T5 - Un notturno omerico

T5

Un notturno omerico

  • Tratto da Iliade, libro VIII, vv. 553-565

Dopo l’incontro con Andromaca, Ettore si avvia fuori dalle porte di Troia e si imbatte in Paride, preparatosi a uscire dalla città come uno stallone ben nutrito (libro VI). Segue nella stessa giornata un altro duello senza esito, dopo quello di Paride e Menelao del libro III: Ettore sfida uno degli Achei e tra i nove volontari viene estratto il nome di Aiace Telamonio. Lo scontro, tuttavia, si protrae fino al calare dell’oscurità senza un vincitore. Il saggio Nestore consiglia agli Achei di approfittare della notte per seppellire i caduti. Concertata una tregua di un giorno con i Troiani, i Greci costruiscono un muro a difesa delle navi (libro VII). Nel frattempo Zeus si schiera a favore dei Troiani: alla ripresa degli scontri, Ettore fa strage di Greci e sta per colpire lo stesso Nestore, quando interviene in sua difesa Diomede. Sul fronte greco, Agamennone sprona i suoi uomini, tra i quali si mette in mostra Teucro, che viene ferito da Ettore e trasportato fuori dal campo di battaglia. I Greci si ritirano dietro al muro che avevano eretto a difesa delle loro navi e i Troiani, al calare della notte, si accampano sulla piana davanti alla città (libro VIII).

Essi, pieni di gloria, sul campo della lotta

stettero tutta la notte, accesero molti fuochi.

555 Come le stelle in cielo, intorno alla luna lucente

brillano ardendo, se l’aria è priva di venti;

si scoprono tutte le cime e gli alti promontori

e le valli; nel cielo s’è rotto l’etere immenso,

si vedono tutte le stelle; gioisce in cuore il pastore;

560 tanti così, fra le navi e lo Xanto scorrente

lucevano i fuochi accesi dai Teucri davanti a Ilio;

mille fuochi ardevano nella pianura, e intorno a ciascuno

cinquanta eran seduti, alla vampa del fuoco fiammante;

i cavalli, mangiando l’orzo bianco e la spelta,

565 ritti accanto ai carri, l’Aurora bel trono aspettavano.


Omero, Iliade, libro VIII, vv. 553-565, trad. di R. Calzecchi Onesti, Einaudi, Torino 2005

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a TU per TU con il testo

Possono comprendere l’incanto di questo notturno omerico solo coloro che hanno assistito allo spettacolo del cielo stellato in luoghi incontaminati, in mare aperto o in alta montagna. Il candore luminoso della striscia di stelle della via Lattea (nome dato dagli antichi alla nostra galassia) è lo stesso oggi come nell’VIII secolo a.C., ma per gli uomini accampati sulla piana di Troia esso rappresentava un mistero ancora indecifrabile e per questo tanto più affascinante.

Un dettaglio della scena, probabilmente, fa la differenza tra noi e gli antichi Greci: la gioia che riempie il cuore del pastore. Tale gioia è resa in lingua greca con un verbo a un tempo passato (gégethe) usato con valore di presente, quasi a indicare la lunga prospettiva temporale della contemplazione del cielo, che dal passato produce un effetto “commovente” sul presente. Secondo il filosofo Aristotele, questo sguardo incantato dell’uomo sullo spettacolo della natura, ancora capace di suscitare emozione e meraviglia, è uno dei motivi che resero possibile la nascita della filosofia in Grecia.

Analisi

Nell’oscurità di una notte senza vento, il gran numero dei fuochi accesi dai Troiani nell’accampamento è paragonabile alla quantità innumerevole delle stelle che brillano nel cielo. Il poeta dipinge un paesaggio montano, in cui si scoprono in successione vette, promontori, valli (vv. 557-558): su tutto domina il fascio di luce emanato dalle stelle.

Il ponte tra le due immagini, quello che retoricamente si chiama tertium comparationis (cioè il terzo elemento del confronto, l’aspetto comune ai due termini messi a paragone: in questo caso, stelle e fuochi) è l’aggettivo tanti (v. 560), cioè la gran quantità dei fuochi nel campo e delle stelle nel cielo. Il motivo dell’incommensurabilità, cioè dell’impossibilità di misurare qualcosa, è un topos della letteratura, cui si lega il sentimento dell’infinito suscitato dalla contemplazione degli astri e delle stelle.

A rendere ancora più familiare lo scenario notturno è la partecipazione degli animali: Omero, infatti, riesce a coinvolgere nell’atmosfera di ristoro e di attesa – tipica di ogni sera inoltrata – anche i cavalli, che aspettano le luci dell’alba.

