T2 - Il bombardamento di San Lorenzo

T2

Il bombardamento di San Lorenzo

  • Tratto da La Storia, 1974
  • romanzo

È il 1943, la Seconda guerra mondiale divampa. Ida abita a Roma, ha quasi quarant’anni, fa la maestra. È vedova e vive nel quartiere popolare di San Lorenzo, con i figli Giuseppe, detto Useppe, di circa due anni, e Nino, già adolescente. Nel luglio di quell’anno, la zona viene bombardata dalle forze angloamericane.

Una di quelle mattine Ida, con due grosse sporte1 al braccio, tornava dalla spesa tenendo
per mano Useppe.2 Faceva un tempo sereno e caldissimo. Secondo un’abitudine
presa in quell’estate per i suoi giri dentro al quartiere, Ida era uscita, come una
popolana, col suo vestito di casa di cretonne3 stampato a colori, senza cappello, le 

5      gambe nude per risparmiare le calze, e ai piedi delle scarpe di pezza con alta suola
di sughero. Useppe non portava altro addosso che una camiciolina quadrettata4 stinta,
dei calzoncini rimediati5 di cotone turchino, e due sandaletti di misura eccessiva
(perché acquistati col criterio della crescenza)6 che ai suoi passi sbattevano sul selciato
con un ciabattio.7 In mano, teneva la sua famosa pallina Roma (la noce Lazio8 

10    durante quella primavera fatalmente era andata perduta).

Uscivano dal viale alberato non lontano dallo Scalo Merci, dirigendosi in via
dei Volsci,9 quando, non preavvisato da nessun allarme, si udì avanzare nel cielo
un clamore d’orchestra metallico e ronzante. Useppe levò gli occhi in alto, e disse:
«Lioplani».10 E in quel momento l’aria fischiò, mentre già in un tuono enorme tutti 

15    i muri precipitavano alle loro spalle e il terreno saltava d’intorno a loro, sminuzzato
in una mitraglia di frammenti.11

«Useppe! Useppeee!», urlò Ida, sbattuta in un ciclone nero e polveroso che impediva
la vista: «Mà, sto qui»,12 le rispose, all’altezza del suo braccio, la vocina di lui,
quasi rassicurante. Essa lo prese in collo, e in un attimo le ribalenarono13 nel cervello 

20    gli insegnamenti dell’UNPA14 (Unione Nazionale Protezione Antiaerea) e del Capofabbricato:15
che, in caso di bombe, conviene stendersi al suolo. Ma invece il suo corpo
si mise a correre senza direzione. Aveva lasciato cadere una delle sue sporte, mentre
l’altra, dimenticata, le pendeva ancora al braccio, sotto al culetto fiducioso di Useppe.
Intanto, era cominciato il suono delle sirene.16 Essa, nella sua corsa, sentì che scivolava 

25    verso il basso, come avesse i pattini, su un terreno rimosso che pareva arato, e che
fumava. Verso il fondo, essa cadde a sedere, con Useppe stretto fra le braccia. Nella
caduta, dalla sporta le si era riversato il suo carico di ortaggi, fra i quali, sparsi ai suoi
piedi, splendevano i colori dei peperoni, verde, arancione e rosso vivo.

Con una mano, essa si aggrappò a una radice schiantata,17 ancora coperta di 

30    terriccio in frantumi, che sporgeva presso di lei. E assestandosi meglio, rannicchiata
intorno a Useppe, prese a palparlo febbrilmente in tutto il corpo, per assicurarsi
ch’era incolume. Poi gli sistemò sulla testolina la sporta vuota come un elmo di
protezione.

