Alla scoperta dei testi

T1

Giovanni Testori

Il dio di Roserio

  • Tratto da Il ponte della Ghisolfa, 1958
  • racconto
L’autore

Giovanni Testori nasce nel 1923 a Novate Milanese, nei pressi del capoluogo lombardo, da un’agiata famiglia di industriali. Si avvicina presto all’arte, come pittore e critico. È tuttavia nelle vesti di scrittore che si impone all’attenzione del pubblico, grazie al ciclo dei Segreti di Milano, aperto nel 1954 dal Dio di Roserio, rivisto e inserito nel 1958 in apertura dei racconti del Ponte della Ghisolfa. Il ciclo si compone in effetti di romanzi, racconti e opere teatrali, come L’Arialda, che nel 1960 viene censurata per la presunta oscenità dei temi trattati, compresa l’omosessualità, una condizione vissuta dall’autore con tormento in prima persona. Negli anni successivi Testori va accentuando la carica provocatoria delle sue opere, dedicandosi soprattutto alla poesia e al teatro, al quale consacra opere di notevole impatto, caratterizzate da un singolare impasto di lingua italiana, dialetto lombardo e latino, come nella trilogia shakespeariana formata da L’Ambleto (1972), il Macbetto (1974) e l’Edipus (1977). Alla fine degli anni Settanta si riavvicina alla religione cattolica, come si evince dai suoi articoli comparsi sul “Corriere della Sera”, che accendono molte polemiche. Muore a Milano nel 1993.

Il “dio di Roserio” (Roserio è un sobborgo di Milano) è il soprannome con cui il giovane Dante Pessina è noto fra gli amici e i tifosi che ammirano le sue imprese ciclistiche. Egli lavora come garagista presso un benzinaio, e spera grazie alle sue doti di diventare corridore professionista. Durante la Coppa del Lago gli capita però di non essere in forma: un gregario, il Consonni, non se ne cura, mettendolo in difficoltà. Dante si infuria e con una sterzata in una discesa pericolosa lo fa cadere. Il malcapitato riporta gravi danni alla testa, tanto da perdere la ragione. Tutti pensano si sia trattato di un incidente dovuto a un sasso finito sotto le ruote. Il “dio” da un lato è sconvolto, dall’altro mantiene il segreto e si convince dopo molte esitazioni a partecipare alla gara successiva, che si svolge nei dintorni di Milano.

La schiena gialla, fradicia di sudore si piegò; il quadro di tela biancastra del numero
“32”1 apparve mezzo staccato su quella curva; la seguì piegandosi anch’esso. Fu un
attimo; gli occhi della folla che si eran attaccati ai suoi polpacci ebbero appena il
tempo di vederlo scattare, affondar i pedali, raspar l’asfalto.

5      Facendo sibilar l’aria, ributtandola come una nube incolore verso la folla che era
rimasta intontita, la macchina2 si piegò a sinistra. Poi insieme al corpo che vi si era
incarnato si riportò con prepotenza ancor maggiore sul centro. Da lì cambiando
nuovamente la fase3 della pedalata precipitò sulla destra.

Dalle braccia e dai gomiti si vedeva la tensione scaricarsi attraverso i muscoli, i 

10    tendini e le vene, nei pugni che, quasi gemendo, si stringevano ai corni del manubrio.

Nello spostarsi alternato da destra a sinistra e da sinistra a destra i metri venivano
ingoiati dalle ruote sibilanti; il peso del corpo sembrava cader ogni volta dentro la
parete della folla, ma sul punto di piombarvi un nuovo strappo lo rimetteva diritto,
poi di nuovo nella parte opposta, dove si ripeteva per la folla raccolta in quel punto 

15    la stessa, angosciosa paura di vederselo piombar nel mezzo.

Alcune gocce di sudore venendo giù dalla fronte, dove i capelli stanchi s’eran
tuttavia drizzati in nodi umidi e grovigliosi,4 venivan fermate nel loro percorso da
quegli strattoni continui e contrari. L’odor di sudore, terra e polvere, scendeva sulla
folla durando, come una scia palpabile, anche dopo il passaggio.

20    «Dante!».

