T10 - La vecchia nutrice riconosce Odisseo

T10

La vecchia nutrice riconosce Odisseo

  • Tratto da Odissea, libro XIX, vv. 386-490

Dopo l’incontro con il cane Argo, il mendicante, alias Odisseo, è ricevuto al palazzo di Itaca dove chiede ospitalità. A Penelope, che gli chiede notizie sul marito, riferisce di averlo conosciuto a Creta e la rassicura sul suo ritorno. Secondo le norme dell’ospitalità, la donna incarica allora la fedele nutrice Euriclea di lavare i piedi allo straniero, che le ha recato informazioni così incoraggianti.

Disse così, e la vecchia prese il bacile lucente,

in cui lavava i piedi, vi versò molta acqua

fredda e aggiunse poi quella calda. Odisseo

sedeva discosto dal focolare, e d’un tratto si volse alla tenebra:

390 subito temette nell’animo che nel toccarlo

notasse la sua cicatrice e si scoprisse ogni cosa.

Lavava il padrone accostandosi e riconobbe all’istante

la ferita che gli inferse il cinghiale col bianco dente,

quando andò sul Parnaso, da Autolico e i figli,

395 dal nobile nonno materno, che spiccava tra gli uomini

per ladrocinio e spergiuro: glieli diede il dio stesso

Ermete, al quale bruciava cosci graditi

di agnelli e capretti, e che lo scortava benevolo.

Arrivando nel ricco paese di Itaca, Autolico

400 aveva trovato il figlio neonato di sua figlia;

sui ginocchi Euriclea glielo pose,

quando egli finì la sua cena, gli rivolse la parola, gli disse:

«Autolico, trova ora tu un nome da imporre

al figlio caro di tua figlia: fu tanto agognato da te».

405 Le rispose allora Autolico e disse:

«Genero mio, figlia mia, mettetegli il nome che dico:

io vengo qui con odio per molti,

uomini e donne sulla terra molto ferace,

e dunque si chiami Odisseo di nome. Ed io,

410 allorché cresciuto verrà sul Parnaso,

nel palazzo materno dove sono i miei beni,

a lui ne darò mandandolo a casa contento».

Per questi Odisseo andò, per avere gli splendidi doni.

Autolico e i figli di Autolico

415 l’accolsero con abbracci e parole gentili;

Anfitea, la nonna materna, strinse Odisseo,

gli baciò il capo e i due occhi belli.

Autolico ordinò ai suoi figli gloriosi

di preparare il pranzo: essi ubbidirono all’ordine.

420 Subito portarono un bue di cinque anni,

lo scuoiarono e prepararono, lo squartarono tutto,

lo spezzettarono con maestria, l’infilzarono in spiedi,

l’arrostirono con attenzione e le parti divisero.

Così tutto il giorno, fino al tramonto,

425 mangiarono, e al loro animo non mancò la giusta porzione;

appena il sole calò e sopraggiunse la tenebra,

allora si coricarono e colsero il dono del sonno.

Quando mattutina apparve Aurora dalle rosee dita,

per la caccia partirono, sia i cani sia loro,

430 i figli di Autolico; il chiaro Odisseo andava

con essi. Salirono il ripido monte vestito di boschi,

il monte Parnaso, e presto arrivarono in gole ventose.

Il sole colpiva da poco i campi

fuori dal calmo e profondo Oceano fluente,

435 e i cacciatori arrivarono in una valletta: davanti ad essi

andavano i cani, cercando le tracce, e dietro

i figli di Autolico; il chiaro Odisseo andava

con essi, accosto ai cani, agitando la lancia dalla lunga ombra.

Lì, nella folta macchia, era acquattato un grosso cinghiale;

440 non la penetrava il vigore dei cani che spirano umidi,

né mai il sole lucente la colpiva coi raggi,

e neppure vi filtrava la pioggia: così fitta

essa era, e c’era un mucchio enorme di foglie.

Gli giunse il rumore dei piedi degli uomini e quello dei cani,

445 come cacciando avanzavano: sbucò loro incontro dal covo,

irto di setole, spirando fuoco dagli occhi,

e s’arrestò innanzi ad essi. S’avventò Odisseo

per primo, alzando la lunga lancia con la mano robusta,

bramoso di ucciderlo; lo prevenne il cinghiale, lo percosse

450 sopra il ginocchio, gli cavò molta carne col dente,

di fianco avventandosi, ma senza giungere all’osso dell’uomo.

Odisseo lo colse e ferì alla spalla diritta,

la punta dell’asta lucente lo passò parte a parte:

nella polvere cadde, stridendo, gli colò via la vita.

455 Gli prestarono aiuto i cari figli di Autolico:

legarono con abilità la ferita

del nobile Odisseo pari a un dio, arrestarono il fosco sangue

con un incantesimo e subito giunsero alla casa del padre.

