Il poema di Odisseo

1. Il poema di Odisseo

L’Odissea è il poema epico – composto da circa 12 000 versi, suddivisi in ventiquattro libri (o canti) – che tratta del ritorno di Odisseo (o Ulisse, dal latino Ulixes), reduce dalla guerra di Troia, all’isola natia, Itaca. Tra i tanti racconti sui ritorni in patria (nóstoi, in greco) degli eroi greci che avevano partecipato al conflitto narrato nell’Iliade, quello di Odisseo è il più lungo e articolato: per questo è diventato nei secoli una metafora del viaggio come esperienza interiore, che permette all’uomo di maturare, conoscere e accettare i propri limiti, dare un senso al dolore e alle gioie dell’esistenza.

A differenza dell’Iliade, che prende il nome dalla città di Ilio, l’Odissea vuole essere soprattutto la storia di un uomo, Odisseo, celebre per la sua proverbiale intelligenza (la métis, in greco). Le innumerevoli prove cui il lungo viaggio di ritorno sottopone l’eroe ne hanno fatto il simbolo di chi sa reagire a ogni situazione e affrontare insidie e difficoltà.

Diversamente dagli eroi dell’Iliade, consumati da passioni irrefrenabili e dal furore bellico, Odisseo incarna altri aspetti della civiltà greca: la curiosità intellettuale e la ricchezza degli affetti. Mentre Achille si lascia commuovere solo dalla morte dell’amico Patroclo e dalla supplica di Priamo, Odisseo è capace di una vastissima gamma di emozioni: la solidarietà nel fare proprie le sciagure dei compagni, la nostalgia per la patria e la propria casa, la gioia della scoperta, la felicità del ritorno, la fascinazione per la bellezza femminile, l’amore per la moglie e per il figlio.

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2. La struttura

L’Odissea ha una struttura elaborata, in cui fabula e intreccio non coincidono. I primi quattro libri del poema costituiscono la cosiddetta Telemachia, cioè la sezione dedicata alle avventure del figlio di Odisseo, Telemaco, che lascia Itaca per cercare informazioni sul padre presso gli altri eroi reduci dalla guerra di Troia. Alcuni critici hanno visto in questa prima parte una sezione originariamente autonoma, aggiunta al nucleo centrale del poema solo in un secondo momento, all’epoca della redazione dei poemi omerici voluta dal tiranno ateniese Pisistrato (VI secolo a.C.). La Telemachia svolge, in realtà, una funzione molto importante, in quanto connette la vicenda di Odisseo con gli altri nóstoi di eroi legati alla guerra di Troia, come Nestore e Menelao, che attraverso le proprie rievocazioni forniscono informazioni sul protagonista e incoraggiano Telemaco nel suo percorso di maturazione.

Il racconto delle vicende di Odisseo inizia in medias res solo nel libro V, con l’eroe che si trova sull’isola di Ogigia, ospite della ninfa Calipso. Da questo momento, vengono narrate le traversie del protagonista: dal libro V all’VIII esse sono riferite in presa diretta, mentre dal IX al XII Omero fa ricorso alla tecnica dell’analessi o flashback (l’eroe, ospite a banchetto alla corte di Alcinoo, rievoca le sue trascorse avventure narrandole in prima persona).

La seconda parte del poema, dal libro XIII al XXIV, contiene invece il racconto delle vicissitudini di Odisseo a Itaca, osteggiato dai Proci, i pretendenti della moglie Penelope.

3. Il tempo e lo spazio

La narrazione dell’Odissea si sviluppa in un arco temporale ristretto, di soli quaranta giorni, compresi tra la partenza dall’isola di Ogigia e l’arrivo a Itaca, ma in realtà gli eventi narrati coprono una durata complessiva di ben dieci anni. Se a questa durata si sommano i dieci anni della guerra di Troia, si ricava che Odisseo fa ritorno in patria dopo un’assenza di ben vent’anni.

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A differenza dell’Iliade, ambientata sulla piana di Troia e nei palazzi della città di Priamo, gli spazi dell’Odissea sono molto più vasti: il teatro principale delle avventure di Odisseo, infatti, è il mar Mediterraneo. Si tratta di un mare popolato da creature mostruose, come le Sirene, Scilla e Cariddi, e insidioso per i molti pericoli, come quelli causati dalla presenza dei pirati. Le isole disseminate sul cammino dell’eroe sono ora ospitali (come Ogigia, sede della residenza di Calipso, e Scheria, isola dei Feaci), ora invece piene di rischi (come l’isola di Eea, in cui abita la maga Circe). Molto spesso il fascino della narrazione è accresciuto dalla descrizione di isole o terre sconosciute, secondo un modulo tipico della letteratura di viaggio, di cui l’Odissea è modello illustre.