Si trovavano in fondo a una specie di angusta trincea,18 protetta dall’alto, come da 

35    un tetto, da un grosso tronco d’albero disteso. Si poteva udire in prossimità,19 sopra
di loro, la sua chioma caduta agitare il fogliame in un gran vento. Tutto all’intorno,
durava un fragore fischiante e rovinoso, nel quale, fra scrosci, scoppiettii vivaci e strani
tintinnii, si sperdevano20 deboli e già da una distanza assurda voci umane e nitriti di
cavalli. Useppe, accucciato contro di lei, la guardava in faccia, di sotto la sporta, non 

40    impaurito, ma piuttosto curioso e soprapensiero. «Non è niente», essa gli disse, «non
avere paura. Non è niente». Lui aveva perduto i sandaletti ma teneva ancora la sua
pallina stretta nel pugno. Agli schianti più forti, lo si sentiva appena appena tremare:

«Nente…»,21 diceva poi, fra persuaso e interrogativo.

I suoi piedini nudi si bilanciavano quieti accosto22 a Ida, uno di qua e uno di là. 

45    Per tutto il tempo che aspettarono in quel riparo, i suoi occhi e quelli di Ida rimasero,
intenti, a guardarsi. Lei non avrebbe saputo dire la durata di quel tempo. Il
suo orologetto da polso si era rotto; e ci sono delle circostanze in cui, per la mente,
calcolare una durata è impossibile.

Al cessato allarme, nell’affacciarsi fuori di là, si ritrovarono dentro una immensa 

50    nube pulverulenta23 che nascondeva il sole, e faceva tossire col suo sapore di catrame:
attraverso questa nube, si vedevano fiamme e fumo nero dalla parte dello Scalo
Merci. Sull’altra parte del viale, le vie di sbocco erano montagne di macerie, e Ida,
avanzando a stento con Useppe in braccio, cercò un’uscita verso il piazzale fra gli
alberi massacrati e anneriti. Il primo oggetto riconoscibile che incontrarono fu, ai 

55    loro piedi, un cavallo morto, con la testa adorna di un pennacchio24 nero, fra corone
di fiori sfrante.25 E in quel punto, un liquido dolce e tiepido bagnò il braccio di
Ida. Soltanto allora, Useppe avvilito si mise a piangere: perché già da tempo aveva
smesso di essere così piccolo da pisciarsi addosso.

Nello spazio attorno al cavallo, si scorgevano altre corone, altri fiori, ali di gesso, teste 

60    e membra di statue mutilate. Davanti alle botteghe funebri,26 rotte e svuotate, di là
intorno, il terreno era tutto coperto di vetri. Dal prossimo cimitero,27 veniva un odore
molle,28 zuccheroso e stantio;29 e se ne intravedevano, di là dalle muraglie sbrecciate,30
i cipressi neri e contorti. Intanto, altra gente era riapparsa, crescendo in una folla che
si aggirava come su un altro pianeta. Certuni31 erano sporchi di sangue. Si sentivano 

65    delle urla e dei nomi, oppure: «anche là brucia!», «dov’è l’ambulanza?!». Però anche
questi suoni echeggiavano rauchi e stravaganti, come in una corte32 di sordomuti. La
vocina di Useppe ripeteva a Ida una domanda incomprensibile, in cui le pareva di
riconoscere la parola casa: «Mà, quando torniamo a casa?». La sporta gli calava giù
sugli occhietti, e lui fremeva,33 adesso, in una impazienza feroce. Pareva fissato in una 

70    preoc­cupazione che non voleva enunciare,34 neanche a se stesso: «mà?… casa?…»,
seguitava ostinata la sua vocina. Ma era difficile riconoscere le strade familiari. Finalmente,
di là da un casamento35 semidistrutto, da cui pendevano i travi36 e le persiane
divelte, fra il solito polverone di rovina, Ida ravvisò,37 intatto, il casamento con l’osteria,
dove andavano a rifugiarsi le notti degli allarmi. Qui Useppe prese a dibattersi con 

75    tanta frenesia che riuscì a svincolarsi dalle sue braccia e a scendere in terra. E correndo
coi suoi piedini nudi verso una nube più densa di polverone, incominciò a gridare:

«Bii! Biii! Biiii!!».38

Il loro caseggiato era distrutto. Ne rimaneva solo una quinta,39 spalancata sul
vuoto. Cercando con gli occhi in alto, al posto del loro appartamento, si scorgeva, 

