Ieri e oggi

1. Ieri e oggi

Il gusto della competizione e il desiderio di prevalere appartengono alla natura dell’essere umano, che ha descritto questi istinti, oltre che nella narrazione delle guerre, anche in quella, meno cruenta, dello sport. Fin dai tempi antichi la letteratura ha fatto dell’esercizio agonistico un tema ricorrente. Si va dai lirici greci, che celebrano gli atleti vittoriosi nei giochi olimpici, ai poemi epici, in cui può capitare di imbattersi nella cronaca di un incontro di pugilato, come accade nel libro V dell’Eneide, dove Virgilio narra il trionfo del vecchio Entello sull’arrogante Darete. Oppure possiamo pensare ai tornei medievali di cavalleria, oggetto di innumerevoli poesie, racconti, trattati in cui si ragiona sul codice di norme da seguire negli scontri e nelle prove di bravura.

La passione sportiva esplode a livello popolare nel Novecento, con grandi differenze fra un paese e l’altro. Al di fuori dell’atletica leggera, infatti, gli sport conosciuti e praticati a livello globale sono pochi. Il baseball, per esempio, riscuote successo soprattutto negli Stati Uniti, l’hockey su ghiaccio nei paesi freddi, mentre il calcio, un tempo amato soltanto in Europa e America Latina, sta ormai conquistando il mondo. Dappertutto comunque si è registrato il medesimo fenomeno: i migliori atleti delle discipline più seguite conseguono una straordinaria celebrità, divengono dei veri e propri idoli , noti a chiunque.

Ciononostante, intellettuali e scrittori hanno talvolta esibito una profonda diffidenza nei confronti dello sport, visto come un’attività poco seria, ludica, una fonte di mero intrattenimento. Questo atteggiamento è stato alimentato dal fatto che lo sport valorizza in primo luogo il corpo, l’aspetto fisico, a dispetto dell’interiorità: di qui il tabù a lungo perdurante in ambito letterario. Chi si sentiva parte di un’élite percepiva come umiliante l’idea di celebrare un facchino, o un fornaio, solo perché correva più veloce o picchiava più forte di altri popolani.

D’altra parte, il fascino e la passione esercitati dai grandi campioni [#1] presso le masse popolari ha reso spesso lo sport uno strumento di propaganda politica. In particolar modo, le dittature del Novecento sono state abili nel celebrare le imprese agonistiche degli atleti più amati, facendone un retorico emblema della potenza della patria. Il fascismo, per esempio, usò a questo scopo i successi di Primo Carnera (1906-1967), uno statuario pugile friulano che nel 1933 divenne campione mondiale dei pesi massimi. Niente di nuovo: il poeta latino satirico Giovenale, due millenni or sono, aveva già coniato la formula panem et circenses (pane e spettacoli) per sintetizzare gli ingredienti con cui il potere imperiale manteneva il controllo sulla popolazione romana.

La forza simbolica dello sport può essere però spesa anche per nobili fini, come ha dimostrato Nelson Mandela (1918-2013), il primo presidente sudafricano nero, che in occasione della Coppa del mondo di rugby del 1995 (disputata proprio in Sudafrica) tifò per la squadra nazionale, tradizionalmente composta solo da atleti bianchi e perciò ritenuta un simbolo della segregazione razziale. In questo modo Mandela diede un contributo straordinario alla pacificazione del suo popolo dopo gli anni bui dell’apartheid.

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EmozionArti
Un pugile speciale

I miti dell’artista statunitense Jean-Michel Basquiat (1960-1988) erano i musicisti e gli sportivi di colore, nei quali vedeva il simbolo della lotta di emancipazione degli afroamericani. Guarda la forza incontenibile di questo pugile, il suo grido di combattimento e dolore. Che cos’ha intorno alla testa? Potrebbe essere una corona, come quella dei re, o dei martiri, se i segni neri fossero spine.