«Dante!».

«Dante!».

Il Pessina alzò la testa; gettò gli occhi in avanti e con una felicità avida ed eccitata
guardò come se la toccasse la striscia larga,5 grassa e bianca che poco più avanti di 

25    lui tagliava la strada.

Poche pedalate ancora, “come un bolide”, “come un dio”, aprendosi la strada da
solo, con la potenza del suo solo corpo, ora che le staffette6 erano rimaste indietro…

Un altro lampo partì dalla macchina dei fotografi: questa volta prima di finir
sulle teste che dietro il suo passaggio tentavano di richiudersi, fermate a stento dalle 

30    staffette e dal Todeschi7 che ilare e sboccato minacciava, agitando le mani dall’alto
della Giardinetta,8 gli colpì le rughe, i segni che lo sforzo e l’angoscia gli avevan scavato
sulla faccia, le pupille arse dall’ossessione e dall’orgoglio.

Nel bagliore di quel lampo e dei successivi9 che si sovrapposero a catena cadendogli
sempre più vicino fino a investirlo come una fiammata, anche l’ombra del 

35    Consonni10 sembrò svanire.

Fu proprio dentro il fulgore11 di quella sequela12 di lampi che il Pessina diede
la penultima falcata.13 Poi alzando un’altra volta la testa e gettandola avanti, quasi
avesse da abbattere una parete trasparente ma durissima, affondò la destra sui pedali:
l’aria vibrò travolta dal peso del corpo. Si rialzò. Affondò la sinistra. La ruota 

40    della bici sfiorò la striscia bianca, la schiacciò stritolandone la sostanza; la striscia si
riempì di crepe; si spezzò. Allora, appena sentì che anche la ruota posteriore aveva
varcato il segno del traguardo, con una frenata bloccò d’improvviso la macchina.

Subito gli si precipitarono intorno tutti; i ragazzi, gli uomini, le ragazze, quelli
della giuria, i tifosi della “Vigor” e quelli delle altre società, sia che la superba prova 

45    del rivale li avesse completamente snervati,14 sia che la violenza di quel gettarsi di
tutti attorno al vincitore li trascinasse nolenti15 nel cerchio di teste, braccia, mani e
gambe che volevano veder da vicino, abbracciare, sentire, toccare.

Intanto mentre il Franco premeva sul clacson a un ritmo che a mano a mano
aumentava sempre più assomigliava a quello di un boogie16 sfrenato, il Todeschi 

50    spalancò la portiera della macchina e tirandosi dietro una coperta di lana scese giù
ed entrò nella folla.

«Lasciatemi passare», gridava dando spintoni da una parte e dall’altra. «Lasciatemi
passare!».

Quelli che lo riconobbero non mancaron di sorridergli e di gridargli tanto il suo 

55    nome quanto quello della “Vigor”. E lui allora, rallentando quel tanto che bastava:

«Avete visto che roba? Al posto delle gambe, quello lì ha un motore! Un motore!»,
e continuando a trascinar la coperta che di tanto in tanto restava impigliata nella
folla, arrivò così vicino al Pessina da poterlo prendere, come fece, per la maglia.

Il Pessina si voltò. Lo vide; ma per poco, poiché il Todeschi con un ultimo strappo 

60    gli si portò sul fianco e lo bloccò nell’abbraccio.

«Grazie», cominciò a dire mentre se lo stringeva al cuore come un figlio e alcune
lacrime gli uscivano dagli occhi: «Grazie, Dante».

[…]

Intanto la ragazza destinata alla cerimonia17 s’era avvicinata al secchio e ne aveva
levato i fiori.

65    La folla però non le permise, come intendeva, di farne scolar l’acqua dei gambi.
Tuttavia li alzò. Su quella macchia umida e grassa, d’un rosso reso ancor più profondo
dalle luci e dalle ombre della sera, gli occhi del Pessina si posarono subito stanchi
e agitati. Ce l’aveva fatta. Le foto: gli ballavano ancora dentro gli occhi i lampi e
gli abbagli. Domani l’arrivo sulla “Gazzetta”.18 E adesso la premiazione; la statuetta 

70    del trofeo; il bacio della ragazza.

