Che cos’è la metrica

1. Che cos’è la metrica

Quando ancora non esisteva la scrittura, la poesia era strettamente legata alla memoria e alla musica. I poeti cantavano, come veri e propri menestrelli, testi appresi a memoria e tramandati di bocca in bocca, accompagnandosi con strumenti musicali. Le poesie erano simili alle canzoni di oggi: il testo, inseparabile dalla melodia, era soggetto a determinate regole ritmiche. Con il passaggio dall’oralità alla scrittura, tali regole sono diventate un tratto distintivo del testo poetico: la metrica.

L’elemento basilare della metrica è il verso. Di che cosa si tratta? La parola “verso” deriva dal verbo latino vertere, che significa “voltare”: come a dire che il poeta non sfrutta tutto lo spazio della riga sulla pagina, ma decide di “andare a capo”. La disposizione grafica dei versi, nella pagina stampata, è la prima caratteristica che distingue la poesia dalla prosa: non a caso, in latino, l’espressione “prosa“, oratio, stava a indicare un “discorso in linea retta”, ossia “fino alla fine della riga”. Infatti, se apriamo un romanzo o un giornale, vediamo che le parole sono distribuite in modo pressoché ininterrotto, se si escludono gli spazi tra i paragrafi. Il testo poetico, invece, si presenta come una serie di righe disposte in colonna, ciascuna coincidente con un verso, separato dagli altri tramite l’a capo. La lunghezza di questi versi, le strofe (ovvero i modi in cui i versi si raggruppano), le rime e gli altri richiami fonici rispondono alle leggi della metrica.

2. Il verso

Il verso è l’incontro di una componente invariabile, ossia il metro, e una variabile, costituita dagli accenti che determinano un particolare andamento ritmico.

Come si costruisce e come si riconosce un verso, all’interno del sistema metrico italiano? Dobbiamo innanzitutto dire che nella nostra lingua i versi si dividono in varie tipologie in base:

  • alla lunghezza, cioè al numero di sillabe da cui sono costituiti. Per esempio, mela e prugna, pur possedendo un numero diverso di lettere (rispettivamente 4 e 6), presentano la medesima lunghezza metrica, perché entrambe costituite da 2 sillabe: me-la e pru-gna;
  • alla presenza di un accento tonico, che cade sulla sillaba pronunciata con maggiore intensità; le sillabe non accentate si definiscono atone. A seconda della collocazione della sillaba accentata, le parole si dividono in tre categorie principali:
parola piana accento tonico sulla penultima sillaba ca-té-na
parola sdrucciola accento tonico sulla terzultima sillaba mè-di-co
parola tronca accento tonico sull’ultima sillaba cit-tà

In base al tipo di parola che chiude il verso avremo, appunto, versi piani, versi sdruccioli e versi tronchi.

Due versi appartengono alla stessa tipologia, o misura, se la sillaba tonica dell’ultima parola è collocata nella stessa posizione. Per esempio:

Nel mezzo del cammin di nostra ta   (Dante Alighieri)


aria di mare, che dolce temsta   (Giorgio Caproni)

In entrambi i casi la sillaba accentata occupa la 10a posizione. Poiché la maggioranza delle parole italiane è piana, versi con un accento in 10a posizione hanno solitamente 11 sillabe: per questo sono denominati endecasillabi. Allo stesso modo, un verso con l’ultima sillaba tonica in 6a posizione sarà un settenario, mentre un quinario avrà l’accento tonico in 4a posizione.

Per riconoscere un verso, di norma, è dunque necessario calcolare in quale posizione si trova l’ultima sillaba tonica, e aggiungere uno.

Contiamo, per esempio, questo verso di Lorenzo de’ Medici (1449-1492):

chi vuol esser lieto sia

chi | vuol | es- | ser | lie- | to | - | a

L’accento cade in 7a posizione, quindi il verso è sempre classificato come composto da 8 sillabe, cioè, un ottonario.