Autolico e i figli di Autolico.

460 dopo averlo ben guarito, offertigli splendidi doni,

lietamente lo mandarono a Itaca, lieto,

rapidamente. Il padre e la madre augusta gioirono

che fosse tornato e gli chiesero in ogni punto

perché subì la ferita: e ad essi egli spiegò

465 che a caccia lo aveva aggredito un cinghiale col bianco dente,

quando egli andò sul Parnaso coi figli di Autolico.

Questa ferita la vecchia toccò con le palme

e al tatto la riconobbe: abbandonò il piede.

Piombò nel bacile la gamba, risuonò il bronzo,

470 s’inchinò dalla parte opposta, l’acqua si versò a terra.

Gioia e dolore a un tempo la colsero al cuore, le si empirono

gli occhi di lacrime, le si arrestò la voce fiorente.

Toccandogli il mento disse ad Odisseo:

«Ma tu, figlio caro, sei Odisseo: ed io prima

475 non t’ho ravvisato, prima d’aver tutto palpato il mio signore».

Disse e guardò con gli occhi Penelope,

volendo mostrarle che il caro sposo era in casa.

Ma lei non poteva vederla in faccia e capire:

le distolse Atena la mente. Ma Odisseo

480 le prese e afferrò con la destra la gola,

con l’altra le trasse a sé e le disse:

«Balia, perché mi vuoi perdere? Mi hai nutrito tu stessa

al tuo seno! Dopo tanti dolori sofferti,

sono ora tornato, al ventesimo anno, nella terra dei padri.

485 Ma poiché hai scoperto e un dio te l’ha posto nell’animo,

taci! Nessun altro in casa lo sappia.

Perché così ti dico e così di sicuro sarà:

se un dio abbatterà per mia mano gli egregi corteggiatori,

non rispetterò te, che pur sei la mia balia, qualora le altre

490 ancelle uccidessi nella mia casa, le donne».


Omero, Odissea, libro XIX, vv. 386-490, trad. di G.A. Privitera, Mondadori, Milano 2015

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a TU per TU con il testo

Quante volte ci capita di individuare in una persona apparentemente sconosciuta qualche tratto anatomico o segno particolare che ci ricordano un amico o un parente che non vediamo da tanto tempo? Allo stesso modo, fortunate trasmissioni televisive confermano che la ricerca di persone scomparse è spesso affidata ad alcuni marchi inequivocabili (voglie, nei, tatuaggi ecc.), talvolta più eloquenti di un documento d’identità. Ma il riconoscimento non è solo motivo di gioia inaspettata: è anche una soluzione narrativa da sempre utile ad appassionare lettori e spettatori. Curiosità della ricerca e sorpresa sono due ingredienti immancabili in ogni trama d’avventura.

Non a caso, secondo il filosofo greco Aristotele, il rivelarsi improvviso e inatteso dell’identità di un personaggio costituisce l’epilogo ricorrente di un’opera teatrale, capace di creare il colpo di scena necessario alla soluzione di una vicenda intricatissima. Il riconoscimento di Odisseo da parte di Euriclea si condisce però di qualche elemento in più: non è solo il più antico della letteratura occidentale, ma mette sulla scena due attori quanto mai antitetici (o che tali appaiono ai nostri occhi). L’eroe e la sua balia, cioè il massimo della forza e la calda intimità dell’affetto incarnata da una figura mite, semplice e rassicurante come è o dovrebbe essere l’infanzia.

Analisi

Mentre Euriclea prepara l’acqua per lavare i piedi del mendicante, Odisseo con un gesto improvviso cerca l’oscurità, consapevole di avere un segno inconfondibile sulla gamba e spaventato dall’idea di essere riconosciuto dalla vecchia nutrice. L’eroe sa bene che rivelare ora la propria identità significherebbe compromettere i piani studiati con Telemaco e mandare in fumo il desiderio di vendetta sui Proci covato tanto a lungo. Ma, anche sul piano narrativo, il precoce smascheramento determinerebbe una brusca conclusione del poema, con l’effetto di deludere le aspettative dell’ascoltatore. Per tali ragioni, con una studiata sapienza narrativa, Omero sembra temporeggiare, spostando in avanti il momento decisivo della rivelazione e indugiando con un “racconto nel racconto”, una lunga digressione, cioè una divagazione dal racconto principale (vv. 393-466), per narrare come Odisseo si fosse procurato la cicatrice ben nota alla sua balia.

 >> pagina 255 

Attraverso il ricorso alla tecnica del flashback (o analessi), l’autore risale a due distinti momenti dell’infanzia di Odisseo: il primo è relativo alla nascita, quando venne a trovarlo il nonno materno Autolico (vv. 399-412), al quale spetta il compito di scegliere il nome per il neonato (Genero mio, figlia mia, mettetegli il nome che dico: / io vengo qui con odio per molti, / uomini e donne sulla terra molto ferace, / e dunque si chiami Odisseo di nome, vv. 406-409).