Ne guardò il viso; ne fissò poco sopra i fiori, la bocca unta di rossetto, dolce e
desiderosa.

La busta con le trentamila lire che c’eran di premio, insieme al trofeo; poteva
prendersi19 una giacca; il resto l’avrebbe dato alla vecchia;20 la quale a casa trepidava21 

75    per lui: «che non gli capiti una disgrazia come al Consonni, perché ha la testa
matta anche lui»; aveva già messo a bollire sulla stufa un secchio d’acqua perché potesse
lavarsi;22 e girando per la cucina le pareva di vederselo arrivare da un momento
all’altro, sudato, impiastrato di fango, con addosso la coperta e tenuto stretto alle
spalle dal Todeschi. Sì. E quella faccia di scemo.23 Sarebbero andati a trovarlo tutti 

80    insieme: la “Vigor” bell’e intera. Poi quelli della Bianchi.24 Ecco. E l’anno venturo il
posto al garage l’avrebbe lasciato a qualche altro pistola.25

«Dante!».

«Sei un dio, Dante!».

«Un dio!».


Giovanni Testori, Il dio di Roserio, in Il ponte della Ghisolfa, Mondadori, Milano 2010

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a TU per TU con il testo

Gli sport ci aiutano a scoprire qualcosa di noi che ancora non conoscevamo. Immersi nello sforzo ci mettiamo alla prova, verifichiamo i nostri limiti, a volte li superiamo di slancio. Dante arriva in vista del traguardo sulle ali dell’entusiasmo, e prima di tagliare la linea si produce in un ultimo scatto poderoso, accompagnato dagli urli della folla e dai flash dei fotografi. È in totale trance agonistica: uno stato di grazia che consente di cancellare la fatica, assorbita dall’obiettivo che ci si è posti. Se ti è mai capitato di provarlo, sai che non si tratta di incoscienza, ma di un’armonia fra corpo e anima che coinvolge completamente, distorce il tempo e dà la vertigine della perfezione. Tutto sembra avvenire spontaneamente, senza bisogno di pensarci, d’istinto. Nella danza, è quello che si chiama flow (“flusso”, in inglese). Capita di raggiungerlo anche nelle attività sedentarie, e si parla allora di ispirazione: c’è un foglio dinanzi a noi, e la nostra mano sembra disegnare da sola, senza l’intervento della ragione. Il duro addestramento che ci ha portati sino a questo punto è scordato: ha lasciato il posto al piacere con cui sentiamo di avere la situazione totalmente sotto controllo.

Analisi

Dante Pessina ha dominato anche questa gara, a dispetto di quanti pensavano che dopo l’incidente occorso al suo gregario Consonni non sarebbe più stato lo stesso, si sarebbe fatto prendere dalla paura, e magari sarebbe arrivato a ritirarsi. Nessuno sa che il vero responsabile di quel drammatico episodio è proprio lui, il “dio di Roserio”, che ha fatto intenzionalmente cadere il compagno provocandogli gravissimi danni cerebrali. Correndo, il rimorso che lo macera si tramuta in rabbia, e questa in carburante della sua prestazione eccezionale. Solo così riesce a cancellare dalla mente il volto del compagno, che lo assilla e occupa i suoi pensieri.

Giunto al termine del percorso, Dante vuole dare un’ulteriore dimostrazione di potenza, producendosi in uno scatto formidabile, a beneficio del pubblico e dei fotografi assiepati nei pressi del traguardo. Il narratore segue le sue mosse nei minimi particolari, al rallentatore, quando nella realtà tutto avviene nel volgere di un secondo: gli occhi della folla che si eran attaccati ai suoi polpacci ebbero appena il tempo di vederlo scattare, affondar i pedali, raspar l’asfalto (rr. 3-4). L’uomo e la bicicletta divengono una cosa sola: i pugni stretti al manubrio, il grondare del sudore segnano l’acme della tensione, colta dai flash che immortalano le rughe, i segni che lo sforzo e l’angoscia gli avevan scavato sulla faccia, le pupille arse dall’ossessione e dall’orgoglio (rr. 31-32). Ora il punto di vista è quello del corridore, che vede solo la striscia bianca del traguardo: più che oltrepassarla, la stritola con il peso delle ruote e la forza della volontà.