Che cosa succede, però, se un verso termina con una parola sdrucciola o tronca? Prendiamo in considerazione questi versi di grandi poeti italiani:

Aventuroso carcere soave   (Ludovico Ariosto)

A- | ven- | tu- | ro- | so | car- | ce- | re | so- | à- | ve

endecasillabo piano


ed i bambini sopra l’aia saltano   (Giosue Carducci)

ed | i | bam- | bi- | ni | so- | pra | l’a- | ia | sàl- | ta- | no

endecasillabo sdrucciolo


Salutò con la mano, sprofondò   (Eugenio Montale)

Sa- | lu- | tò | con | la | ma- | no, | spro- | fon- |

endecasillabo tronco

Questi versi sono tutti endecasillabi, perché l’ultima sillaba tonica si trova in 10a posizione. Ciò che varia è il numero di sillabe atone che seguono l’ultima tonica. Nell’endecasillabo piano, dopo l’ultima tonica si ha una sola sillaba non accentata (so-à-ve): il verso misura effettivamente 11 sillabe. Nell’endecasillabo sdrucciolo, invece, 2 sillabe atone seguono la 10a posizione (sàl-ta-no): il verso misura 12 sillabe. Infine, l’endecasillabo tronco misura 10 sillabe, poiché, dopo l’ultima tonica, non si ha nessuna sillaba atona (spro-fon-dò).

EmozionArti
Il re delle parole

Il pittore italiano Gastone Novelli (1925-1968) ha intitolato questa sua opera Il re delle parole… E chi, più di un poeta, è il re delle parole? Sillabe, colori, forme sono inseriti in scacchiere, riquadri che danno loro ritmo e pause perché, come si legge sulla tela in alto a sinistra, «bisogna smuovere queste parole così sicure di se stesse e ridurle al silenzio».

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I versi della poesia italiana

Il verso principale della tradizione letteraria italiana è l’endecasillabo, in cui l’ultima sillaba tonica si trova in 10a posizione: gli autori di tutte le epoche lo hanno utilizzato con notevole frequenza, sfruttando le sue molteplici possibilità ritmiche e melodiche. In ordine di importanza, all’endecasillabo segue il settenario: i due tipi di versi sono percepiti come affini, e per questo vengono spesso impiegati insieme. Nella tabella seguente troviamo la classificazione dei versi e la loro denominazione in ordine decrescente rispetto alla misura sillabica.


Tipologia Sillaba tonica Esempio
Endecasillabo in 10a posizione primavera per me pur non è mai
pri- | ma- | ve- | ra | per | me | pur | non | è | mà- | i
(Francesco Petrarca)
Decasillabo in 9a posizione Soffermati sull’arida sponda
Sof- | fer- | ma- | ti | sul- | l’a- | ri- | da | spòn- | da
(Alessandro Manzoni)
Novenario in 8a posizione Voce stanca, voce smarrita
Vo- | ce | stan- | ca, | vo- | ce | smar- | rì- | ta
(Giovanni Pascoli)
Ottonario in 7a posizione Donne e giovinetti amanti
Don- | ne e | gio- | vi- | net- | ti^a- | màn- | ti
(Lorenzo de’ Medici)
Settenario in 6a posizione Chiare, fresche et dolci acque
Chia- | re, | fre- | sche^et | dol- | ci^àc- | que
(Francesco Petrarca)
Senario in 5a posizione Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
Ta- | ci. | Su | le | - | glie
del | bo- | sco | non | ò- | do
pa- | ro- | le | che | dì- | ci
(Gabriele d’Annunzio)
Quinario in 4a posizione ed alla pace
che m’ha beato
è il cuor grato.
ed | al- | la | - | ce
che | m’ha | be- | à- | to
è | il | cuor | grà- | to.
(Umberto Saba)
Quadrisillabo in 3a posizione Taglia, spada,
Queste braccia!
Ta- | glia, | spà- | da,
Que- | ste | bràc- | cia!
(Franco Fortini)
Trisillabo in 2a posizione Re Orso
Ti schermi
Dal morso
De’ vermi
Re | Òr- | so
Ti | schèr- | mi
Dal | mòr- | so
De’ | vèr- | mi
(Arrigo Boito)
Bisillabo in 1a posizione Saldo
fine stagione
prezzo fisso
Sàl- | do
fi- | ne | sta- | gio- | ne
prez- | zo | fis- |so
(Aldo Palazzeschi)

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3. Le figure metriche

Abbiamo visto che per identificare una tipologia di verso occorre conteggiare il numero di sillabe che lo compongono e controllare dove si trovi la tonica. Le sillabe metriche (cioè quelle che valgono per il computo metrico), tuttavia, non sempre coincidono con quelle grammaticali: ciò avviene grazie all’utilizzo delle figure metriche. Queste sono artifici che agiscono sulle sillabe all’interno di una parola o tra due parole contigue; si distinguono in figure di fusione e figure di scissione.

