A me, non so se perché il direttore confida nelle mie positive qualità o, al contrario,
perché mi ritiene affatto sprovveduto,10 tocca di solito una classe di ripetenti. Se
mi ritiene capace di risollevare le condizioni della classe, il direttore si illude di certo,
35 come si illuderebbe su chiunque altro, nessuno essendo capace di un miracolo
simile; se invece intende dare un calcio alla classe, mandarla al diavolo, e me con la
classe, bisogna riconoscere che concretamente capisce le cose della scuola.
Io svolgo il programma come si trattasse di una classe normale, ce ne sono due
tre quattro al massimo, che mi seguono. Da sei anni, da quando ho incominciato
40 a insegnare, mi pare di avere sempre la stessa classe, gli stessi ragazzi. Il fatto più
vero, di là dalle scolastiche valutazioni, è che non una classe di asini o di ripetenti
mi tocca ogni anno, ma una classe di poveri, la parte più povera della popolazione
scolastica, di una povertà stagnante11 e disperata. I più poveri di un paese povero.
Quelli dei paesi vicini lo chiamano il paese del sale,12 la campagna intorno è tarlata
45 di gallerie13 che inseguono il sale, il sale si ammucchia candido e splendente alla
stazione, sale, nebbia e miseria; il sale sulla piaga, rossa ulcera14 di miseria. E io me
ne sto tra questi ragazzi poveri, in questa classe degli asini che sono sempre i poveri,
da secoli al banco degli asini, stralunati di fatica e di fame.
Vengono a scuola, i ragazzi, dopo che la famiglia riceve la cartolina di precettazione15
50 con citati gli articoli di legge e ricordata la multa: la posta non porta loro
che di queste cartoline, per andare a scuola per il servizio di leva per il richiamo16
per la tassa. Spesso la cartolina non basta, il direttore trasmette gli elenchi degli inadempienti
all’obbligo scolastico al maresciallo dei carabinieri; il maresciallo manda in
giro l’appuntato, a minacciare galera e – io vi porto dentro – i padri si rassegnano a
55 mandare a scuola i ragazzi. C’era un maresciallo che questo servizio lo aveva a cuore,
mandava a chiamare i padri e sbatteva in camera di sicurezza,17 per una notte che
avrebbe portato consiglio, quelli che più resistevano. E allora a me maestro, pagato
dallo Stato che paga anche il maresciallo dei carabinieri, veniva voglia di mettermi
dalla parte di quelli che non volevano mandare a scuola i figli, di consigliarli a resistere,
60 a sfuggire all’obbligo. La pubblica istruzione! Obbligatoria e gratuita, fino
ai quattordici anni; come se i ragazzi cominciassero a mangiare soltanto dopo, e
mangerebbero le pietre dalla fame che hanno, e d’inverno hanno le ossa piene di
freddo, i piedi nell’acqua.18 Io parlo loro di quel che produce l’America, e loro hanno
freddo, hanno fame; e io dico del Risorgimento e loro hanno fame, aspettano
65 l’ora della refezione,19 giocano per ingannare il tempo, e magari pizzicando le lamette
dimenticano la fatica del servizio, le scale da salire con le brocche dell’acqua, i piatti
da lavare.
Leonardo Sciascia, Opere. 1956-1971, Bompiani, Milano 2001