T11 - La gara con l’arco e la riscossa di Odisseo

T11

La gara con l’arco e la riscossa di Odisseo

  • Tratto da Odissea, libro XXI, vv. 285-294, 311-358, 393-434 (in traduzione: vv. 277-286, 303-348, 382-422)

Sotto le mentite spoglie di un vecchio mendicante, Odisseo è ammesso nella reggia, dove viene ripetutamente maltrattato dai Proci (libro XVII); deve persino misurarsi a pugni con il vecchio e insolente accattone Iro (libro XVIII). Al tramonto ha occasione di incontrare Penelope alla quale, mentendo, riferisce di aver incontrato il marito a Creta, assicurando che è vivo e sulla via di casa. La donna, rincuorata dalla notizia, dispone che le ancelle si occupino di lui, ma Odisseo chiede espressamente di essere servito da una donna anziana: è Euriclea, la sua vecchia nutrice, a lavarlo e a riconoscerlo da una cicatrice sulla gamba che gli aveva procurato in giovinezza un cinghiale (libro XIX). Il giorno successivo i Proci sono di nuovo a banchetto, ma su di essi grava un destino di morte (libro XX); su ordine di Odisseo, intanto, il figlio Telemaco ha nascosto tutte le armi degli usurpatori.

Penelope, che si è decisa a indire una gara per individuare il nuovo sposo tra i pretendenti, porta nella sala l’arco appartenuto a Odisseo: chi fosse riuscito a tenderlo e a centrare con una freccia gli anelli di dodici scuri messe in fila, sarebbe diventato suo marito. Quando tutti i pretendenti falliscono miseramente la prova, il mendicante, precedentemente offeso e umiliato, chiede di potersi misurare nell’impresa.

Così diceva Ulisse. Ma grande fu l’ira di tutti,

per il timor che l’arco lucente egli a tender valesse.

E Antinoo lo colpì con queste parole d’ingiuria:

280 «Straniero sciagurato, ben poco ti regge la mente.

Oh non ti basta che qui fra noi altri signori banchetti

in pace, e niun dei cibi ti viene conteso, ed ascolti

tutti i discorsi, tutte le nostre parole? Nessuno

dei forestieri mai, dei pitocchi ode i nostri discorsi.

285 Il vin dolce di miele t’offese, che suol danneggiare

sempre chi troppo ingordo, chi senza misura ne beve [...]».

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Antinoo ricorda le conseguenze negative dell’eccesso di vino nel mito; attribuisce all’ebbrezza, infatti, l’impudenza del mendicante. Come può un accattone non solo ascoltare i discorsi, ma addirittura partecipare a una gara tra nobili?

E a lui queste parole Penelope scaltra rispose:

«Antinoo, bello non è, non è giusto coprire d’oltraggi

305 chi giunge ospite qui di Telemaco. Pensi tu forse

che se questo straniero potesse il grande arco d’Ulisse

tendere mai, se a tanto valergli potesse la forza,

alla sua casa potrebbe condurmi, ed avermi sua sposa?

Niuno fra voi non voglia crucciare per questo il suo cuore».

310 Ed il figliuolo di Pòlibo, Eurimaco, questo rispose:

«O Penelope, o figlia d’Icario, che tanto sei scaltra,

no, non pensiam, non ci sembra che questi via possa condurti:

bensì la mala voce temiamo d’uomini e donne,

che non ci lanci qualche plebeo questi motti d’oltraggio:

315 – Uomini assai da poco d’un prode vagheggian la sposa,

che poi non sono stati capaci di tendere un arco,

e invece uno qui giunto per caso, un pitocco straniero,

súbito lo fletté, scagliò il dardo traverso alle scuri –.

Così diranno; e questo per noi sarà biasimo grande».

320 E gli rispose queste parole Penelope scaltra:

«Possibil non è già tra il popolo aver buona fama,

quando si oltraggia, quando si vorano, Eurimaco, i beni

d’un valoroso eroe. Questa altra vergogna temete?

Questo straniero è grande, di valide membra robusto,

325 buona è sua stirpe, dice, figliuolo è di nobile padre.

Dategli dunque l’arco lucente, e si tenti la prova.