Accanto al mare, tuttavia, un altro ambiente domina la geografia del poema: quello della casa, vagheggiata con nostalgia, come luogo di riposo e centro degli affetti, affiorante in fugaci momenti del viaggio fino all’agognato ritorno a Itaca e al ricongiungimento dell’eroe con la moglie. Solo un uomo esperto del mondo come Odisseo può assaporare la gioia rasserenante dell’intimità e del focolare domestico.

4. La trama

Dopo il proemio, contenente la tradizionale invocazione alla Musa e l’esposizione dell’argomento ( T1, p. 186), il poema prende le mosse dal concilio degli dèi, riunito per discutere il ritorno in patria di Odisseo, trattenuto da sette anni nell’isola di Ogigia dalla ninfa Calipso, innamorata di lui. La dea Atena prega il padre Zeus di intervenire in favore dell’eroe, che si strugge per il desiderio di tornare in patria. Zeus le ricorda che a ostacolare il suo ritorno è soprattutto l’ira di Poseidone, al quale Odisseo ha accecato il figlio Polifemo. Alla fine Atena ottiene che sia mandato a Ogigia Ermes, messaggero degli dèi, per ordinare a Calipso di lasciar partire il suo ospite.

Nel frattempo Atena si reca a Itaca per esortare Telemaco a raccogliere informazioni sul padre (libro I). Messosi in viaggio, dopo essersi scontrato con i pretendenti della madre (libro II), Telemaco si reca prima da Nestore, re di Pilo ( T2, p. 190), poi da Menelao, re di Sparta (libro IV), e apprende dagli amici del padre che Odisseo è trattenuto a Ogigia da Calipso.

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Nel frattempo la ninfa, avuta notizia da Ermes della decisione degli dèi, compie un ultimo tentativo per convincere l’eroe a rimanere, promettendogli l’immortalità: ma nulla può smuovere Odisseo dall’intenzione di tornare in patria e Calipso, seppure controvoglia, acconsente alla sua partenza ( T3, p. 196). L’eroe costruisce una zattera con la quale prende la via del mare, ma dopo diciassette giorni di navigazione tranquilla, quando ormai ha avvistato Itaca, è travolto da una tempesta suscitata da Poseidone. Riesce a salvarsi grazie a un velo miracoloso ricevuto dalla dea marina Ino che gli permette di non affogare (libro V).

Il terzo giorno Odisseo approda a Scheria, l’isola dei Feaci, di cui è re Alcinoo. Nel frattempo, Atena visita in sogno la figlia del re, Nausicaa, cui suggerisce di recarsi al fiume con le ancelle. Sulla spiaggia alla foce del corso d’acqua si svolge l’incontro della fanciulla con Odisseo, risvegliato dalle grida delle ragazze che giocano a palla ( T4, p. 202). Accolto festosamente alla corte dei Feaci, Odisseo ottiene l’aiuto dal re Alcinoo e dalla regina Arete, che gli promettono di far allestire per lui una nave che lo riconduca a Itaca. Prima della partenza, però, è invitato a un banchetto, al termine del quale l’aedo Demodoco canta un episodio della guerra di Troia che suscita la commozione dell’ospite, il quale rivela finalmente la propria identità. Alcinoo lo esorta, pertanto, a raccontare la sua storia (libri VII-VIII).

Inizia così il resoconto delle disavventure dell’eroe. Partito da Troia con i suoi uomini, Odisseo era approdato dapprima nella terra dei Cìconi, popolo selvaggio stanziato in Tracia, poi in quella dei Lotòfagi, coltivatori del loto (fiore che provoca la perdita della memoria), e infine nelle isole dei Ciclopi, esseri giganteschi con un solo occhio in mezzo alla fronte. Imprigionato da Polifemo, figlio di Poseidone, era riuscito a liberarsi con uno stratagemma: fatto ubriacare il mostro, lo aveva accecato con un palo arroventato ( T5, p. 211), attirando in questo modo su di sé l’ira perenne del padre, dio del mare.