80    fra la nuvolaglia del fumo, un pezzo di pianerottolo, sotto a due cassoni dell’acqua40
rimasti in piedi. Dabbasso delle figure urlanti o ammutolite si aggiravano fra
i lastroni di cemento, i mobili sconquassati, i cumuli di rottami e di immondezze.41
Nessun lamento ne saliva, là sotto dovevano essere tutti morti. Ma certune di quelle
figure, sotto l’azione di un meccanismo idiota,42 andavano frugando o raspando con 

85    le unghie fra quei cumuli, alla ricerca di qualcuno o qualcosa da recuperare. E in
mezzo a tutto questo, la vocina di Useppe continuava a chiamare:

«Biii! Biiii! Biiiii!».

Blitz era perduto, insieme col letto matrimoniale e il lettino e il divanoletto e la
cassapanca,43 e i libri squinternati44 di Ninnuzzu,45 e il suo ritratto a ingrandimento, 

90    e le pentole di cucina, e il tessilsacco46 coi cappotti riadattati47 e le maglie d’inverno,
e le dieci buste di latte in polvere, e i sei chili di pasta, e quanto restava dell’ultimo
stipendio del mese,48 riposto in un cassetto della credenza.

«Andiamo via! andiamo via!», disse Ida, tentando di sollevare Useppe fra le braccia.
Ma lui resisteva e si dibatteva, sviluppando una violenza inverosimile, e ripeteva 

95    il suo grido: «Biii!» con una pretesa sempre più urgente e perentoria.49 Forse reputava
che, incitato a questo modo, per forza Blitz dovesse rispuntare scodinzolando di
dietro qualche cantone,50 da un momento all’altro.

E trascinato via di peso, non cessava di ripetere quell’unica e buffa sillaba, con
voce convulsa per i singulti.51 «Andiamo, andiamo via», reiterava52 Ida. Ma veramente 

100 non sapeva più dove andare. L’unico asilo53 che le si presentò fu l’osteria,
dove già si trovava raccolta parecchia gente, così che non c’era posto da sedersi. Però
una donna anziana, vedendola entrare col bambino, e riconoscendoli, all’aspetto,
per sinistrati,54 invitò i propri vicini a restringersi, e le fece posto accanto a sé su una
panca.

105 Ida affannava,55 lacera, con le gambe graffiate, e imbrattata fin sulla faccia di un
nerume unticcio,56 nel quale si distinguevano le ditate minuscole lasciàtele da Useppe
nell’appendersi al suo collo. Appena la vide accomodata alla meglio sulla panca,
la donna le domandò sollecita: «Siete di queste parti?». E all’annuire silenzioso57
di Ida, le fece sapere: «Io no: vengo da Mandela».58 Si trovava qui a Roma di passaggio, 

110 come ogni lunedì, per vendere i suoi prodotti: «Sono una rurale»,59 precisò.
Qui all’osteria doveva aspettare un suo nipote, il quale, come ogni lunedì, l’aveva
accompagnata per aiutarla e al momento dell’attacco aereo si trovava in giro per la
città, chi sa dove. Correva voce che per questo bombardamento ci s’erano impiegati
diecimila apparecchi, e che l’intera città di Roma era distrutta: anche il Vaticano, 

115 anche Palazzo Reale, anche Piazza Vittorio e Campo dei Fiori.60 Tutto a fuoco.

«Chi sa dove si trova a quest’ora mio nipote? chi sa se ancora funziona il treno
per Mandela?».

Era una donna sui settant’anni, ma ancora in salute, alta e grossa, con la carnagione
rosata e due buccole61 nere agli orecchi. Teneva sui ginocchi una canestra62 

120 vuota con dentro un cèrcine sciolto;63 e pareva disposta ad aspettare il nipote,
là seduta con la sua canestra, magari per altri trecento anni, come il bramano della
leggenda indù.64

Vedendo la disperazione di Useppe che ancora andava chiamando il suo Bi con
voce sempre più smorzata e fioca, tentò di divertirlo facendogli dondolare innanzi 

125 una crocetta di madreperla che portava al collo, appesa a un cordoncino:

«Bi bi bi pupé!65 Che dici, eh, che dici?».