Ch’io questa cosa adesso vi dico, ed avrà compimento.

S’egli saprà curvarlo, se Febo gli dà questa gloria,

bei panni io gli darò da coprirsi, una tunica e un manto,

330 e acuto un giavellotto, degli uomini a schermo e dei cani,

e dei calzari, a riparo dei piedi, e una spada a due tagli,

e lo farò condurre là dove sua brama lo spinge».

E a lei queste parole rivolse Telemaco scaltro:

«O madre mia, negare quest’arco, conceder quest’arco,

335 niuno n’ha più di me diritto fra gli uomini achivi,

né quelli ch’àn dimora in Itaca alpestre, né quelli

ch’abitan l’isole, presso dell’Elide equestre alla terra.

Niuno di questi potrà contendermi a forza ch’io l’arco

allo straniero doni, magari che via se lo porti.

340 Or tu nelle tue stanze rientra, e ai lavori tuoi bada,

bada al telaio ed alla conocchia; e le donne di casa

spingi al lavoro; e lascia che gli uomini pensino all’arco:

ad essi spetta e a me soprattutto che son qui padrone».

Alle sue stanze così di nuovo tornò la regina,

345 poiché del figlio udì, stupita, le savie parole:

e nelle stanze eccelse tornata che fu con le ancelle,

Ulisse ivi, lo sposo diletto, piangea, sin che Atena

glauca pupilla, su gli occhi sopore soave le infuse.

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Eumeo porta l’arco a Odisseo, in mezzo alle grida di biasimo e di scherno dei Proci, e ordina a Euriclea di chiudere le porte della sala, secondo le istruzioni ricevute da Telemaco.

[...] Già questi iva l’arco provando,

guardandolo per tutto, qua e là volgendo!, se a caso,

mentre egli era lontano, corroso l’avessero i tarli.

385 E nel vederlo, così dicea questi e quegli al vicino:

«Intenditore d’archi perito deve esser costui.

Davvero, o ch’egli n’ ha lasciato uno simile a casa,

oppur se lo vorrà costrurre; qua e là per le mani

lo va girando, questo pitocco maestro di guai».

390 E soggiungeva un altro di quei tracotanti signori:

«Così della Fortuna potesse raccogliere i doni,

com’egli ora potrà riuscire a tender quest’arco!»

Così diceano i Proci. Ma Ulisse frattanto, lo scaltro,

poi ch’ebbe punto a punto scrutato, provato il grande arco,

395 come allorquando un uomo di cetera esperto o di canto

agevolmente tende sul bischero nuovo una corda,

così l’arco suo grande Ulisse piegò senza sforzo.

Poi, con la destra prese la corda, ne fece la prova;

e quella un suono acuto mandò, che una rondine parve.

400 Grave l’ambascia fu dei Proci, sbiancarono in viso

tutti; e Giove mandò con lo scoppio d’un tuono, il presagio.

Ma lieto il cuore fu d’Ulisse tenace divino,

che a lui tale presagio mandasse il figliuolo di Crono.

E prese un dardo acuto che fuor del turcasso giaceva

405 sopra la mensa – dentro rinchiusi ancora erano gli altri

onde gli Achivi presto doveano saggiare la punta.

Col cubito alto, quindi, tirando la corda e la cocca,

dallo sgabello dove sedeva scagliò la saetta

dritto mirando; e niuna fallì de le scuri: sfiorando

410 l’impugnatura a sommo, uscì via dall’ultimo foro

il grave bronzeo dardo. E Ulisse a Telemaco disse:

«Vergogna non ti fa, Telemaco, questo straniero

ospite tuo: fallita la mira non ho, né stentato

troppo, per tender l’arco: le forze mi valgono ancora.

415 Quello non sono che i Proci maltrattano e copron d’ingiurie.

Ora il momento è giunto, finché dura il dì, d’ammannire

il pranzo ai Proci; e poi potranno pigliarsi altri svaghi

col canto e con la cetra, che sono ornamento alla mensa».

Disse, e fe’ cenno con gli occhi. Di subito cinse la spada

420 Telemaco, figliuolo diletto d’Ulisse divino,

gittò sul giavellotto la mano; e vicino a suo padre

stette vicino al seggio, fulgente nel lucido bronzo.