Il secondo si situa invece in un momento successivo dell’adolescenza dell’eroe. Invitato da Autolico in montagna, Odisseo si era recato sul monte Parnaso, desideroso di ricevere i doni promessi dal nonno e, dopo un sontuoso banchetto, l’indomani aveva partecipato a una battuta di caccia con i cani (vv. 428-459). La descrizione del contesto naturale, soprattutto della folta macchia in cui era nascosto un cinghiale, è particolarmente accurata e realistica, quasi ad anticipare le insidie a cui va incontro Odisseo. Attaccato di sorpresa e colpito alla gamba, tuttavia, egli riesce a uccidere l’animale e, soprattutto, a salvarsi grazie alle pronte cure prestate dai figli di Autolico. Su un piano simbolico, l’episodio serve al giovane per meritarsi il proprio nome (Odisseo significa “odiato dai nemici”) e mostrare il proprio valore. La battuta di caccia acquista in tal modo la funzione di un’esperienza iniziatica mediante la quale il futuro eroe fa per la prima volta esperienza del dolore ed entra nel mondo degli adulti. Si tratta, in altri termini, di un vero e proprio rito di passaggio; la prova di coraggio è superata: Odisseo è pronto a difendere la propria comunità.

Conclusa la digressione, Omero ci riporta rapidamente nel chiuso della stanza in cui Euriclea lava i piedi del mendicante. Quando la vista della cicatrice non lascia adito a dubbi, la reazione della donna è dettata da una gioia istintiva. Lascia il piede, facendo cadere la gamba dentro il bacile, il bronzo risuona e l’acqua trabocca. Un sussulto di affetto e felicità la invade: «Ma tu, figlio caro, sei Odisseo: ed io prima / non t’ho ravvisato, prima d’aver tutto palpato il mio signore» (vv. 474-475). Il quadretto delineato da Omero è particolarmente tenero, come lo era stato il racconto di Fenice ad Achille nell’Iliade ( T6, p. 140), ma si segnala anche per il realismo spiccato e per la durezza della reazione di Odisseo, determinato a impedire che il suo piano di riscatto e vendetta sia sventato dall’affetto di una donna (vv. 482-490). Ancora una volta nell’Odissea il mondo femminile sembra parlare una lingua di affetti ed emozioni, rigidamente sottomessa all’orizzonte di valori e priorità fissato dagli uomini. Nessuna tenerezza ora è possibile: il re spodestato deve prima riportare la giustizia nella sua patria.

Laboratorio sul testo

COMPRENDERE

1. In quale occasione Autolico si era trovato a Itaca? Che cosa gli aveva chiesto allora Euriclea?


2. Che cosa significa il nome Odisseo, secondo la versione del nonno?


3. In che modo Odisseo si era procurato la cicatrice sulla gamba?


4. Che cosa vorrebbe fare Euriclea non appena riconosce l’eroe?

  •     Abbracciarlo.
  •     Chiedergli notizie sui suoi viaggi.
  •     Chiamare Penelope.
  •     Avvertire i Proci.


5. Che cosa impedisce l’improvvisa rivelazione della vera identità del mendicante?

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ANALIZZARE E INTERPRETARE

6. Che reazione ha Euriclea nell’attimo del riconoscimento? Individua nel testo il passaggio che la descrive.


7. Che atteggiamento ha Odisseo nei confronti di Euriclea, non appena la donna lo riconosce? Perché?


8. Quale funzione ha la digressione sull’origine della cicatrice di Odisseo?

COMPETENZE LINGUISTICHE

9. Sintassi. Al v. 486 si legge: Nessun altro in casa lo sappia. Sappia è un congiuntivo

  •     desiderativo.
  •     ipotetico.
  •     concessivo.
  •     esortativo.


10. Lessico. Al v. 462 si legge: la madre augusta. Fai una breve ricerca sul vocabolario e indica quale, tra i seguenti termini, è corradicale (cioè condivide la stessa radice) con l’aggettivo augusto.

  •     augurio.
  •     automatico.
  •     angusto.
  •     venerabile.

PRODURRE

11. Scrivere per raccontare. Riscrivi l’episodio della battuta di caccia sul Parnaso in prima persona, facendo tuo il punto di vista di Odisseo giovinetto. Mettine in risalto il coraggio temerario e le paure tipiche di un principiante (massimo 15 righe).

SPUNTI PER DISCUTERE IN CLASSE

Che ruolo può avere un riconoscimento in un film, in un libro o in un’opera teatrale? Rifletti sulla funzione dell’agnizione, facendo riferimento a esempi a te noti e discutine in classe con l’insegnante e con i compagni.

L’emozione della lettura - volume C
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