La meta successiva era stata la terra del dio dei venti Eolo, dal quale Odisseo aveva ricevuto un otre contenente i venti avversi alla navigazione e la raccomandazione di tenerlo chiuso. L’eroe racconta come i compagni, convinti che contenesse un tesoro, non avessero resistito alla tentazione di aprirlo, liberando in tal modo turbini violenti, causa di una tempesta e di un naufragio. Scampato al cannibalismo dei Lestrìgoni, Odisseo era approdato nell’isola di Eea, regno della maga Circe, che aveva trasformato i suoi compagni in maiali. Grazie all’aiuto di Ermes, egli era riuscito a resistere agli incantesimi della donna e aveva ottenuto che i compagni riacquistassero sembianze umane ( T6, p. 222).

Dopo un anno trascorso da Circe (libro X) Odisseo era disceso nell’Ade e qui aveva ricevuto dall’indovino Tiresia una profezia relativa al suo difficile rientro in patria e alla sua morte ( T7, p. 230). La visita nell’aldilà gli aveva concesso anche la possibilità di incontrare l’ombra della madre Anticlea e dei compagni Agamennone, Achille e Aiace, quest’ultimo ancora offeso per non aver ottenuto le armi di Achille, finite invece a Odisseo stesso. Tornato da Circe, aveva ricevuto altre istruzioni per proseguire il suo viaggio. Giunto in prossimità dell’isola delle Sirene, mostri che facevano naufragare i marinai con il loro canto ammaliante, l’eroe – dopo aver tappato le orecchie dei compagni con la cera – si era fatto legare all’albero della nave per resistere alle loro lusinghe, pur ascoltandole ( T8, p. 237).

Aveva superato, quindi, lo stretto abitato dai mostri marini Scilla e Cariddi ed era arrivato nell’isola di Trinacria. Qui aveva perso tutti i compagni perché avevano mangiato le vacche sacre al dio Sole, suscitando la sua ira e la sua tremenda vendetta. La tappa successiva del viaggio era stata l’isola di Calipso, Ogigia, dove Odisseo era arrivato ormai completamente solo.

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Al termine dei racconti riferiti alla corte dei Feaci (libro XII), Alcinoo fa ricondurre Odisseo a Itaca su una nave. Risvegliatosi sulla spiaggia della sua isola d’origine, che all’inizio non riconosce ( T9, libro XIII, p. 242), l’eroe inizia la seconda parte delle sue avventure, non meno complicate delle precedenti. In patria le insidie vengono dai Proci, i tracotanti pretendenti della moglie Penelope e del trono di Itaca, che durante la sua assenza hanno dilapidato i beni della sua famiglia.

Assunte le sembianze di un mendicante per l’intervento di Atena, Odisseo si reca dal porcaro Eumeo, rimastogli fedele, al quale ancora non rivela sua vera identità (libro XIV). Frattanto, su indicazione di Atena, Telemaco è ritornato a Itaca (libro XV), dove incontra il padre, che si fa riconoscere da lui ( T9, libro XVI, p. 244). Dopo aver discusso insieme il piano per sconfiggere i Proci, il giorno successivo Telemaco conduce il mendicante alla reggia. In prossimità del palazzo un cane solleva la testa e le orecchie: si tratta di Argo, un tempo lo splendido cane da caccia di Odisseo, ormai vecchio e randagio. Riconosciuto dopo vent’anni il padrone, che a stento cela le lacrime, il fidato animale muore ( T9, libro XVII, p. 246). Entrato nel palazzo sotto mentite spoglie, Odisseo viene maltrattato dai Proci e ricevuto da Penelope, che vorrebbe avere da lui notizie sul marito (libri XVII-XVIII). In un secondo momento, la vecchia nutrice Euriclea, alla quale Penelope affida lo straniero perché lo lavi e si occupi del suo riposo, riconosce Odisseo da un’inconfondibile cicatrice al ginocchio, risalente all’infanzia ( T10, p. 251). Quando la donna per l’emozione rovescia l’acqua, desiderosa di dare subito la notizia a Penelope, è l’eroe stesso a imporle il silenzio, necessario a organizzare la vendetta sui Proci (libro XIX).

Il giorno successivo i Proci sono di nuovo a banchetto (libro XX). Penelope, sempre più incalzata dai pretendenti, si decide a indire una gara per individuare il nuovo marito: chi fosse riuscito a tendere l’arco di Odisseo e a far passare una freccia attraverso i fori di dodici scuri fissate nel suolo, sarebbe diventato re di Itaca. Siccome nessuno dei pretendenti vi riesce, il mendicante, benché deriso da tutti, chiede di partecipare alla gara e supera inaspettatamente la prova ( T11, p. 257). Ha avvio così la vendetta di Odisseo, che rivela la sua identità agli avversari e, aiutato da Telemaco, li elimina uno dopo l’altro ( T12, p. 263). Non vengono risparmiate neanche le ancelle che si erano unite ai pretendenti durante la sua assenza e il capraio Melanzio (libro XXII).