Figure di fusione

Le figure di fusione riguardano i casi in cui due vocali ravvicinate, appartenenti a sillabe diverse, danno luogo a un’unica sillaba metrica.


Tipologia Descrizione Esempio
Sinalefe Si ha quando la vocale finale di una parola si fonde con la vocale iniziale della parola successiva. Le due sillabe contenenti le vocali, in questo modo, valgono come una sola. Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono
Voi | ch’a- | scol- | ta- | te^in | ri- | me | spar- | se^il | suo- | no
(Francesco Petrarca)
Sineresi Si ha quando due vocali all’interno di una stessa parola, benché appartenenti a due sillabe diverse, vengono fuse nella medesima sillaba metrica. Neanche un mantello labile di luna
Nean- | che^un | man- | tel- | lo | la- | bi- | le | di | lu- | na
(Giuseppe Ungaretti)

La parola “neanche” viene sillabata neàn-che, invece di ne-àn-che.

Figure di scissione

Le figure di scissione separano due vocali ravvicinate solitamente incluse nella stessa sillaba. Il risultato è la creazione di due sillabe, laddove di norma ne conteremmo una.


Tipologia Descrizione Esempio
Dialefe È l’opposto della sinalefe. Si ha quando due vocali contigue rimangono in due sillabe distinte, anziché essere conteggiate in una stessa. che la verace via abbandonai
che | la | ve- | ra- | ce | viav| ab- | ban- | do- | na- | i
(Dante Alighieri)

La dialefe tra “via” e “abbandonai” permette di ottenere il numero di sillabe desiderato, cioè 11.
Dieresi È l’opposto della sineresi. Si ha quando due vocali contigue all’interno di una parola vengono separate in due sillabe diverse. La dieresi è spesso segnalata dal segno grafico ¨ posto sulla prima delle due vocali scisse. Ma alcuna finzïone, alcuno inganno
Ma^al- | cu- | na | fin- | - | o- | ne,^al- | cu- | no^in- | gan- | no
(Giuseppe Ungaretti)

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studio attivo

Come avviene la DIVISIONE IN SILLABE quando ci sono due vocali consecutive?


Incontri di vocali

Per comprendere efficacemente le figure metriche è necessario conoscere che cosa accade quando in una parola si incontrano due o più vocali.

Se due vocali consecutive appartengono alla stessa sillaba, formano un dittongo (per esempio sch-na, -vo, zài-no).

Al contrario, se le vocali appartengono a due sillabe diverse, si parla di iato (ca-mè-o, paz-zì-a). Lo iato si verifica principalmente quando nessuna delle due vocali è i o u (e-ò-li-ca, o-le-àn-dro), oppure quando i o u toniche (accentate) sono accostate a o, e, a (fol-lì-a, ab-ba-ì-no).

Più raro, invece, il trittongo, che si realizza nel caso in cui tre vocali consecutive appartengano alla stessa sillaba (quiè-te, tuòi).

4. Il ritmo poetico

Le regole metriche non sono soltanto convenzioni teoriche e astratte: la scelta della tipologia dei versi e, soprattutto, la loro concreta realizzazione possono infatti incidere non poco su impressioni e significati evocati dalle poesie. La disposizione degli accenti interni al verso – cioè le posizioni occupate da tutte le sillabe toniche delle parole che lo compongono – genera una particolare sonorità e produce diversi effetti del ritmo, che può essere veloce e incalzante, oppure lento e pacato. In molti casi, tali effetti collaborano con le altre componenti formali (lessico, sintassi, registro, figure retoriche ecc.), veicolando i significati dei testi o contribuendo a creare determinate atmosfere, per esempio malinconiche, solenni o festose.

Ecco qualche esempio di effetto ritmico.

  • Impeto: il seguente endecasillabo di Torquato Tasso (1544-1595) si riferisce alla scena di un duello. L’accentazione – che copre tutte le posizioni pari (2a-4a-6a-8a-10a) – determina un senso di concitazione, in linea con l’oggetto della narrazione.