2. Tipologie e caratteri

La forma più semplice e immediata del racconto sportivo è la cronaca, che dà conto di quanto succede in campo, illustrando a chi legge un giornale, ascolta la radio o guarda uno schermo tecniche e tattiche utilizzate per gareggiare nel modo migliore e possibilmente superare l’avversario. Così, anche solo con un resoconto, i giornalisti più dotati sono riusciti ad accendere la fantasia del pubblico: è il caso del lombardo Gianni Brera (1919-1992), noto ben oltre le cerchie di appassionati per la sua inventiva linguistica, che lo portò a coniare molti neo­logismi e ad attribuire gustosi soprannomi agli atleti, specie calciatori, più celebri (per esempio “Rombo di tuono”, epiteto epico assegnato al potente attaccante Gigi Riva).

Non mancano d’altra parte scrittori di primo piano che si sono prestati alle cronache sportive. L’americano Norman Mailer (1923-2007), per esempio, nella Sfida racconta il leggendario incontro di pugilato tenutosi in Zaire nel 1974 fra Muhammad Ali (alias Cassius Clay) e George Foreman. In Italia è stato invece soprattutto il ciclismo a convogliare l’interesse dei letterati: nel dopoguerra seguirono il Giro d’Italia, fra gli altri, grandi prosatori e poeti prestati al giornalismo come Vasco Pratolini (1913-1991), Dino Buzzati (1906-1972), Anna Maria Ortese (1914-1998), Alfonso Gatto (1909-1976), che contribuirono a consolidare l’epica di uno sport fondato sulla fatica, praticato da uomini semplici, con i quali il pubblico popolare amava identificarsi.

Alcuni di questi scrittori venivano incaricati da importanti testate giornalistiche di raccontare eventi sportivi speciali: è il caso di Italo Calvino (1923-1985), che narrò le Olimpiadi di Helsinki del 1952, oppure di Mario Soldati (1906-1999), cronista d’eccezione dei Campionati del mondo di calcio in Spagna del 1982, vinti dall’Italia.

Più di recente, a dimostrare una grande passione per gli sport è stato Sandro Veronesi (n. 1959), come dimostrano i pezzi raccolti in Un dio ti guarda ( T4, p. 664). Non è raro poi che gli scrittori – in barba al consunto stereotipo che li vuole pigri e sedentari – pratichino in prima persona gli sport di cui scrivono, come fa Antonio Franchini (n. 1958) che nel reportage Gladiatori porta il lettore dalle scrostate palestre della periferia romana a improvvisati ring brasiliani. Altri invece si accontentano di tifare, come spiega Nick Hornby (n. 1957) in Febbre a 90° ( T2, p. 652), dove mette a fuoco con autoironia il suo inguaribile amore per l’Arsenal, squadra di calcio londinese.

Chiacchierare di sport è un piacere per molti. Se c’è un luogo, in Italia, dove questi discorsi si intrecciano infinitamente, è il bar: e proprio Bar Sport è il titolo che Stefano Benni (n. 1947) dà a un’irresistibile raccolta di storie umoristiche, in cui il narratore sfida i personaggi a chi le “spara più grosse”, spesso inventando exploit agonistici pazzeschi.

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Chi si entusiasma alle imprese dei campioni [#2] vuole conoscere tutto di loro: come sono diventati così bravi, i retroscena delle vittorie, le tecniche con cui si allenano, ma anche l’ambiente in cui sono cresciuti, le loro idee sulla società e la vita. Ciò spiega il fiorire di biografie e autobiografie in tutti i campi dello sport, dall’alpinismo alla Formula 1.

In genere sono chiamati a occuparsene dei professionisti: anche quando sulla copertina troviamo soltanto il nome del campione di cui si parla, spesso in realtà a scrivere materialmente l’opera è qualcun altro, che si è preoccupato di raccogliere direttamente dalla voce del protagonista ricordi e impressioni. Si parla in questi casi di ghost writers (“scrittori fantasma”, in inglese). Per esempio, ad aiutare il tennista Andre Agassi (n. 1970) a comporre la storia della sua vita, Open ( T3, p. 658), che ha incontrato un grande successo in tutto il mondo, è stato J.R. Moehringer (n. 1964), giornalista e scrittore statunitense di ottimo livello.