L’ultima prova che Odisseo deve affrontare è il riconoscimento da parte della moglie, alla quale Euriclea comunica la notizia del ritorno del marito e della strage. Penelope, tuttavia, non si lascia convincere subito, neanche dopo aver visto Odisseo lavato e vestito con un bel manto e una tunica. Lo mette, perciò, alla prova: ordina di trasferire il letto fuori dalla stanza nuziale. Odisseo reagisce attonito: quel letto non poteva essere spostato, dal momento che lo aveva costruito lui stesso sul tronco di un ulivo ben conficcato nel suolo. Avuta la prova definitiva della sua identità, Penelope si scioglie in lacrime e abbraccia il marito ( T13, p. 268).

L’Odissea non è ancora finita: il giorno dopo Odisseo si reca finalmente dal vecchio padre Laerte. Alla commozione dell’incontro, segue un consiglio di ordine pratico: i parenti degli uccisi sono in rivolta e covano sentimenti di vendetta. L’intervento di Atena servirà a placare gli animi e a ristabilire la pace sull’isola (libro XXIV).

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LA VOCE DEI MODERNI

L’ultimo viaggio di Odisseo

La fine dell’Odissea racconta l’abbraccio tra Odisseo e Penelope, che finalmente si riuniscono dopo vent’anni di distacco. Nel poema dunque non viene raccontata la morte dell’eroe, pronosticata dall’indovino Tiresia alle porte dell’Ade nel libro XI.

Secondo l’oscura profezia, una volta tornato in patria, Odisseo sarebbe stato destinato a ripartire con un remo sulla spalla per un nuovo viaggio. Un giorno un viandante gli avrebbe chiesto se reggesse un ventilabro (uno strumento agricolo). Tale domanda evidentemente poteva venire solo da una persona che non conosceva gli strumenti della navigazione, che confondeva con quelli dell’agricoltura; doveva perciò trattarsi di un uomo proveniente da una regione senza sbocchi sul mare. Solo allora, dopo aver piantato il remo in terra e compiuto sacrifici a Poseidone, Odisseo sarebbe potuto definitivamente tornare a casa e restarvi. Ormai anziano e circondato da popoli prosperi sarebbe stato colto dalla morte, giunta dal mare.

Questa profezia suscitò fantasie di ogni genere nel corso dei secoli. Dante, per esempio, presenta Ulisse nel canto XXVI dell’Inferno come protagonista di un nuovo viaggio oltre le colonne d’Ercole, finito rovinosamente in una tempesta suscitata da Dio al suo avvicinarsi alla montagna del Purgatorio, nel­l’emisfero australe. In quanto «consigliere di frode», Odisseo, che era stato l’ideatore dello stratagemma del cavallo di legno, è costretto ad ardere dentro una fiamma doppia insieme a Diomede, altro artefice di inganni. Al centro della rilettura dantesca è il discorso rivolto dall’eroe ai suoi compagni per spronarli a seguirlo nel «folle volo», oltre le colonne d’Ercole.


“O frati”, dissi, “che per cento milia

perigli siete giunti a l’occidente,

114 a questa tanto picciola vigilia


d’i nostri sensi ch’è del rimanente

non vogliate negar l’esperïenza,

117 di retro al sol, del mondo sanza gente.


Considerate la vostra semenza:

fatti non foste a viver come bruti,

120 ma per seguir virtute e canoscenza”.

Dissi: «O fratelli, che siete giunti all’estremo occidente attraverso centomila pericoli, non vogliate negare a questa piccola vigilia che rimane ai vostri sensi (ai vostri ultimi anni) l’esperienza del mondo disabitato, che si trova a ovest, dove tramonta il sole. Considerate la vostra origine: non siete stati creati per vivere come bestie, ma per seguire la virtù e la conoscenza».

Dante Alighieri, La Commedia secondo l’antica vulgata,
a cura di G. Petrocchi, Le Lettere, Firenze 1994


Ciò che rende Ulisse interessante agli occhi di Dante non è la sua colpa, ma l’essere stato mosso fino all’ultimo da un’irrefrenabile volontà di conoscenza. Il desiderio umano di ampliare i propri orizzonti conoscitivi, «seguire virtute e canoscenza», è tuttavia condannato al fallimento se non è guidato dalla fede in Dio.