Non danno i colpi or fìnti, or pieni, or scarsi

Non | dàn- | no i | còl- | pi^or | fìn- | ti, or | pié- | ni, or | scàr- | si

  • Solennità: gli accenti del seguente endecasillabo di Dante Alighieri (1265-1321) sono distribuiti in modo che ci siano sempre due posizioni vuote tra le sillabe toniche (1a-4a-7a-10a). Questo schema conferisce una particolare solennità: giunto al culmine del Paradiso, Dante sta lodando le impareggiabili virtù della Madonna.

termine fisso d’etterno consiglio

tèr- | mi- | ne | fis- | so | d’et- | tèr- | no | con- | sì- | glio

  • Ritmo cadenzato [#1]: l’accentazione fissa di questi versi di Alessandro Manzoni (1785-1873), formati ciascuno da due senari con accenti in 2a e 5a posizione, produce un effetto cantilenante e ben scandito.

Dagli atri muscosi, dai Fori cadenti

dai boschi, dall’arse fucine stridenti

Da- | gli^à- | tri | mu- | scò- | si, | dai | Fò- | ri | ca- | dèn- | ti

dai | bò- | schi, | dal- | l’àr- | se | fu- | cì- | ne | stri- | dèn- | ti

  • Lentezza: in questo verso di Giovanni Pascoli (1855-1912), la presenza di quattro accenti, due dei quali ravvicinati (6a-7a), rallenta di molto la lettura.

Tra un lungo dei fanciulli urlo s’inalza

Tra^un | lùn- | go | dei | fan- | ciùl- | li^ùr- | lo | si^i- | nàl- | za

  • Velocità: la scarsità di accenti e la lunghezza delle parole (composte da numerose sillabe) del seguente endecasillabo di Francesco Petrarca (1304-1374) creano un effetto di accelerazione.

Una dolcezza inusitata e nova

U- | na | dol- | cèz- | za^i- | nu- | si- | tà- | ta^e | nò- | va

  • Somiglianza con la prosa: gli accenti dei due versi di Marino Moretti (1885-1979) non producono un effetto ritmico riconoscibile: il risultato è pertanto simile a quello di un testo in prosa.

Parli d’una cognata quasi avara

che viene spesso per casa col figlio

Pàr- | li | d’u- | na | co- | gna- | ta | qua- | si^a- | và- | ra

che | viè- | ne | spès- | so | per | cà- | sa | col | fì- | glio

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Il rapporto tra il metro e la sintassi

Il rapporto tra metro e sintassi è un altro fattore determinante per il ritmo del testo poetico. Le unità sintattiche, come frasi o sintagmi, possono infatti coincidere con la scansione dei versi, oppure sovrapporsi a essa in modo conflittuale.

  • Coincidenza metro/sintassi: ciascuna proposizione occupa un verso, in modo che la pausa dell’a capo coincida con una pausa della sintassi. Prendiamo come esempio la prima quartina di un sonetto di Guido Guinizzelli (1235-1276), in cui a ogni verso corrispondono frasi compiute, legate tra loro da un rapporto di coordinazione:

Io voglio del ver la mia donna laudare

ed assembrarli la rosa e lo giglio:

più che stella diana splende e pare,

e ciò ch’è lassù bello a lei somiglio.

  • Enjambement: può capitare che un gruppo sintattico di norma unito (sostantivo e aggettivo, soggetto e predicato, predicato e complemento oggetto e così via) sia spezzato, diviso tra la fine di un verso e l’inizio di quello successivo. Questo procedimento stilistico si chiama in italiano “inarcatura” o “spezzatura”, ma è più comunemente indicato con il termine francese enjambement. L’effetto è quello di una sfasatura tra la scansione della sintassi e quella del metro, che altera il ritmo, accelerandolo o rallentandolo, come avviene nei primi versi di un sonetto di Sergio Corazzini (1886-1907):

Il mare: muto. Senza vele. Senza

rondini, il cielo. Solo, nelle grigie

acque, lo scoglio dalla triste effigie,

immenso. Immoto. Sacro alla potenza

del Tridentier Nettuno. […]

In una sintassi rapida e fortemente frammentata – costituita da frasi nominali per lo più brevissime – spiccano tre forti enjambement: Senza / rondini, tra il v. 1 e il v. 2; grigie / acque, tra il v. 2 e il v. 3; alla potenza / del Tridentier Nettuno, tra il v. 4 e il v. 5, ancora più intenso perché collocato sul confine tra due strofe.