Ida le spiegò a bassa voce in un balbettio che Blitz era il nome del cane, rimasto
fra le macerie della loro casa.

«Ah, cristiani e bestie, crepare è tutta una sorte»,66 osservò l’altra, muovendo appena 

130 la testa con placida rassegnazione. Poi rivolta a Useppe, piena di gravità matriarcale67
e senza smorfie, lo confortò col discorso seguente:

«Non piangere pupé, che il cane tuo s’è messo le ali, è diventato una palombella,68
e è volato in cielo».

Nel dirgli questo, essa mimò, con le due palme alzate, il bàttito di due ali. Useppe, 

135 che credeva a tutto, sospese il pianto, per seguire con interesse il piccolo movimento
di quelle mani, che frattanto erano ridiscese sulla canestra, e là stavano, in
riposo, con le loro cento rughe annerite dal terriccio.

«L’ali? pecché69 l’ali?».

«Perché è diventato una palombella bianca».

140 «Palommella bianca», assentì Useppe, esaminando attentamente la donna con
gli occhi lagrimosi che già principiavano70 a sorridere, «e che fa, là, mò?».71

«Vola, con tante altre palombelle».

«Quante?».

«Tante! tante!».

145 «Quante??».

«Trecentomila».

«Tentomila sono tante?».

«Eh! più d’un quintale!!».

«Sono tante! Sono tante! Ma là, che fanno?».

150 «Volano, se la spassano.72 Beh».

«E le dòndini73 pure, ci stanno?74 E pure i vavalli,75 ci stanno?».

«Ci stanno».

«Pure i vavalli?».

«Pure i cavalli».

155 «E loro pure, ci volano?».

«E come, se ci volano!».

Useppe le volse76 un sorrisetto. Era tutto coperto di polvere nerastra e di sudore,
da parere uno spazzacamino. I ciuffetti neri dei suoi capelli, tanto erano impastati,
gli stavano dritti sulla testa. La donna, all’osservare che i suoi piedini facevano sangue 

160 da qualche graffio, autorevolmente chiamò un soldato entrato a cercare dell’acqua,
e lo incaricò di medicarglieli. E lui subì la rapida medicazione senza neanche
badarci, tanto era distratto dalla fortunata carriera di Blitz.

Quando il soldato finì di medicarlo, lui distrattamente gli fece addio con la
mano. I suoi due pugnetti adesso erano vuoti: anche la pallina Roma s’era persa. Di 

165 lì a poco, nel suo abbigliamento lurido e calzoncini bagnati, Useppe dormiva. La
vecchia di Mandela, da quel punto in poi, tacque.

Nella cantina, era incominciato un andirivieni di gente: il locale puzzava di folla
e delle zaffate che venivano dall’esterno. Ma, al contrario che nelle notti degli allarmi,
non c’era confusione, né urti, né vocio. La maggior parte dei presenti si guardavano 

170 in faccia inebetiti senza dire nulla. Molti avevano i vestiti a pezzi e bruciacchiati,
certuni sanguinavano. Da qualche parte di fuori, fra un rumorio sterminato
e incoerente,77 ogni tanto pareva di distinguere dei rantoli, oppure si levava d’un
tratto qualche urlo feroce, come da una foresta in fiamme. Cominciavano a circolare
le ambulanze, i carri dei pompieri, le truppe a piedi armate di badili e di picconi. 