All’inizio del Novecento, un altro poeta italiano, Giovanni Pascoli, immagina nei versi dell’Ultimo viaggio (pubblicato nel 1904, all’interno della raccolta Poemi conviviali) una sorte diversa per l’eroe: Ulisse si trattiene a Itaca per dieci anni dopo il suo ritorno, finché un giorno non riprende il mare e ripercorre a ritroso il suo viaggio. La scoperta che la realtà non corrisponde più ai ricordi serbati negli anni conduce l’eroe a un’amara delusione. Naufragato presso l’isola delle Sirene, ormai morto è trasportato dalle onde fino a Ogigia. L’Ulisse omerico è così ridotto a eroe della sconfitta, simbolo dello smarrimento dell’uomo di fronte al mistero irrisolto della morte.

5. I temi

L’Odissea deve la sua ricchezza narrativa al fatto che fonde temi della tradizione letteraria, quali il mito della guerra di Troia e del ritorno in patria degli eroi greci, con alcuni motivi della novellistica popolare, come quello dell’agnizione o riconoscimento, che è tipico del folclore. A ben vedere, infatti, la trama disegna uno sviluppo piuttosto convenzionale. Un uomo ritorna a casa dopo un lungo periodo di assenza e deve affrontare una serie di prove per ristabilire l’ordine, sconfiggere i pretendenti della moglie, che aspirano anche al suo patrimonio e al suo ruolo in società, e farsi riconoscere nonostante i mutamenti nell’aspetto fisico.

Un elemento fondamentale dell’Odissea, connaturato al poema per via della sua ambientazione nel mar Mediterraneo e del coraggio del suo protagonista, è la componente avventurosa: storie tradizionali di marinai, ricche di elementi fantastici e mostruosi, circolanti nei porti dell’epoca, sono il sostrato narrativo del poema, poi rielaborato e raffinato dall’attività di generazioni di aedi. A questo proposito bisogna precisare che, sebbene sia popolata di personaggi appartenenti al mondo del meraviglioso (come Polifemo, le Sirene, Scilla e Cariddi), dall’Odissea traspare generalmente un atteggiamento razionalistico, caratteristico della civiltà greca sin dalle sue origini. La ricchezza delle descrizioni con cui sono rappresentate anche le creature mostruose e fantastiche permette al lettore di immaginare con precisione tutto ciò che viene raccontato. La stessa Circe, per esempio, è anzitutto una dea, esperta delle proprietà delle droghe naturali, piuttosto che una maga, termine di origine persiana entrato nella lingua greca solo nel V secolo a.C., che comunemente le si attribuisce.

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È da considerare, inoltre, l’aspetto didascalico ed enciclopedico che aveva per l’intera comunità un’opera fondata sul valore straordinario di un uomo eccezionale. Per quanto possegga doti fuori dal comune, Odisseo rimane pur sempre un essere umano, non un dio: la sua esperienza può essere proposta a tutti come modello di comportamento in una varietà infinita di circostanze. Non a caso l’Odissea contiene molte informazioni utili per il suo pubblico, relative ai campi più disparati, dalla navigazione alla falegnameria. Il libro V, per esempio, ospita una sezione cospicua dedicata alla costruzione della zattera con cui Odisseo da Ogigia sarebbe arrivato all’isola dei Feaci: in un’epoca in cui la poesia epica è depositaria dell’intero patrimonio di conoscenze di una comunità, un brano di questo tipo condensa un sapere tecnico estremamente prezioso.

La società che emerge da questi quadri di vita quotidiana è quella di un mondo aristocratico, nella quale la dimensione del lavoro affiora con maggiore incisività rispetto all’Iliade: Laerte, padre di Odisseo, ormai vecchio, si dedica alla cura del suo frutteto, le donne tessono e filano, la giovane Nausicaa va al fiume a lavare i panni con le ancelle. Rispetto all’Iliade, infatti, l’assetto politico e sociale è sensibilmente mutato: la regalità, molto indebolita, deve ora misurarsi con un’aristocrazia più agguerrita, che interviene spesso nelle decisioni, limitando di fatto i poteri del sovrano. Ne è una prova la condizione subalterna in cui viene a trovarsi Telemaco, erede di Odisseo, messo in seria difficoltà dagli altri aristocratici dell’isola.

Coerente con la rivalutazione del lavoro, inoltre, è l’apertura al mondo degli umili, verso i quali l’autore dimostra una notevole sensibilità umana e morale, impensabile nell’Iliade. Prova di questo è la figura di Eumeo, un semplice allevatore di maiali, che ospita con generosità Odisseo nelle vesti di mendicante, prima ancora di riconoscerne l’identità.