5. La rima

La rima consiste nell’identità di suono, a partire dalla vocale tonica in poi, di due o più parole per lo più collocate alla fine del verso: per esempio, cuòre : fiòre, oppure, càne : pàne. Viceversa àlbero e ro, pur avendo la stessa terminazione, non rimano, in quanto la vocale tonica della prima parola è a, quella della seconda è e. Ecco due versi tratti da una poesia di Giovanni Pascoli (1855-1912):

Là in fondo la cavalla era, selvaggia,

nata tra i pini su la salsa spiaggia.

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Le funzioni fondamentali

La rima possiede quattro funzioni fondamentali:

1. demarcativa: segnala la fine del verso, specie nella tradizione molto antica, quando le misure dei versi oscillavano e non erano fissate con precisione;

2. strutturante: la disposizione delle rime costituisce un elemento fondamentale della costruzione delle strofe, che rispettano precisi modelli rimici. Per tale ragione, nel rappresentare tali schemi si usano le lettere dell’alfabeto: a ogni lettera viene associata una rima; si usa la maiuscola per l’endecasillabo, e la minuscola per versi più corti, come il settenario (per esempio AbAb);

3. fonica: conferisce un ulteriore rilievo sonoro all’ultima parola del verso, già in evidenza per via dell’ultima sillaba tonica;

4. semantica: associa due o più parole, creando una particolare tensione tra i loro significati (per esempio porte : morte).

Le diverse tipologie

  • A seconda della struttura sillabica delle parole coinvolte, abbiamo una rima piana, sdrucciola o tronca.
Piana Accento tonico sulla penultima sillaba del verso Genova verticale,
vertigine, aria, scale
(Giorgio Caproni)
Sdrucciola Accento tonico sulla terzultima sillaba del verso le rose impallidiscono
e per poco periscono.
(Gabriello Chiabrera)
Tronca Accento tonico sull’ultima sillaba del verso Ancor viveva il cor.
[…]
Era dolore ancor.
(Giacomo Leopardi)

  • A seconda della disposizione delle rime nella strofa, si ottengono configurazioni particolari, spesso usate nella costruzione delle strofe. Di seguito possiamo vedere le principali disposizioni.
Tipologia Descrizione Esempio
Rima baciata Lega due versi consecutivi (AA). e di lontano le gonfiate vele
vide fuggir del suo signor crudele:
(Ludovico Ariosto)
Rima alternata Lega due versi separati tra loro da un altro verso, secondo lo schema ABAB. Cura, che di timor ti nutri e cresci,
e più temendo maggior forza acquisti,
e mentre con la fiamma il gielo mesci,
tutto ’l regno d’Amor turbi e contristi.
(Giovanni Della Casa)
Rima incrociata Lega quattro versi, facendo rimare il primo con il quarto e il secondo con il terzo (ABBA). Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia quand’ella altrui saluta,
ch’ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l’ardiscon di guardare.
(Dante Alighieri)
Rima ripetuta Uno schema di rime si ripete nello stesso ordine, anche in due strofe diverse, come nelle terzine qui a fianco (ABC ABC). Quanto sia dolce un solitario stato
tu m’insegnasti, et quanto haver la mente
di cure scarca et di sospetti sgombra.

O cara selva et fiumicello amato,
cangiar potess’io il mar e ’l lito ardente
con le vostre fredd’acque et la verd’ombra.
(Pietro Bembo)
Rima invertita Lo schema di rime si ripete in ordine inverso (ABC CBA). come ogni foglia attende il suo fiore
come ogni fiore attende il suo frutto
come ogni notte attende il suo sOLE:

così, come nel cuore che mi duOLE
nell’attesa, dimentico di tutto
così, così t’attendo dolce amore!
(Sergio Corazzini)
Rima interna Una o più parole legate dalla rima cadono all’interno dello stesso verso, oppure di versi differenti. E cadenzato dalla gora viene
lo sciabordare delle lavandare
(Giovanni Pascoli)

Rema
con me negli occhi al largo
del tuo futuro, mentre odo
(non odio) abbrunato il sordo
battito del tamburo
(Giorgio Caproni)