175 Qualcuno aveva visto giungere anche un camion pieno di bare.


Elsa Morante, La Storia, Einaudi, Torino 1974

 >> pagina 730 

a TU per TU con il testo

Un ordinario giorno d’estate, nella città dove abitiamo da sempre: il quartiere consueto, la spesa di ogni giorno, gli incontri quotidiani. Siamo sereni come il cielo di luglio e nulla di male – ne siamo certi – potrà accaderci in questi luoghi familiari e sicuri, da cui la guerra sembra così lontana. Ma ecco: all’improvviso è l’inferno. Dal cielo, dove l’azzurro dilagava, una tempesta di fuoco e distruzione precipita sulla città, tra boati assordanti. La mente si paralizza, il terrore ci ghermisce: corriamo senza pensare, come animali braccati tra le esplosioni e i crolli. Poi tutto finisce, ma niente, ora, è più riconoscibile. Che cosa fare? Dove andare? Tra la polvere e i lamenti, una madre spaventata protegge il suo bambino: l’angoscia del piccolo e il suo disperato dolore accusano, più delle macerie e dei rottami, più dei feriti e dei morti, la ferocia dei potenti che, per sete di dominio, distruggono, insieme alle case, l’infanzia agli innocenti.

Analisi  attiva 

La mattina del 19 luglio 1943, nel pieno della Seconda guerra mondiale, gli Alleati angloamericani bombardano Roma. Il quartiere di San Lorenzo, strategico per la presenza dello scalo ferroviario, viene quasi completamente raso al suolo. Più della cronaca e della storia, la letteratura restituisce il vivo senso degli eventi: il lettore, in base al racconto del narratore onnisciente, viene proiettato, insieme a Ida e Useppe, nel mezzo della tragedia.

Possiamo così sentire anche noi i disperati e soffocati richiami dei sopravvissuti, come in una corte di sordomuti (r. 66); vediamo, sconvolte e sgomente, figure urlanti o ammutolite (r. 81) che, prive di senno per il terrore e l’angoscia, sotto l’azione di un meccanismo idiota, andavano frugando o raspando con le unghie fra quei cumuli (rr. 84-85). Siamo raggiunti, increduli e spaventati, dalle incontrollate dicerie che l’intera città di Roma era distrutta: anche il Vaticano, anche Palazzo Reale (rr. 114-115). Né il papa né il re sono riusciti a proteggere la Città eterna: in pochi istanti, la pioggia di bombe ha trasformato il ridente quartiere in un devastato cimitero a cielo aperto dove, nel crollo delle case e delle tombe, nessuna differenza più sussiste tra i vivi e i morti.


1. Da che cosa è annunciato il bombardamento?

  •     Dall’allarme antiaereo.
  •     Dal ronzio degli aeroplani.
  •     Dalle grida dei popolani.
  •     Dalla voce della radio.


2. Dove riescono a trovare rifugio Ida e Useppe?


3. Com’è ridotto il quartiere dopo il bombardamento? Completa.


a) Gli alberi

 


b) Le statue

 


c) Le botteghe funebri

 


d) Il terreno

 


e) Le muraglie

 


f) Travi e persiane

 

Lo sguardo del narratore si concentra sul tenero Useppe, del quale si registrano affettuosamente le reazioni di fronte ai tragici, e per lui incomprensibili, accadimenti. Al festoso stupore per la comparsa dei Lioplani (r. 14), segue l’infantile serenità del bimbo che avverte, pur nel disastro, la presenza protettiva della madre: a questa, ben consapevole e atterrita dal pericolo, Useppe risponde con vocina quasi rassicurante (r. 19); egli sta buono, accucciato contro il corpo materno, senza mostrare paura o preoccupazione, continuando a tenere in mano la sua pallina.

Al cessato allarme (r. 49), però, una misteriosa consapevolezza si insinua nel suo cuore: la vista del cavallo morto, nei pressi del cimitero, rompe qualcosa in lui che, turbato, non riesce a trattenersi e bagna il braccio della madre. È un crescendo di angoscia: l’oscuro presentimento della morte si affaccia alla coscienza del bambino che, davanti alle macerie della propria casa, nello straziante richiamo al cagnolino tanto amato, dà sfogo alla sua profonda, assoluta disperazione.