Al maggiore realismo dell’Odissea contribuisce, infine, il ruolo più autonomo delle figure femminili, emancipate dalla quasi esclusiva condizione di mogli o ancelle che avevano nell’Iliade: la regina dei Feaci Arete, Penelope, Calipso, Nausicaa, Circe, Euriclea incarnano diversi aspetti della femminilità in varie fasi della vita e in ambiti sociali differenziati.

6. I personaggi principali

Lo schema dei personaggi vede una serie di figure che gravitano attorno al protagonista, Odisseo, e alle sue peregrinazioni. Rispetto all’Iliade, nell’Odissea hanno un ruolo maggiore mostri e altri esseri appartenenti al mondo del meraviglioso; gli dèi, invece, sono presenti in misura minore.

Uomini e figli di divinità

  • Odisseo: figlio di Laerte e Anticlea, marito di Penelope e padre di Telemaco, è il protagonista del poema, sempre mosso dal desiderio del ritorno in patria e da un’insopprimibile curiosità. Il suo nome è di etimologia oscura, ma Omero stesso nel libro XIX sembra ricondurlo al verbo odýssomai (“odiare”): Odisseo è “colui che odia” perché deve compiere una vendetta sui suoi nemici, oppure è “colui che è odiato”, in considerazione dei mille ostacoli che si oppongono al suo ritorno.
    Se già nell’Iliade Odisseo si distingue per l’abilità oratoria, nell’Odissea rappresenta un modello di intelligenza astuta e concreta, ma anche di saggezza, qualità che in greco si chiama metis. Essa, come osserva la studiosa Eva Cantarella, «è frutto dell’esperienza e della riflessione, di conoscenze acquisite con la pratica. E non raggiunge mai gli obiettivi in modo lineare: sostanzialmente essa consiste nella capacità di usare trucchi, stratagemmi, di inventare insidie agendo per vie traverse, oblique, raggiungendo gli obiettivi per strade tortuose». Odisseo, infatti, è stato l’ideatore del cavallo di legno, utile a espugnare Troia, benché l’episodio non sia narrato nel poema.
    Eroe polýtropos (“dai molti giri”, da polýs, “molto”, e trépein, “volgere”), cioè versatile e ingegnoso, e polýtlas (“che molto sopporta”, “paziente”), è il protagonista della plane, termine greco che indica il vagare in ampi spazi senza obiettivi di conquista. Odisseo, infatti, si muove sul mare, sballottato dalla sorte, esplora nuove terre, si unisce a molte donne, ma non assume mai il comportamento del conquistatore.
  • Penelope: moglie di Odisseo, astuta come il marito, è un esempio di fedeltà. Per rimandare il più a lungo possibile il momento del matrimonio con uno dei pretendenti inventa lo stratagemma della tela: afferma di impegnarsi a sposare uno dei Proci soltanto quando avrà finito di tessere il sudario per il suocero Laerte. Il lavoro si rivela di fatto interminabile, perché di notte la donna disfa la parte di tela tessuta durante il giorno.
  • Telemaco: figlio di Odisseo, è il protagonista dei primi quattro libri (la cosiddetta Telemachia), che narrano dei suoi viaggi presso Nestore e Menelao per avere notizie recenti di Odisseo. Rappresenta la figura filiale per eccellenza, simile al padre nell’aspetto fisico e nell’avvedutezza. Sarà suo complice in occasione della strage dei Proci.
  • Alcinoo: re dei Feaci, popolo che abita l’isola di Scheria, dimostra grande ospitalità nei confronti di Odisseo, al quale facilita il rientro in patria.
  • Nausicaa: figlia di Alcinoo, re dei Feaci. È una fanciulla nel fiore degli anni, dall’animo nobile e generoso che cede al fascino misterioso di Odisseo e lo aiuta quando l’eroe naufraga sull’isola di Scheria.
  • Calipso: ninfa bellissima che abita sull’isola di Ogigia. Innamorata di Odisseo, lo trattiene presso di sé per sette anni e arriva a promettergli l’immortalità e l’eterna giovinezza pur di non farlo tornare a Itaca.
  • Circe: figlia del Sole, è una maga che abita l’isola di Eea. Trasforma i compagni di Odisseo in porci, ma è poi vinta da Odisseo, che grazie all’erba donata da Ermes sfugge alla trasformazione in maiale. Seduce l’eroe e lo convince a restare presso di sé per un anno. Prima che Odisseo lasci l’isola, gli fornisce molti consigli in vista del seguito del viaggio.
  • Eumeo: allevatore di maiali, è uno dei pochissimi servitori rimasti fedeli a Odisseo durante la sua assenza.
  • Polifemo: il più famoso dei Ciclopi, esseri mostruosi con un solo occhio in mezzo alla fronte. Figlio di Poseidone, viene accecato da Odisseo che riesce con un’astuta trovata a uscire con i suoi compagni dalla spelonca in cui abita il ciclope.
  • Proci: i pretendenti di Penelope, esponenti dell’aristocrazia di Itaca, sono il ricettacolo di tutti i vizi e delle peggiori qualità. Il più ricco e arrogante è An­tinoo, che ha un nome parlante: “mente avversa”. Scialacquatori, crudeli, empi, pavidi, appartengono anch’essi alla tradizione del racconto popolare, insieme ai servi infedeli (Melanto e Melanzio).
  • Sirene: figlie del fiume Acheloo e di una musa, forse Melpomene, sono esseri mostruosi che ammaliano i marinai con il loro canto, determinandone il naufragio. Benché non siano descritte da Omero, nella tradizione mitologica erano rappresentate con la testa di donna e il corpo di uccello.