Omero, Odissea, libro XXI, vv. 277-286, 303-348, 382-422, trad. di E. Romagnoli, Zanichelli, Bologna 1947

 >> pagina 260 

a TU per TU con il testo

La superbia e l’arroganza dei mediocri a danno dei valorosi suscitano sempre rabbia nei confronti dei primi e simpatia nei confronti dei secondi, con i quali tendiamo a immedesimarci. Eppure il talento e il merito non possono che emergere, anche in condizioni avverse. La gara del tiro con l’arco dovrebbe essere un cimento per pochi eletti, l’aristocrazia di Itaca. Mettiamoci nei panni dei Proci: che rispondere a un mendicante un po’ sfrontato, già accolto alla mensa dei ricchi, il quale intende mettersi anche lui alla prova nella competizione in cui finora hanno fallito i migliori uomini dell’isola? Illusi e ingenui, proprio perché tracotanti: la loro superbia è l’anticamera della loro fine. E, per quanto immaginiamo con un brivido di paura ciò che aspetta i pretendenti, la loro disfatta incombente ci fa piacere. Un po’ come capita - perché non ammetterlo? - quando un compagno troppo sicuro di sé ne dileggia un altro, apparentemente più debole. Già, “apparentemente”.

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Analisi

La prova dell’arco indetta da Penelope per scegliere un pretendente vede i contendenti fallire uno dopo l’altro. A maggior ragione la richiesta del mendicante, ospite alla tavola del palazzo, di potersi misurare nella gara, risulta stravagante e fuori luogo. L’arroganza dei Proci, aristocratici perdigiorno che scialacquano da anni il patrimonio della casa di Odisseo con sontuosi banchetti, è espressa soprattutto dalle parole di Antinoo (Straniero sciagurato, ben poco ti regge la mente. / Oh non ti basta che qui fra noi altri signori banchetti / in pace, e niun dei cibi ti viene conteso, ed ascolti / tutti i discorsi, tutte le nostre parole?, vv. 280-283).

Nonostante il tentativo di Penelope di mantenere l’onorabilità della casa e il rispetto delle leggi dell’ospitalità (vv. 304-309), è il successivo intervento di Eurimaco, altro pretendente, a chiarire il nocciolo della questione: a spaventare lui e gli altri è la voce popolare, la fama che gli aristocratici di Itaca possano essere battuti da uno straniero, per giunta mendicante (vv. 313-319).

La risposta di Penelope evidentemente coglie nel segno: i Proci hanno già perso la dignità per la vita dissipata che conducono divorando i beni di Odisseo (vv. 321-323). La donna, forte di questa constatazione, accoglie la richiesta dell’ospite, gli accorda il suo permesso e promette di concedergli abiti nuovi e altri doni in caso di vittoria (vv. 328-332).

Complice del disegno di vendetta del padre, anche Telemaco si batte perché lo “straniero” possa tendere l’arco e invita, infine, Penelope a recarsi nelle sue stanze, come spesso accade nell’Odissea, quando il figlio di Odisseo ricorda alla madre il suo posto nella casa (vv. 340-343). Poco prima della conclusione della sua ventennale attesa, il poeta offre un ennesimo saggio della fedeltà della sposa, che piange il marito diletto, finché Atena non le infonde sonno sugli occhi (vv. 344-348).

La preparazione del tiro con l’arco costituisce il momento di massima tensione narrativa (Spannung) del brano, resa studiatamente con un crescendo. Il tiro in sé, infatti, dura un istante, ma nella perizia e nella confidenza che il mendicante mostra di avere con lo strumento i presenti colgono già seri motivi di preoccupazione. Tra i pretendenti c’è chi verbalizza questo timore (così dicea questi e quegli al vicino: / «Intenditore d’archi perito deve esser costui. / Davvero, vv. 385-387), mentre altri, sfoderando la consueta superbia, continuano a battere il tasto dell’offesa gratuita (Così della Fortuna potesse raccogliere i doni, / com’egli ora potrà riuscire a tender quest’arco!, vv. 391-392).