4. Come si comporta Useppe durante il bombardamento? Completa la tabella, inserendo i passi del testo.


Al fischio degli aeroplani  
Al richiamo di Ida  
Mentre sono accucciati nella trincea  
Agli schianti più forti  


5. Ricostruisci il crescendo di dolore e angoscia di Useppe, numerando da 1 a 8 i passi del testo.

  • a) La vocina di Useppe ripeteva a Ida una domanda incomprensibile, in cui le pareva di riconoscere la parola casa: «Mà, quando torniamo a casa?»
  • b) E correndo coi suoi piedini nudi verso una nube più densa di polverone, incominciò a gridare: «Bii! Biii! Biii!!»
  • c) E in quel punto, un liquido dolce e tiepido bagnò il braccio di Ida
  • d) Useppe prese a dibattersi con tanta frenesia che riuscì a svincolarsi dalle sue braccia e a scendere in terra
  • e) E trascinato via di peso, non cessava di ripetere quell’unica e buffa sillaba, con voce convulsa per i singulti
  • f) E in mezzo a tutto questo, la vocina di Useppe continuava a chiamare: «Biii! Biiii! Biiiii!»
  • g) adesso, in una impazienza feroce. Pareva fissato in una preoccupazione che non voleva enunciare, neanche a se stesso: «mà?… casa?…», seguitava ostinata la sua vocina
  • h) lui resisteva e si dibatteva, sviluppando una violenza inverosimile, e ripeteva il suo grido: «Biii!» con una pretesa sempre più urgente e perentoria

 >> pagina 731 

Ida appare, dopo il trauma del bombardamento, esausta e come svuotata: ha protetto istintivamente il figlio ma ora, di fronte alla perdita dei suoi miseri ma essenziali averi, veramente non sapeva più dove andare (rr. 99-100). Nel disorientamento, le sue reazioni sono pertanto ridotte, quasi ovattate: non capisce la semplice domanda del figlio (Useppe ripeteva a Ida una domanda incomprensibile, r. 67), o non gli sa rispondere, come isolata nell’automatismo con cui ripete: «Andiamo, andiamo via» (r. 99). Senza parlare, replica con un annuire silenzioso (r. 108) o in un balbettio (r. 127) all’anziana di Mandela che, impietosita, le offre un posto nel rifugio dell’osteria.

Al muto sbigottimento di Ida, che non sa trovare parole per consolare Useppe, il narratore contrappone la calma eloquenza della vecchia contadina: custode autorevole di una saggezza antica, che vede serenamente la morte come una sorte (r. 129) comune a tutti, la vecchia di Mandela racconta, con gravità matriarcale e senza smorfie (rr. 130-131), la fiabesca metamorfosi di Blitz in bianca palombella (rr. 132-133). Le parole e i gesti della donna, seguiti da un incantato Useppe, riconducono la tragedia dell’evento alle eterne trasformazioni della vita: in un’atmosfera improvvisamente arcaica e solenne, allora, come di un rito, o di una buona magia, la morte si presenta, al sorridente bambino, come meravigliosa trasfigurazione della vita.


6. Che cos’ha fatto Ida per proteggere il figlio durante il bombardamento? (sono possibili più risposte)

  •     Lo ha messo al riparo in una casa.
  •     Lo ha preso in braccio mentre correva.
  •     Si è accucciata con lui dentro una buca nel terreno.
  •     Si è stesa a terra insieme a lui.
  •     Gli ha protetto la testa con una sporta.
  •     Gli ha tappato le orecchie.
  •     Ha controllato che non fosse ferito.


7. Individua nel testo tutti i termini e le espressioni che indicano le caratteristiche della vecchia contadina.


Sollecitudine e premura  
Calma  
Saggezza e autorevolezza  

 >> pagina 732 

Il narratore esprime il suo affetto per Useppe attraverso l’adozione sovrabbondante di diminutivi e vezzeggiativi. Il bambino porta infatti una camiciolina (r. 6) e ci diverte e ci intenerisce per la sua vocina. L’empatia per il piccolo giunge alla trascrizione diretta del suo buffo linguaggio, in cui la pronuncia infantile (Lioplani, r. 14; dòndini, r. 151; vavalli, r. 153) si mescola al romanesco e all’italiano regionale (, rr. 18, 68 e 70; mò, r. 141; ci stanno, r. 151), con effetti di comicità e di pathos al tempo stesso.