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Gli dèi

  • Zeus: figlio di Crono e padre degli dèi, mantiene l’ordine e la giustizia nel mondo. Nell’Odissea comincia a essere rappresentato come protettore di poveri e stranieri.
  • Atena: dea della sapienza, protegge Odisseo in svariate occasioni del poema. Consiglia a Telemaco di recarsi in altri regni per chiedere informazioni sul padre e soccorre Odisseo sulla spiaggia di Scheria e su quella di Itaca.
  • Poseidone: dio del mare, avversa in ogni modo Odisseo dopo che questi gli ha accecato il figlio Polifemo.
  • Ermes: messaggero degli dèi, comunica a Calipso la decisione presa dal concilio degli dèi di far partire l’eroe da Ogigia.
le tecniche narrative

Fabula e intreccio Non vi è coincidenza tra fabula e intreccio. La storia inizia in medias res e presenta vari ­flashback, il più lungo dei quali è nei libri IX-XII (racconti di Odisseo ad Alcinoo); dal libro XIII la narrazione ritorna lineare.
Spazio Il viaggio di Odisseo si svolge nel mar Mediterraneo, da Troia fino all’estremo Occidente secondo alcuni, ma è difficile definire con precisione la geografia dei luoghi visitati. Gli ambienti che ricorrono come scenario dei fatti narrati sono:
• il mare, visto nella sua pericolosità a causa di creature meravigliose e mostri;
• la terra sconosciuta, che per chi viaggia in mare è spesso assimilabile a un’isola, intesa come luogo insidioso da esplorare (isola di Circe) oppure come luogo ameno e ospitale (Ogigia);
• Itaca, la patria, che all’inizio Odisseo stenta a riconoscere.
Tempo La narrazione copre un periodo di quaranta giorni, ma gli eventi narrati si estendono su un arco di dieci anni.
Narratore Il narratore è esterno, onnisciente e oggettivo. Racconta i fatti in terza persona, conosce tutte le vicende dei protagonisti, il loro destino e il loro futuro.
Cede la parola a un narratore interno di secondo grado, Odisseo, nei libri dal IX al XII, il che conferisce un pathos maggiore al racconto.
Stile • Ripetitività e formularità.
• Ricorso alle similitudini.
• Realismo.

Verifica delle conoscenze

1. Che cosa si intende per nóstoi?

2. Indica le qualità che caratterizzano Odisseo, il protagonista del poema.

3. In che rapporto sono fabula e intreccio nell’Odissea?

4. In che cosa consiste la Telemachia?

5. Quali sono gli spazi più comuni che fanno da scenario alle vicende del poema?

6. Illustra in breve i principali temi dell’Odissea.

7. Come si manifesta la magia nel poema?

8. Che cosa differenzia i personaggi femminili dell’Odissea da quelli dell’Iliade?

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PASSATO E PRESENTE

Il viaggio di Odisseo dall’antichità a oggi

Il tentativo di individuare con precisione i luoghi reali del viaggio di ritorno di Odisseo verso Itaca risale all’antichità. Già il dotto Eratostene di Cirene (III-II secolo a.C.) ammoniva: «Troverai la rotta di Odisseo quando avrai trovato il ciabattino che ha cucito l’otre di Eolo». Il significato sotteso era che ogni studio della geografia dell’Odissea si scontra con un’irriducibile componente mitica, che non ha senso ricercare nella realtà. Muovendosi da Troia 1, in realtà sin dall’inizio Odisseo non è padrone della rotta: è il vento a spingere la sua nave verso una terra inospitale, il paese dei Ciconi 2, localizzato in Tracia.