La lingua omerica riflette la percezione del mondo di uomini abituati ai tempi lunghi della natura e all’eternità di alcuni suoi fenomeni. Il notturno descritto, per esempio, contiene epiteti che non sono semplicemente esornativi, ma rappresentano elementi importanti della conoscenza che i Greci avevano del mondo. L’aria, per esempio, è detta “immensa” (etere immenso, v. 558), perché il concetto nascente di immensità e di infinito in quel periodo storico è associato intuitivamente al cielo; allo stesso modo, in precedenza, la luna è definita lucente (v. 555), perché la luce compete solo a essa ed eventualmente al sole e alle stelle, mentre al fuoco è associato l’aggettivo fiammante (v. 563).

Il lessico omerico cerca così di ricreare, quanto più possibile, caratteristiche importanti della realtà: l’infinito, i colori, la luce ecc. Scrive a questo proposito il grecista austriaco Albin Lesky: «Nella ripetizione di termini uguali l’epiteto costante e la scena tipica mettono in risalto ciò che è essenziale e che ha valore, e hanno quindi un significato decisivo nella rappresentazione di un mondo in cui uomini e cose hanno il loro posto stabilito» (Storia della letteratura greca, il Saggiatore, Milano 2005).

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Laboratorio sul testo

COMPRENDERE

1. Al v. 558 si legge: s’è rotto l’etere immenso. Che cosa significa?


2. Scegli l’affermazione corretta tra le seguenti.

  •     I cavalli non partecipano ai sentimenti degli uomini accampati per la notte. 
  •     La notte cala dall’alto su un’umanità fredda e razionale. 
  •     Uomini, animali e mondo naturale partecipano coralmente all’attesa del giorno. 
  •     La notte suscita negli uomini angosce e paure irrazionali.

ANALIZZARE E INTERPRETARE

3. Quali caratteristiche sono attribuite ai vari elementi del paesaggio? Ricerca nel brano le proprietà di ciascuno e riportale nella tabella.


stelle  
luna  
aria  
cime, promontori, valli  
etere  


4. Individua gli epiteti presenti nel testo. Quale funzione svolgono, secondo te?


5. L’andamento descrittivo del brano comporta una prevalenza di

  •     paratassi. 
  •     ipotassi. 
  •     subordinazione. 
  •     anastrofe.

COMPETENZE LINGUISTICHE

6. Il linguaggio figurato. Le grandi quantità da sempre affascinano e spaventano gli esseri umani: quando Omero indica i mille fuochi accesi dai Troiani (mille fuochi ardevano nella pianura, v. 562) vuole semmai alludere a un numero molto alto, per convenzione fissato a mille.

Il fatto che i numeri siano parte della nostra quotidianità è provato dal loro impiego in fortunate espressioni colloquiali (per esempio: “fare due passi”, “fare quattro chiacchiere” ecc.). Raccogli qualche esempio di locuzioni basate su numeri.

PRODURRE

7. Scrivere per raccontare. Lo stare raccolti intorno a un fuoco di notte, sotto un cielo stellato, ha da sempre ispirato sentimenti di stupore, meraviglia, convivialità. Ti è mai capitata una situazione simile? Descrivi un tuo notturno, reale o immaginario (massimo 15 righe). Di quali argomenti parleresti con i tuoi amici o parenti attorno a un focolare?

SPUNTI PER DISCUTERE IN CLASSE

La gioia del pastore e il piacere della contemplazione della natura rappresentano un motivo di grande fascino in questo brano dell’Iliade. Com’è cambiata, secondo te, la percezione del mondo naturale dall’antichità a oggi? Qual è il tuo sentimento nei confronti della natura? Discutine in classe con i compagni.

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LA VOCE DEI MODERNI

Leopardi lettore di Omero

Il notturno con cui si chiude il libro VIII dell’Iliade ha costituito un modello per la rappresentazione del fascino del cielo stellato nella letteratura italiana.

Giacomo Leopardi (1798-1837), che da bambino lesse per intero i poemi omerici, fu letteralmente folgorato da questo passo. Nel Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica (1816) il poeta scrive: «Una notte serena e chiara e silenziosa, illuminata dalla luna, non è uno spettacolo sentimentale?». E subito dopo riporta i versi di Omero che hai appena letto.

Le liriche di Leopardi consacreranno questo motivo con una serie di memorabili quadretti notturni: uno dei più celebri è l’incipit della poesia La sera del dì di festa. Diversamente dal notturno omerico, dove il pastore gioisce per lo spettacolo del cielo stellato, i versi di Leopardi sono pervasi dall’angoscia del poeta, turbato a causa dell’amore per una donna che non ricambia i suoi sentimenti.


Dolce e chiara è la notte e senza vento,

e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti

posa la luna, e di lontan rivela

serena ogni montagna. O donna mia,

5      già tace ogni sentiero, e pei balconi

rara traluce la notturna lampa:

tu dormi, che t’accolse agevol sonno

nelle tue chete stanze; e non ti morde

cura nessuna; e già non sai né pensi

10    quanta piaga m’apristi in mezzo al petto.


G. Leopardi, Canti, in Poesie e prose, a cura di M. A. Rigoni, Mondadori, Milano 1987

L’emozione della lettura - volume C
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