Il pianto della scavatrice (P.P. Pasolini)

Lavoriamo sui testi

Analizziamo insieme

Pier Paolo Pasolini

(Bologna 1922-Roma 1975)

Il pianto della scavatrice

  • Tratto da Le ceneri di Gramsci, 1957
  • Metro terza rima con strofe irregolari, sia da un punto di vista sillabico sia nel trattamento delle rime

Nel poemetto Il pianto della scavatrice Pier Paolo Pasolini descrive i cambiamenti economico-sociali che, nel secondo dopoguerra, trasformarono l’Italia in un paese moderno. Nella VI sezione, qui riportata, il poeta sente il rumore di una scavatrice al lavoro in un cantiere. Il frastuono gli pare un grido pieno di angoscia: il lamento di un passato perso per sempre, travolto dallo sviluppo della civiltà industriale. Nei versi emerge la vicinanza sentimentale dell’autore agli operai e agli oppressi, che in silenzio lottano per il miglioramento della società.

Nella vampa abbandonata

del sole mattutino – che riarde,

ormai, radendo i cantieri, sugli infissi


riscaldati – disperate

5      vibrazioni raschiano il silenzio

che perdutamente sa di vecchio latte,


di piazzette vuote, d’innocenza.

Già almeno dalle sette, quel vibrare

cresce col sole. Povera presenza

10    d’una dozzina d’anziani operai,

con gli stracci e le canottiere arsi

dal sudore, le cui voci rare,


le cui lotte contro gli sparsi

blocchi di fango, le colate di terra,

15    sembrano in quel tremito disfarsi.

Ma tra gli scoppi testardi della

benna, che cieca sembra, cieca

sgretola, cieca afferra,


quasi non avesse meta,

20    un urlo improvviso, umano,

nasce, e a tratti si ripete,


così pazzo di dolore, che, umano,

subito non sembra più, e ridiventa

morto stridore. Poi, piano,

25    rinasce, nella luce violenta,

tra i palazzi accecati, nuovo, uguale,

urlo che solo chi è morente,


nell’ultimo istante, può gettare

in questo sole che crudele ancora splende

30    già addolcito da un po’ d’aria di mare…


A gridare è, straziata

da mesi e anni di mattutini

sudori – accompagnata


dal muto stuolo dei suoi scalpellini,

35    la vecchia scavatrice: ma, insieme, il fresco

sterro sconvolto, o, nel breve confine


dell’orizzonte novecentesco,

tutto il quartiere… È la città,

sprofondata in un chiarore di festa,


40    – è il mondo. Piange ciò che ha

fine e ricomincia. Ciò che era

area erbosa, aperto spiazzo, e si fa

cortile, bianco come cera,

chiuso in un decoro ch’è rancore;

45    ciò che era quasi una vecchia fiera


di freschi intonachi sghembi al sole,

e si fa nuovo isolato, brulicante

in un ordine ch’è spento dolore.

Piange ciò che muta, anche

50    per farsi migliore. La luce

del futuro non cessa un solo istante


di ferirci: è qui, che brucia

in ogni nostro atto quotidiano,

angoscia anche nella fiducia

55    che ci dà vita, nell’impeto gobettiano

verso questi operai, che muti innalzano,

nel rione dell’altro fronte umano,


il loro rosso straccio di speranza.


Pier Paolo Pasolini, Le ceneri di Gramsci, Einaudi, Torino 1981

L’emozione della lettura - volume B
L’emozione della lettura - volume B
Poesia e teatro