Non c’è disciplina sportiva che nel corso del Novecento non abbia trovato spazio in racconti e romanzi, a volte apparendo di scorcio, a volte acquisendo funzioni primarie nell’intreccio. In alcuni casi gli eventi sono inventati di sana pianta, in altri chiaramente ispirati a personaggi e avvenimenti reali: così Davide Enia (n. 1974), in Italia-Brasile 3 a 2, ricavato da un suo monologo teatrale, raccontando la partitissima giocata ai Campionati del mondo di calcio nel 1982, finisce con l’offrire il ritratto di una famiglia siciliana incollata al televisore e, insieme, uno spaccato della società italiana del tempo.

Anche nei romanzi di autentica fiction lo sport può essere un modo efficace per caratterizzare un ambiente: alle partite di tennis fra giovani borghesi nell’elegante Ferrara rievocata da Giorgio Bassani (1916-2000) nel Giardino dei Finzi-Contini si oppongono le strade polverose in cui si sfidano ciclisti dilettanti, disposti a tutto pur di sottrarsi alla miseria, nel Dio di Roserio ( T1, p. 645) di Giovanni Testori (1923-1993), come pure le partite di calcio fra ragazzini che nei romanzi romani di Pier Paolo Pasolini (1922-1975) inseguono un pallone in campi spelacchiati.

Pasolini conosceva bene il mondo delle borgate e amava molto giocare a calcio. L’esperienza in prima persona induce spesso a tematizzare un’attività agonistica nei propri libri, come ha fatto Erri De Luca (n. 1950) con le arrampicate in montagna: uno scenario che ben si presta a meditazioni sui propri limiti e sul senso dell’esistenza. Lo sport inoltre può essere un ottimo carburante per i romanzi di formazione: lo ha dimostrato di recente Ilaria Bernardini (n. 1977), che in Corpo libero segue la preparazione alle gare di un gruppo di ginnaste [#3] adolescenti, fra batticuori, invidie e timori.

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chi ben comincia

Achille Campanile, Giovinotti, non esageriamo! (e sia detto anche alle ragazze), 1929

“Il 12 di quel mese, sapete, quel mese così conosciuto, di cui si parla tanto, specialmente in poesia, ma sì, quel mese che fa rima con quella cosa, ce l’ho sulla punta della lingua.
Insomma, il 12 di quel mese, al Chrystal Palace di Londra i 200.001 occhi degli spettatori che assistevano a una partita di calcio…
«Oh», diranno i lettori, «c’era uno spettatore con un occhio di più».
No. C’era uno spettatore con un occhio di meno.”


Duilio Loi, La mia vita sul ring, 1964

“Mi svegliai con la piacevole sensazione di poter chiedere alla mia coscienza di pugile il permesso di indugiare a letto. Quale la scusa, questa volta?”


Don DeLillo, End Zone, 1972

“Taft Robinson fu il primo studente di colore a iscriversi al Logos College, nel Texas occidentale. Lo presero perché era veloce.
Alla fine di quella prima stagione risultò di gran lunga uno dei migliori running back nella storia del Sudovest. Presto, magari, avremmo potuto vederlo anche sugli schermi televisivi di tutta la nazione a sponsorizzare automobili da ottomila dollari o schiume da barba al profumo di avocado.”


Ugo Riccarelli, L’angelo di Coppi, 2001

“Il 12 febbraio del ’59 Coppi uscì dal cancello della sua villa, si fermò un attimo a guardare la nebbia fra le colline di Castellania e pensò al sole che aveva visto in Spagna: lo aveva accarezzato come un amico antico, gli aveva scaldato le spalle e sciolto, per un poco, la stanchezza.”

Verifica delle conoscenze

1. Quando nasce la narrativa sportiva?

2. Come cambia nel tempo e perché?

3. Per quale motivo nel Novecento molti scrittori guardano allo sport con diffidenza?

4. Che cosa intendeva il poeta latino Giovenale con la formula panem et circenses?

5. Come mai il ciclismo ha attirato tanti scrittori?

6. Qual è la forma più semplice del racconto sportivo?

7. È il campione stesso, in genere, a scrivere la propria autobiografia?

8. Quali funzioni può avere lo sport in romanzi e racconti?

L’emozione della lettura - volume A
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Narrativa