La tappa successiva è la terra dei Lotofagi 3, i mangiatori di loto, nella quale Odisseo approda dopo nove giorni di tempesta, che ha colto lui e i suoi uomini presso il famoso capo Malea nel Peloponneso. Una tradizione antica individuava nelle coste della Libia una possibile localizzazione per l’isola dei Lotofagi. Altra identificazione ricorrente è quella con l’isola di Djerba, nel sud della Tunisia. Qui cresce, infatti, un dattero – il giuggiolo di Barberia – da cui si ottiene una bevanda inebriante, che ha fatto pensare al frutto omerico del loto, capace di far perdere la memoria.

La meta successiva è la terra dei Ciclopi 4, che i Greci stessi situavano in Sicilia, ai piedi dell’Etna. Una diversa localizzazione è stata proposta dallo studioso francese Victor Bérard (1864-1931), noto per essersi occupato di ricostruire fedelmente le tappe del mitico viaggio di Odisseo. Bérard, che per le ricognizioni utilizzava la sua stessa barca, situava la terra dei Ciclopi vicino a Napoli, presso l’isola di Nisida. Lo studioso francese adduceva a favore della sua tesi, molto discussa tra gli studiosi, il fatto che alcune grotte di Capo Posillipo fossero state abitate fino agli inizi del secolo scorso.

L’isola di Eolo consigliere degli dèi e domatore dei venti 5, invece, deve collocarsi nelle Eolie o Lipari, arcipelago del Tirreno a nord della Sicilia. Ripartiti dalla reggia di Eolo con l’otre dei venti avversi, Odisseo e i suoi sono poi sballottati sulla costa dei Lestrigoni 6, giganti antropofagi, identificata in genere con la Sardegna.

L’isola Eea 7, invece, dimora di Circe, è stata identificata sin dall’antichità con il promontorio del Circeo, che però non è un’isola. Si è ipotizzato, quindi, che in epoca antica dovesse essere separato dalla terra e circondato dal mare o collegato alla terra da una spiaggia. A ricordo di questa tradizione esiste ancora una grotta detta “della maga Circe”, nonché le rovine del cosiddetto tempio di Circe (o di Venere). Si è conservato fino a oggi anche il nome del lago d’Averno 8, bacino di origine vulcanica non distante da Pozzuoli, considerato dagli antichi l’ingresso dell’Ade.

Superate le Sirene, Scilla e Cariddi 9, che ancora sono ricordate nella toponomastica nell’area dello stretto di Messina, la tappa seguente è l’isola in cui pascolano gli armenti del Sole, la Trinacria 10, che in greco potrebbe significare treis, “tre” e akra, “promontori”, cioè i tre vertici del triangolo al quale assomiglia la Sicilia.

La localizzazione di Ogigia 11, invece, è un problema aperto. Secondo alcuni, si tratterebbe di un’isola situata oltre lo stretto di Gibilterra, oppure della penisola di Ceuta in Marocco; secondo altri autori, invece, è l’isola di Gozo nell’arcipelago maltese, dove è possibile visitare la grotta di Calipso.

L’ultima tappa nel viaggio di ritorno di Odisseo è Scheria 12, isola dei Feaci. Secondo la studiosa Margherita Guarducci (1902-1999), «in realtà i Feaci sono antiche divinità dell’oltretomba, e la Scheria non è se non la misteriosa terra dei morti, abbellita dai rosei colori della poesia. Ciò non di meno i Greci tentarono d’identificare la Scheria, riconoscendola di preferenza nel­l’isola occidentale di Corcira, dove anche fiorì un culto di Alcinoo». Se davvero Scheria è da identificare con Corcira (in greco moderno Kérkyra, l’isola nota in italiano con il nome di Corfù), da lì il tragitto verso casa per Odisseo è decisamente breve. Il problema, piuttosto, è che sin dall’antichità non c’è accordo sull’identificazione dell’Itaca 13 odierna con quella omerica. A porre problemi sono le indicazioni di Omero stesso, che descrive l’isola come la più occidentale dell’arcipelago: in tale posizione oggi è Cefalonia. Secondo l’archeologo Wilhelm Dörpfeld (1853-1940), invece, l’Itaca omerica sarebbe da individuare nella vicina isola di Leucade. Quest’ultimo paradosso contribuisce così ad accrescere il mistero che da sempre aleggia attorno alla geografia dell’Odissea.

L’emozione della lettura - volume C
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