Accanto alla lingua felice dell’infanzia, però, abbiamo anche le parole adulte, che dicono, senza meraviglia, il duro valore economico delle cose. Ecco allora che, di fronte al caseggiato crollato, il narratore assume il punto di vista di Ida elencando, minuziosamente, i poveri beni perduti: le suppellettili (il divanoletto e la cassapanca, rr. 88-89), gli abiti (i cappotti riadattati e le maglie d’inverno, r. 90), il cibo e i denari (le dieci buste di latte in polvere, e i sei chili di pasta, e quanto restava dell’ultimo stipendio del mese, rr. 91-92). In questo minuzioso e asciutto elenco di piccole cose, il lettore sente lo sconforto dell’attonita Ida, e tutta la tragedia dei sinistrati (r. 103), gli umili e i poveri ai quali, donne e bambini, vecchie e soldati, va l’addolorata compassione di chi narra.


8. Individua, nel testo, tutti i diminutivi e i vezzeggiativi riferiti a Useppe.


9. La perdita dei propri beni nel bombardamento, grave per chiunque, diventa tragica per Ida, che già all’inizio del brano ci è mostrata come una donna non certo benestante. Da quali elementi lo capisci? (sono possibili più risposte)

  •     Esce di casa senza calze, per evitare di romperle.
  •     Ha pochi spiccioli nel portamonete.
  •     Ha riadattato un paio di calzoncini per il figlio.
  •     Ha acquistato al mercato solo le verdure più economiche, i peperoni.
  •     Ha comprato a Useppe dei sandali di una misura più grande, così che li possa usare anche crescendo.
  •     È spettinata e in disordine.


10. Come si comportano i sinistrati che si sono raccolti nell’osteria?

  •     Piangono e gridano disperati.
  •     Cercano aiuto dai soldati.
  •     Si guardano muti e inebetiti.
  •     Cercano di rientrare nelle proprie case.

 >> pagina 733 

Laboratorio sul testo

COMPETENZE LINGUISTICHE

11. I verbi. I verbi incoativi. “Inebetito” (si guardavano in faccia inebetiti, rr. 169-170) è il participio passato di inebetire, che significa “diventare ebete”. In italiano, alcuni verbi della terza coniugazione presentano un interfisso -isc derivato dal latino nelle persone singolari e nella terza plurale del presente indicativo, congiuntivo e imperativo (finisco-finisci-finisce-finiamo-finite-finiscono) e indicano l’inizio di un’azione che prosegue nel tempo. Tali verbi sono detti incoativi (dal latino incoho, “incomincio”). Con il passare del tempo, il valore incoativo espresso dall’interfisso -isc si è affievolito fin quasi a scomparire. Ti diamo una lista di verbi di questo tipo: dopo averne verificato il significato sul dizionario, scrivi una frase per ciascuno di essi; poi trova almeno altri tre verbi incoativi.


a) Ammansire: 

 


b) Abolire: 

 


c) Accanirsi: 

 


d) Acquisire: 

 


e) Adibire: 

 


f) Ingentilire: 

 


g) Allestire: 

 


h) Ammannire: 

 


i) Assortire: 

 


j) Avvizzire: 

 

LETTERATURA E NON SOLO: SPUNTI DI RICERCA INTERDISCIPLINARE

STORIA

Cerca, in rete e sui manuali di storia, notizie e immagini del bombardamento del quartiere di San Lorenzo a Roma il 19 luglio 1943. Prepara un’esposizione orale di cinque minuti circa.

SPUNTI PER DISCUTERE IN CLASSE

La reazione di Useppe e di Ida di fronte alla morte è molto diversa, e dipende dall’età, dalla rispettiva capacità di comprensione di quanto è accaduto e da ciò che i due hanno perso (il cane, la casa). Esiste, secondo te, un modo universale o comune di reagire alla morte e alla distruzione?

L’emozione della lettura - volume A
L’emozione della lettura - volume A
Narrativa