Un attimo dopo l’arrivo, come mossi da una forza irresistibile, tutti si precipitano sul vincitore, compresi i tifosi delle altre squadre. La folla euforica applaude, festeggia, il clacson suona all’impazzata, il direttore sportivo della “Vigor”, Todeschi, abbraccia in lacrime il suo “dio”. A questo delirio di rumori segue l’impressione fortissima di un colore che si stampa negli occhi del vincitore, quello dei fiori (una macchia umida e grassa, d’un rosso reso ancor più profondo dalle luci e dalle ombre della sera, rr. 66-67), al quale corrisponde il rossetto della ragazza che regge il mazzo destinato al vincitore. Più che una descrizione, si tratta di una pennellata intensa, di accentuata vivacità cromatica, che ci ricorda come Testori fosse innanzitutto un pittore e critico d’arte.

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Il narratore non commenta la situazione: preferisce esplorare la coscienza del protagonista, dando conto tramite il discorso indiretto libero dei pensieri che si agitano nella sua testa. Con le trentamila lire del premio poteva prendersi una giacca; il resto l’avrebbe dato alla vecchia (rr. 73-74), che lo aspetta a casa, pronta a scaldare l’acqua per consentirgli di lavarsi. Per un momento il lettore intravede l’interno umile nel quale vive il giovane campione con la madre, che è in ansia perché teme gli capiti una disgrazia simile a quella capitata al Consonni.

Si riaffaccia così, nel momento del trionfo, un riferimento al male compiuto. Alla vittima il Pessina non dedica però altro che un attimo, pensando che sarebbe andato a fargli visita insieme all’intera “Vigor”. Ma, come si è ormai capito, il gioco di squadra non è che una finzione, nell’Italia del dopoguerra, incantata dalle sirene del boom economico e pronta a inseguire il miraggio del benessere individualistico. Ciò che davvero conta, per il “dio”, è sottrarsi a un destino miserabile e intraprendere la scalata verso la ricchezza. Conclude così la sua riflessione pensando che l’anno venturo il posto al garage l’avrebbe lasciato a qualche altro pistola (rr. 80-81). In tal modo possiamo capire come lo sport in ultima analisi si configuri come un mezzo di ascesa sociale. Le tremende fatiche sopportate in bicicletta non si devono alla passione, ma alla speranza di correre come professionista, guadagnare bene, mettersi a posto per tutta la vita: il sogno di tanti ragazzi degli anni Cinquanta, che guardavano con ammirazione e invidia ai trionfi di assi come Gino Bartali, Fausto Coppi, Fiorenzo Magni.

Laboratorio sul testo

Comprendere

1. Dividi il brano in tre sequenze principali e assegna un titolo a ciascuna.


2. A quale tipo di impresa ciclistica è dedicato il brano?

  •     A un arrivo in solitaria. 
  •     A una volata di gruppo. 
  •     A una gara a cronometro. 
  •     A un arrivo in vetta. 


3. Dante come intende usare i soldi del premio? (sono possibili più risposte)

  •     Per dare una festa. 
  •     Per darli alla madre. 
  •     Per comprarsi una giacca. 
  •     Per fare un regalo al compagno di squadra Consonni. 
  •     Per comprarsi una macchina. 


4. Chi è la faccia di scemo (r. 79) menzionata alla fine del brano?


5. Qual è la più grande aspirazione di Dante?

Analizzare e interpretare

6. Il narratore è (sono possibili più risposte)

  •     interno. 
  •     esterno. 
  •     onnisciente. 
  •     protagonista. 
  •     con focalizzazione interna. 
  •     con focalizzazione esterna. 


7. Individua nel brano gli elementi che contribui­scono alla descrizione di Dante Pessina durante la volata finale.


Descrizione fisica Descrizione psicologica
   
   
   
   
   
   

Quali aspetti dell’atleta vengono messi in evidenza da questi elementi?


8. Quale metafora viene utilizzata per descrivere la folle corsa del Pessina verso il traguardo? Che cosa vuole sottolineare? Rintraccia i punti significativi del testo.