  • Alcune rime, dette tecniche, sono caratterizzate da artifici stilistici che riguardano l’aspetto fonico, grammaticale o semantico delle parole coinvolte.
Tipologia Descrizione Esempio
Ricca L’identità fonica della rima si estende a uno o più suoni collocati prima della vocale tonica. c’al ciel ti scorge per destro sentero
sì ch’i’ vo già de la speranza altero.
(Francesco Petrarca)
Identica Le due parole in rima sono identiche e posseggono lo stesso significato. Ben parve messo e famigliar di Cristo:
[…]
fu al primo consiglio che diè Cristo
(Dante Alighieri)
Equivoca Le parole in rima sono omofone (identiche dal punto di vista fonico), ma differiscono nel significato. s’indugia e cerca, irrequïeta, al sole;
[…] nell’ombra ove le stelle errano sole.
(Giovanni Pascoli)

Nel primo verso sole è usato come nome; nel secondo, vale come aggettivo legato a stelle.
Difficile Rime particolarmente ricercate, per la scarsa disponibilità di parole con la medesima terminazione. di far ciò che mi chiedi; ma io scoppio
[…]
Prima era scempio, e ora è fatto doppio
(Dante Alighieri)

  • Si parla di rime imperfette quando l’identità di suono tra le parole legate alla rima non è completa.
Tipologia Descrizione Esempio
Quasi-rima Le terminazioni delle parole in rima, a partire dalla vocale tonica, differiscono soltanto per un unico suono. Non brillin gli occhi tuoi se non di piANTo.
[…]
In sogno a quanti oggi piacesti, e quANTi
(Giacomo Leopardi)
Assonanza L’identità di suono, a partire dalla vocale tonica, si riferisce alle sole vocali. Al primo chiaro, quAndO
[…]
Nel traforo del sAssO
(Eugenio Montale)
Consonanza L’identità di suono si riferisce alle sole consonanti. al tuo perpetuo caNTo,
Allor che all’opre femminili inteNTa
(Giacomo Leopardi)

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6. Le strofe

All’interno dei componimenti, i versi sono spesso raggruppati in strofe. Ogni strofa prende il nome dal numero di versi che la compongono, e in molti casi è strutturata al suo interno grazie a un particolare schema di rime. Le strofe possono, inoltre, essere composte da un solo tipo di verso, per esempio endecasillabi, oppure contenerne due o più tipologie, come endecasillabi e settenari. Ecco i principali tipi di strofa:


distico 2 versi
terzina 3 versi
quartina 4 versi
sestina 6 versi

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La terza rima e l’ottava

Tipi particolari di strofe sono la terza rima e l’ottava. La terza rima consiste in una serie di terzine di endecasillabi, legate tra loro da un particolare schema rimico. Viene detta anche terzina dantesca, poiché è usata da Dante Alighieri nella sua Commedia, di cui riportiamo i primi nove versi:

Nel mezzo del cammin di nostra vita    A

mi ritrovai per una selva oscura,             B

ché la diritta via era smarrita.                  A


Ahi quanto a dir qual era è cosa dura    B

esta selva selvaggia e aspra e forte      C

che nel pensier rinova la paura!              B


Tant’è amara che poco è più morte;      C

ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,     D

dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte.      C

All’interno di ciascuna terzina, i due versi esterni rimano tra loro, mentre quello centrale è in rima con i due versi esterni della terzina successiva. L’effetto è quello di una continua progressione ritmica, che procede in modo fluido e ininterrotto: ogni terzina, infatti, si presenta come un’unità autonoma ma anche legata ai versi che seguono e che precedono.

L’ottava è invece un metro composto da otto endecasillabi legati dallo schema di rime ABABABCC: sei versi in rima alternata sono chiusi da un distico a rima baciata. L’ottava è stata molto utilizzata nella poesia di genere narrativo, come nei poemi epico-cavallereschi del Quattrocento e Cinquecento. Prendiamo a modello un’ottava tratta dall’Orlando furioso di Ludovico Ariosto (1474-1533):

Qual pargoletta o damma o capriuola,                 A

che tra le frondi del natio boschetto                     B

alla madre veduta abbia la gola                              A

stringer dal pardo, o aprirle ’l fianco o ’l petto,   B

di selva in selva dal crudel s’invola,                       A

e di paura triema e di sospetto;                              B

ad ogni sterpo che passando tocca,                      C

esser si crede all’empia fera in bocca.                   C

Versi sciolti e versi liberi

Infine vanno considerati anche i versi sciolti e i versi liberi. I versi sciolti, per lo più endecasillabi, non sono legati reciprocamente dalla rima, come avviene per esempio nel carme Dei Sepolcri di Ugo Foscolo (1778-1827), di cui riportiamo l’inizio:

