorso all’allitterazione, fenomeno caratteristico della lingua latina; parimenti si conservano gli aspetti più tipici dell’epica omerica, tra i quali l’uso di epiteti e patronimici, mentre è ridotta la presenza di formule, meno utili in un’epoca di composizione scritta e di fruizione non necessariamente orale dell’opera letteraria. L’oggettività omerica, inoltre, cede il posto a una narrazione soggettiva. Rispetto ai poemi omerici, infatti, Virgilio come narratore tende a intervenire molto più spesso, facendo sentire la propria partecipazione emotiva e i propri giudizi sui fatti che riferisce, attraverso apostrofi rivolte ai personaggi ed esclamazioni enfatiche.

Le similitudini conservano una certa importanza per gettare un ponte tra il passato mitico della guerra e il mondo della natura e del presente, ma spesso vengono arricchite e rivissute dall’autore alla luce di una tradizione letteraria che non si limita a Omero, ma comprende anche l’epica greca successiva e l’epica latina. L’immagine già omerica degli uomini paragonati alle foglie, presente nel discorso del licio Glauco al greco Diomede nel libro VI dell’Iliade (vv. 146-149; T3, p. 120), si riaffaccia nell’Eneide (libro VI, vv. 305-312), ma con una significativa variante e in un contesto diverso. Alle foglie che cadono nei boschi con i primi freddi d’autunno sono accostate le anime che si affollano numerose sulle rive dell’Acheronte per essere traghettate da Caronte, il nocchiero della palude infernale: Qui tutta una folla ammassandosi sulle rive accorreva, / donne e uomini, corpi liberi dalla vita, / di forti eroi, fanciulli e non promesse fanciulle, / giovani messi sul rogo davanti agli occhi dei padri: tante così nei boschi, al primo freddo d’autunno, / volteggiano e cadono foglie, o a terra dal cielo profondo / tanti uccelli s’addensano, quando, freddo ormai, l’anno di là dal mare li spinge verso le terre del sole (trad. di R. Calzecchi Onesti). A creare un collegamento tra le due situazioni è il motivo della moltitudine, delle anime dei defunti e delle foglie. In Omero, invece, erano messe in risalto chiaroscurale da un lato la caduta delle foglie a causa del vento, dall’altro la loro rigenerazione in primavera, così da creare una prova naturale della necessità dell’avvicendarsi delle generazioni umane e della loro fugace precarietà. Il malinconico Virgilio opta piuttosto per una dimensione autunnale, focalizzata sul motivo della caduta, cui non si oppone alcuna rinascita primaverile. Per arricchire la similitudine, vi accosta un’ulteriore immagine, quella degli uccelli migratori, spinti a fuggire durante l’inverno verso i paesi assolati.

La bellezza della poesia dell’Eneide si riconosce anche in singoli versi, così ben riusciti da essere diventati proverbiali e da avere ispirato l’intera letteratura europea. Per esempio a Virgilio dobbiamo un verso come tacitae per amica silentia lunae («per gli amici silenzi della tacita luna», libro II, v. 255, trad. di L. Canali), che riecheggia, per esempio, nell’espressione leopardiana «silenziosa luna», nel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia. È la notte in cui la flotta greca torna di nascosto verso Troia, per partecipare alla presa della città iniziata dai guerrieri usciti dal cavallo di legno. L’idea di trasferire alla luna l’epiteto tacita, che competerebbe alla notte silenziosa, facendo così dell’astro un complice dell’impresa dei Greci, crea un nesso inedito tra nome e aggettivo, che umanizza la natura e dimostra la vena sentimentale e il genio di Virgilio.

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le tecniche narrative

Fabula e intreccio Non c’è coincidenza tra fabula e intreccio. La storia inizia in medias res e presenta vari flashback, dei quali il più lungo è nei libri II-III (racconti di Enea a Didone), e anticipazioni (per esempio sulla nascita di Roma).
Spazio Enea percorre il Mediterraneo da Troia verso il Lazio, facendo varie tappe lungo il percorso (Tracia, Delo, Creta, isole Strofadi, Epiro, Sicilia, Cartagine, Cuma).
Tempo L’azione copre un periodo di diversi mesi, ma mancano riferimenti cronologici precisi. Dalla fuga di Enea da Troia all’arrivo a Cartagine trascorrono sette anni.
Narratore È esterno e onnisciente, ma partecipa emotivamente ai fatti che racconta, con una soggettività estranea all’epica omerica. Cede la parola a un narratore interno di secondo grado, Enea, nei libri II-III.
Stile • Limitata presenza di formule.
• Ricorso alle similitudini.
• Toni sentimentali e soggettivi.

Verifica delle conoscenze

1. In quale epoca visse Virgilio?

2. Quali sono i principali temi trattati nell’Eneide?

3. In che cosa consiste la pietas?

4. Che cosa si intende per “motivo encomiastico” nell’Eneide?

5. Com’è strutturato il poema?

6. Che differenze si possono osservare tra la geografia dell’Eneide e quella dell’Odissea?

7. Quali aspetti prevalgono nella caratterizzazione dei personaggi virgiliani?

8. Sul piano stilistico, che cosa avvicina l’Eneide ai poemi omerici? Che cosa, invece, la distanzia?

L’emozione della lettura - volume C
L’emozione della lettura - volume C
Epica