L’angoscia in sala aumenta non appena Odisseo fa la prova della corda, causando un suono così acuto, che una rondine parve (v. 399). I Proci sbiancano in viso, Zeus manda un tuono, come funesto presagio. Rincuorato, Odisseo estrae la freccia, tira la corda e il dardo di bronzo, mirando dritto, e non manca nessuno degli anelli. Le sue prime parole, fredde nella constatazione della vittoria, vanno a Telemaco, cui ironicamente dichiara di essere ancora in possesso delle proprie forze. L’invito che gli rivolge subito dopo è emblematico: il momento è giunto, finché dura il dì, d’ammannire / il pranzo ai Proci (vv. 416-417). Messa da parte l’ironia, sta per iniziare, infatti, la strage dei pretendenti: su ordine di Telemaco la sala è stata chiusa dai servi e sono state tolte preventivamente le armi appese alle pareti. L’ora della vendetta di Odisseo è giunta.

Laboratorio sul testo

COMPRENDERE

1. Perché Antinoo si oppone alla richiesta del mendicante di poter tendere l’arco?


2. Penelope replica ad Antinoo che

  •     in caso di vittoria il mendicante la prenderà in sposa. 
  •     non c’è da temere che possa andare in sposa allo straniero. 
  •     il popolo di Itaca si solleverà contro di lui se sconfitto da un pitocco. 
  •     intende impedire all’uomo di tirare l’arco. 


3. Che cosa promette Penelope al mendicante-Odisseo, nel caso in cui riesca nell’impresa dell’arco?


4. Appena riuscito nell’impresa, Odisseo si rivolge a

  •     Antinoo. 
  •     Penelope. 
  •     Eumeo. 
  •     Telemaco. 


5. Come si manifesta Zeus nell’episodio?

 >> pagina 262 

ANALIZZARE E INTERPRETARE

6. Le parole di uno dei pretendenti tradiscono un aspetto caratteristico della «civiltà di vergogna». Quali? Perché, secondo te?


7. Secondo te, come si caratterizza il comportamento di Penelope in questa occasione?


8. Indica gli elementi della narrazione che contribuiscono ad aumentare l’attesa del tiro con l’arco da parte di Odisseo.


9. A chi è paragonato Odisseo nel momento di tendere l’arco?


10. Che valore hanno le parole con cui Odisseo esorta Telemaco: il momento è giunto, finché dura il dì, d’ammannire / il pranzo ai Proci (vv. 416-417)?

  •     Letterale. 
  •     Ironico. 
  •     Realistico. 
  •     Iperbolico. 


11. Nel testo viene utilizzato lo stesso epiteto in riferimento a Penelope, Telemaco e Odisseo: qual è?

COMPETENZE LINGUISTICHE

12. Lessico. Il verbo ammannire (v. 416), “preparare”, si usa perlopiù in riferimento a cibi, ma non solo. In un contesto scherzoso può significare anche “propinare”, “somministrare” (per esempio, Il professore ci ha ammannito una spiegazione soporifera). Scrivi tre frasi facendo uso del verbo ammannire nelle sue diverse accezioni.


13. Lessico. Sinonimi. Associa ogni termine della colonna di sinistra al suo sinonimo.

  • a) sopore
  • b) fulgente
  • c) pitocco
  • d) cubito


1) gomito

2) sonno

3) splendente

4) mendicante

PRODURRE

14. Scrivere per raccontare. Riscrivi il racconto della prova dell’arco dal punto di vista di Penelope o di Telemaco, cercando di esprimere i moti interiori dell’animo di uno di questi personaggi, così legati a Odisseo (massimo 20 righe).


15. Scrivere per argomentare. Ha ragione lo straniero a chiedere di partecipare alla gara oppure no? È più importante la legge dell’ospitalità oppure ha ragione Antinoo, che cerca di farlo ragionare, sottolineando che ha già avuto un trattamento di riguardo venendo ammesso al banchetto? La discussione occupa una parte significativa del brano e vede l’intervento di Antinoo, Eurimaco, Penelope e Telemaco. Scrivi un testo argomentativo in cui sostieni e rinforzi la tesi di uno dei quattro personaggi che si confrontano nell’episodio (massimo 15 righe).

L’emozione della lettura - volume C
L’emozione della lettura - volume C
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