All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne

confortate di pianto è forse il sonno

della morte men duro? Ove più il Sole

per me alla terra non fecondi questa

bella d’erbe famiglia e d’animali,

e quando vaghe di lusinghe innanzi

a me non danzeran l’ore future,

né da te, dolce amico, udrò più il verso

e la mesta armonia che lo governa […]

Il verso è invece definito libero quando le regole metriche della tradizione vengono abbandonate. In tal modo i versi vengono accostati secondo princìpi elaborati dal poeta medesimo, più o meno riconoscibili. In questi casi, la rima è assente o priva della sua funzione strutturante. Anche le strofe, ove presenti, seguono criteri che non si ripetono con regolarità nel testo. Come esempio, riportiamo l’incipit di Ecloga V di Andrea Zanzotto (1921-2011):

Diffuse oltre

oltre il firmamento degl’inverni

con mozza lucente armonia

vi rivedeva a onde

la mia memoria rizzata divinante,

onde balsamo e fede,

fede, dorsi rigogliosi di neve.

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7. Le forme metriche

La combinazione e la struttura [#2] delle strofe danno vita a forme metriche che si sono via via affermate nella tradizione poetica italiana e che presentano schemi fissi o variabili. Le più importanti sono il sonetto e la canzone.

  • Sonetto: composto da quattordici versi, quasi sempre endecasillabi, rappresenta la forma metrica più diffusa nella letteratura italiana. Fin dalle origini il sonetto è stato utilizzato per poesie di ogni genere e argomento, anche per via della sua grande duttilità ritmica e della sua brevità. Si divide in quattro strofe:
    • due quartine, solitamente a rime incrociate (ABBA ABBA) o alternate (ABAB ABAB);
    • due terzine, prevalentemente con schema di rime ripetute (CDE CDE) o alternate (CDC DCD).
    Prendiamo come modello un sonetto tratto dal Canzoniere di Francesco Petrarca:

Erano i capei d’oro a l’aura sparsi                A

che ’n mille dolci nodi gli avolgea                B

e ’l vago lume oltra misura ardea                B

di quei begli occhi, ch’or ne son sì scarsi;  A

e ’l viso di pietosi color’ farsi,                        A

non so se vero o falso, mi parea:                 B

i’ che l’ésca amorosa al petto avea,            B

qual meraviglia se di sùbito arsi?                A

Non era l’andar suo cosa mortale,              C

ma d’angelica forma; et le parole                D

sonavan altro, che pur voce humana.        E

Uno spirto celeste, un vivo sole                   D

fu quel ch’i’ vidi: et se non fosse or tale,   C

piagha per allentar d’arco non sana.          E

  • Canzone: secondo Dante Alighieri, la canzone costituisce la più nobile delle forme metriche. È costituita da un numero variabile di strofe, in genere cinque, dette stanze, seguite talvolta da una strofa più corta, il “congedo”, dotata di funzione conclusiva. Tutte le stanze ripetono la stessa struttura, cioè sono composte da un uguale numero di versi – generalmente endecasillabi e settenari – disposti nello stesso ordine e con identico schema rimico (ciò non significa uguaglianza di rime, che normalmente cambiano da una strofa all’altra).

La struttura della stanza è divisa in due parti:

1. fronte: composta da due piedi, cioè due sequenze di versi della stessa tipologia e dello stesso ordine;

2. sirma: indivisibile, oppure anch’essa divisa in due parti, dette volte, di pari numero di versi.

L’ultimo verso della fronte rima con il primo della sirma, formando un collegamento tra le due parti: tale rima prende il nome di chiave. Riportiamo di seguito la prima strofa di una canzone dantesca:


Donna pietosa e di novella etate,                    A

adorna assai di gentilezze umane,                 B

ch’era là ’v’io chiamava spesso Morte,          C

Piede

veggendo li occhi miei pien di pietate,           A

e ascoltando le parole vane,                             B

si mosse con paura a pianger forte.               C

Piede

E altre donne, che si fuoro accorte                 C

Chiave

di me per quella che meco piangia,                D

fecer lei partir via,                                               d

e appressarsi per farmi sentire.                      E

Qual dicea: «Non dormire»,                              e

e qual dicea: «Perché sì ti sconforte?».         C

Allor lassai la nova fantasia,                            D

chiamando il nome de la donna mia.             D

Sirma

L’emozione della lettura - volume B
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Poesia e teatro