9. La descrizione del Pessina è completata da un riferimento alla sua condizione socioeconomica: quale? Con quale tecnica viene fornita questa indicazione?


10. È possibile affermare che anche la folla sia uno dei personaggi di questo brano?

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competenze linguistiche

11. I registri linguistici. Ti proponiamo alcuni termini ed espressioni usati nel brano: indica se appartengono a un registro alto (RA) oppure basso (RB) e poi scrivi un equivalente di registro medio (RM).


  RA RB RM
a) Facendo sibilar l’aria      
b) ilare      
c) le pupille arse      
d) il fulgore […] dei lampi      
e) aveva varcato il segno del traguardo      
f) Ce l’aveva fatta      
g) alla vecchia      
h) a casa trepidava per lui      
i) testa matta      
j) qualche altro pistola      

PRODURRE

12. Scrivere per riassumere. Sintetizza il brano che hai letto in circa 10 righe (3 righe circa per ciascuna sequenza).


13. Scrivere per raccontare. Immagina di essere un giornalista sportivo e scrivi:

a) la trascrizione della radiocronaca dell’arrivo del Pessina (massimo 15 righe);

b) un breve articolo sulla corsa ciclistica (massimo 20 righe).

LETTERATURA E NON SOLO: SPUNTI DI RICERCA INTERDISCIPLINARE

SCIENZE MOTORIE

Il ciclismo è uno degli sport più diffusi e popolari, perché basta una bicicletta per praticarlo. Ma quanti tipi di specialità può vantare? Fai una ricerca sulle diverse discipline ciclistiche (su pista, su strada ecc.) e sulle loro regole.

SPUNTI PER DISCUTERE IN CLASSE

Nello sport, «l’importante è partecipare» – come sosteneva il barone de Coubertin, inventore delle Olimpiadi moderne – o solo vincere? Organizzate un dibattito in classe su questo tema.

 >> pagina 651 

Se ti è piaciuto…

Due ruote al femminile

Non ambiva a fare soldi come Dante Pessina, il protagonista del racconto di Testori: aveva solo la passione della bicicletta. Stiamo parlando di Alfonsina Morini Strada (1891-1959), il “diavolo in gonnella”, prima e unica donna in assoluto a partecipare al Giro d’Italia. È il 1924 quando, tra le vie polverose che attraversano lo Stivale, l’eroina si toglie il gusto di mostrare più resistenza di tanti corridori maschi. Dopo dodici tappe, sotto il traguardo di Milano, dei 90 partecipanti alla corsa arrivano solo 30 “superstiti”: Alfonsina è tra questi. Un’epopea sottratta all’oblio dalla penna di Gianni Celati (n. 1937), che nel racconto Storia della corridora e del suo innamorato (edito nella raccolta Narratori delle pianure, 1985) immortala l’impresa della ciclista emiliana.

Non per agonismo pedalano al- l’impazzata anche altre anonime campionesse delle due ruote: lo spirito della libertà soffia sulle biciclette delle staffette partigiane. Contadine, operaie, mondine: alle gambe affidano la salvezza (propria e dei loro cari) figure quali la protagonista del romanzo L’Agnese va a morire di Renata Viganò (1900-1976) o la Cesarina, tra le protagoniste di Pane nero, romanzo scritto da Miriam Mafai (1926-2012).

Non è sul sellino, invece, ma in una delle vetture che seguono la carovana del Giro d’Italia del 1955, Anna Maria Ortese (1914-1998). Prima scrittrice a seguire la corsa in veste di giornalista sportiva, nel suo reportage (ripubblicato nel 1991 nel volume di scritti di viaggio La lente scura) la Ortese descrive il sogno di tanti atleti dalle «braccia dure e sudate»: ragazzi «quasi tutti figli del popolo, usciti molto spesso da case povere e tristi», che scalano montagne e attraversano pianure, incarnando le speranze di rinascita di un’Italia segnata dalla fame, alla quale, per fantasticare un altro domani, bastava una bicicletta, magari anche scassata.

L’emozione della lettura - volume A
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Narrativa